venerdì 25 settembre 2009

Essere e spazio

Estrapolo un brano scritto da Sabiana Brugnolini nel libriccino scolastico già citato "Il paesaggio: coscienza e immagini":

Paesaggi come videogames

Nell'età contemporanea anche la pubblicità contribuisce a elaborare nuovi modelli di spazio. Grazie alla sua diffusione, essa provvede poi ad esportarli in ogni parte del mondo. Le immagini della pubblicità sono oggi parte integrante del pensiero comune.
Negli spot e nei messaggi pubblicitari più in voga si rivela una certa tendenza a proporre scenari fittizi e virtuali, nati dalla combinazione di elementi eterogenei. Essi sono il prodotto del cosiddetto "sovraccarico sensoriale" della Postmodernità. Il fenomeno deriva dal bombardamento continuo di immagini e notizie che ogni individuo riceve ogni giorno da ogni angolo della Terra. Qualsiasi paese, infatti, è raggiunto, filmato e "squadernato" dai mezzi di comunicazione e informazione di massa. di conseguenza, ogni luogo è diventato familiare e quasi visibile da qualunque altro luogo del pianeta.
Questa visione comune dello spazio non corrisponde però a una vera conoscenza. Essa coincide , invece, con la versione filtrata e spettacolarizzata che del mondo viene offerta dai media e dai mezzi di comunicazione più diffusi.
I paesaggi messi in scena dalla pubblicità corrispondono in pieno a questa concezione dello spazio contemporaneo, e contribuiscono a diffonderla maggiormente.
Si pensi, ad esempio, alla pubblicità messa in circolazione recentemente da una celebre casa automobilistica. In una metropoli moderna, presumibilmente americana, con larghe strade e grattacieli scintillanti, si vedono passeggiare animali selvatici provenienti da ogni regione della Terra. A un certo punto, fa irruzione l'automobile dello spot, mescolandosi, unica auto, al traffico dei numerosi animali.
Il civile, l'umano e l'ipermoderno convivono nel video con il selvaggio, il naturale e lo sperduto, in una sorta di paesaggio globale che comprende tutti i paesaggi che l'uomo ha costruito, nel tempo e nello spazio. Essi vengono destoricizzati e ricombinati come un videogame. Il risultato è un nuovo paesaggio virtuale, tecnologico e ludico, che ben incarna la visione postmoderna della realtà.//


La pubblicità a cui l'autrice fa riferimento è del 2004, non ricordo nemmeno quale sia e non importa. Non è cambiato molto, se non la maggiore consapevolezza di quest'omologante visione percettiva che fa soffrire moltissimi intorno a me. Qui, cioè, nel mondo grondante cemento e cavi elettrici, connesso di continuo virtualmente, e sempre più tormentato da come poter vivere l'affrancamento dalla tecnica, sognando una vita in campagna.
Consapevoli o meno che siano, gli Occidentali hanno da tempo conquistato selvaggiamente il selvaggio e si dice che a questa sete di conquista di spazi sia mancata una direzione "etica", che avrebbe forse potuto prevedere il dramma mostruoso del trovarsi vittime dello stesso prodotto inventato per difendersi dalle offese della natura.
Miti diversi popolano la testa di coloro che hanno accesso alla "cultura" e ciascuno dirà la sua sull'argomento.
Ho pensato, scritto e poetato-persino- sull'argomento diverse volte negli ultimi anni ed anche il nuovo ambizioso, barcollante progetto sulla periferia palermitana nasce da questo disagio.
Scriverò altre considerazioni, al momento mi va solo di condividere questo brano, di un etologo celebre vivente, Danilo Mainardi, del quale raccolgo in fondo alcune citazioni ed una breve sintesi della biografia.
Ora faccio un altro barbaro atto di "copiatura" della Brugnolini, che inserisce un brano di Mainardi con una presentazione.

Nel libro "La strategia dell'aquila", l'autore rinviene una serie di analogie tra i comportamenti umani e i comportamenti di alcune specie di uccelli. In origine, sostiene lo studioso, l'uomo era come l'aquila e adottava la strategia del grande rapace: conduceva una vita sobria e ben organizzata, prelevando dal territorio solo le risorse necessarie e vivendo in armonia con l'ambiente. Il progresso ha successivamente infranto l'antico rapporto di simbiosi.
La conseguenza di ciò è che il mondo in cui viviamo, da cui natura e paesaggio stanno gradatamente scomparendo. Gli uomini, nota infatti lo studioso, con amara ironia, si stanno già abituando a vivere senza aria, senza acqua, senza alberi, senza la compagnia degli animali.
Ciò vale anche per le rondini, grandi protagoniste in assenza del brano che segue. esse rischiano di diventare un ricordo per le generazioni a venire, che si annunciano provviste di ogni comfort, ma prive, ormai, della "natura vera".

Ed ecco le parole che rivolgo a tutti noi, triste e desolata generazione dei senza rondini:

"Si può vivere, non c'è dubbio, pure senza rondini. Sopravviveremo. ....
Ma che vita sarà una vita senza rondini? Be', forse anche questo è uno di quei problemi che, simpaticamente, col tempo si autorisolvono. Basta che scompaia quella generazione (la mia) che è nata quando ogni casa aveva le sue rondini e alla sera, d'estate, le piazze cittadine si adornavano di rondoni che lanciavano strida assordanti sfidandosi in precipitosi inseguimenti. Per poi lasciare, col sopravvivere del buio il posto ai pipistrelli (che stanno pure loro scomparendo).
L'importante, penso, è, un pò alla volta, riuscire ad abituarsi a vivere senza. Non so se l'avete notato, ma da qualche anno è cominciata a circolare della gente con una mascherina di garza bianca sulla faccia. Certi pedalano in bicicletta, altri passeggiano a piedi: fanno esercizio, si stanno abituando a vivere senza l'aria pura. E quanta è ormai la gente che beve l'acqua del rubinetto, per non parlare di quella delle fonti e dei pozzi?..

Pasolini, tanti anni fa, in uno dei suoi Scritti corsari, lamentò la scomparsa delle lucciole. Ebbene, alla loro carenza siamo pure sopravvissuti.
Vedrete che i nostri nipoti saranno bravissimi a vivere senza. E poi, d'altro canto, per ogni cosa o essere vivente che scomparirà avranno in cambio un oggetto, o un vivente, virtuale.
Così, oggi che ancora esistono, seppure un minor numero, le rondini... e i topini e quelle affascinanti pseudorondini che sono i rondoni, ci si può domandare: ma i nostri nipotini li conoscono? li hanno mai sentiti cantare? sanno distinguerli?
Qual è , mi chiedo, il loro mondo animale? Temo che in quelle giovani menti confusamente convivano il passato e il presente, il vero e il falso. Dinosauri, leoni, godzilla..Tutti, i veri e i falsi, i viventi e gli estinti, immaginati, omologati, patinati e colorati. Mai, comunque, incontrati se non su uno schermo. E loro , i nostri nipotini, saranno gli adulti di domani. La generazione dei senza rondini. La generazione che ha imparato a vivere senza, seppure con tanti oggetti virtuali in cambio."

Da La strategia dell'aquila di Danilo Mainardi, etologo nato nel 1933 a Milano.
Nel 1956 Mainardi si laurea a Parma in biologia. Dal 1967 fino al 1992 ha insegnato prima Zoologia, quindi Biologia generale e infine Etologia presso l'Università di Parma, nelle facoltà di Scienze e di Medicina. Dal 1973 è direttore della Scuola di etologia del centro Ettore Majorana di cultura scientifica di Erice. Attualmente è professore ordinario di ecologia comportamentale presso la Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche Naturali dell'Università "Ca' Foscari" di Venezia.

È presidente onorario della LIPU (Lega italiana protezione uccelli), dopo esserne stato per molti anni presidente nazionale.

Si è occupato principalmente dell'evoluzione del comportamento sociale e sessuale. In particolare della scelta sessuale, dimostrando l'importanza dell'apprendimento precoce nel determinare le preferenze sessuali. Con i suoi studi sull'aggressività ha dimostrato che non esiste appetenza per questo comportamento. Tra i risultati più importanti della sua ricerca è sicuramente la scoperta che anche le specie animali posseggono in certa misura la capacità tipica dell'uomo di produrre e trasmettere cultura, di trasferire, cioè, da un individuo ad un altro, soluzioni di problemi e innovazioni.

Ha vinto il premio Glaxo per la divulgazione scientifica. Nel 2003 ha ricevuto a Milano il premio "Campione" per la categoria "Ambiente"

È stato direttore dell'Italian Journal of Zoology, organo dell'Unione Zoologica Italiana. Ha partecipato e partecipa tuttora a numerose trasmissioni televisive specialistiche, tra le quali Dalla parte degli animali, Almanacco del giorno dopo e le serie di Quark. Collabora con il Sole 24 Ore, il Corriere della Sera, con Casaviva e con Airone. È autore di oltre 200 pubblicazioni. È, inoltre, presidente onorario dell'Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti.

Queste sono le citazioni, tratte da wikipedia, come la biografia sopra:

* Quando capiremo, a fatti e non a parole, che le scelte esercitate contro gli animali sono anche scelte contro di noi? (citato in Franca Zambonini, In aiuto ai nostri "fratelli minori", Famiglia Cristiana, n. 40, 6 ottobre 2002)
* Una società globalizzata si governa meglio se è fatta di persone con poco senso critico, quindi irrazionali. (dall'intervista di Piero Bianucci, Mainardi. La zanzara sulle ali del jumbo, La Stampa, 28 luglio 2001)

* Come è facile per la femmina del cane tirar su bene la sua prole, com'è difficile per noi umani fare altrettanto. (da Del cane, del gatto e di altri animali, Mondadori)
* Agli scienziati piace sempre moltissimo inventare nuove teorie, nuove spiegazioni e, soprattutto, nuovi nomi possibilmente astrusi. È così, oltretutto (ma questa senza dubbio è una malignità), che si raggiunge la gloria. Se non altro una bella visibilità. (da La bella zoologia, Cairo, Milano, 2008)

* A determinare la comparsa, lo sviluppo e il permanere dell'umana capacità di credere è stato un peculiare assommarsi di caratteristiche mentali e sociali.
* Credo davvero sia giunto il tempo di percepire la nuova centralità della cultura naturalistica. Una centralità necessaria per conoscerci meglio e, di conseguenza, per calibrare più positivamente il nostro rapporto con la natura, con i nostri simili, con noi stessi.
* Generalizzando, il comportamento è sempre il risultato dell'interazione tra genetica e ambiente. In definitiva, è sempre, per usare un termine proprio della biologia, fenotipo, anche se l'apporto dell'informazione genetica può essere assai variabile sia qualitativamente sia quantitativamente.
* Gli scienziati dovrebbero avere il culto della ragione; eppure, di norma trincerandosi dietro l'accusata argomentazione delle aree di competenza, trovano anche loro uno spazio per credere.
* L'uomo è, tra gli animali, il più razionale. Eppure anche in quest'epoca dominata dalla scienza, o almeno dove la scienza ha prodotto straordinari avanzamenti conoscitivi, l'uomo continua a credere in una varietà di fenomeni, esseri o entità di non provata esistenza.

[Danilo Mainardi, L'animale irrazionale. L'uomo, la natura e i limiti della ragione, Mondadori, Milano 2002]

Ed infine, come debole incoraggiamento:
"Una società globalizzata si governa meglio se è fatta di persone con poco senso critico, quindi irrazionali."

"L'ecologia ci insegna che la nostra patria è il mondo."

Buone riflessioni agli ipotetici lettori.

lunedì 21 settembre 2009

Mark Strand (il futuro non è più quello di una volta)

Mark Strand (il futuro non è più quello di una volta)

1) Se un uomo capisce una poesia,
avrà dei problemi.

2) Se un uomo vive insieme ad una poesia,
morirà solo.

3) Se un uomo vive insieme a due poesie,
ne tradirà una.

4) Se un uomo concepisce una poesia,
avrà un figlio in meno.

5) Se un uomo concepisce due poesie,
avrà due figli in meno.

12) Se un uomo si vanta delle sue poesie,
verrà amato dagli stolti.

18 ) Se un uomo lascia che le sue poesie vadano in giro nude,
avrà paura della morte.

19) Se un uomo ha paura della morte,
verrà salvato dalle sue poesie.

20) Se un uomo non ha paura della morte,
le sue poesie forse lo salveranno forse no.

21) Se un uomo finisce una poesia,
si immergerà nella scia bianca della propria passione
e verrà baciato dalla pagina bianca.

martedì 15 settembre 2009

I dubbi sull’importanza effettiva di costruire un impianto teorico.

Buongiorno, mie care periferie.
Approfitto di una pausa per scrivervi, sperando di essere letta.

Parto dal principio che l’unica costante della vita sia l’imprevedibilità.
Quanto è importante che un PROGETTO abbia una salda struttura teorica, se poi, di fatto, vince l’assenza di controllo ed anticipazione, quella serendipità che- talvolta- fa scoprir cose più belle di quelle pensate o rivela- disgraziatamente il più delle volte- l’assoluta infondatezza della scelta di rivolgersi a ciò che si voleva osservare più da vicino?

Questa seconda possibilità, direi brevemente che si realizza:

1)Perché ci sono cose più importanti di cui occuparsi prima;
2) Perché ciò che si vuole ricercare non è un “oggetto” che vuol prestarsi all’essere studiato;
3) O, ancora, trattandosi di un gruppo, perché non c’è la stessa intensa voglia di portare avanti la ricerca nella mente dei membri dell’equipe.

Questo progetto si presta a tutte e tre le “malvagie” imprevedibilità.
Ciò confesso che non mi faccia affatto paura. Mi piacerebbe portarlo comunque avanti, conscia dei limiti e delle difficoltà cui va incontro.
Ripeto ancora come non possa e non debba vendervi nulla. Lo spirito che mi ha guidato finora è stato solo quello di proporvi un viaggio nella conoscenza di qualcosa che non è affatto detto che vi interessi, ed il fatto che invece a me interessa molto conoscere non c’è alcuna ragione per cui dovrebbe incuriosirvi.
Ho già abusato di toni intimistici, raccontandovi come, mentre continuo la lotta al riconoscimento dei miei limiti, sia diventata sempre più bisognosa di capire qual è il mio effettivo “potere”.
E come in questo non abbia alcun dubbio che debba rientrare quello “politico”, in una realtà smisuratamente difficile da incidere com’è la nostra, penso di averlo anche non troppo implicitamente già rivelato.
L’interesse, insomma, non può supplicarsi in alcun modo. E l’ombra dell’esperimento di Platone di cercare di concretizzare la sua utopia, fallendo e disincantandosi al punto da esortare a non tentarla nemmeno, è per me, che sono cresciuta con la Lettera Settima, un’ospite perpetua del mio essere.

Detto ciò, se il lavoro di reclutamento iniziato in queste settimane sembrerà svolgersi da parte mia con molta disponibilità ed apertura, annuncio come dovrò correggermi a breve, quando inizierò sul serio a stabilire CHI voglio con me.
Ovviamente non è una minaccia, ma devo essere chiara e sincera fino in fondo.
Quanto all’ultima riserva, ossia la possibile non volontà del gruppo a partecipare, quindi il succo è il seguente.

Gli inviti sono stati fatti spesso casualmente, solo per concedere una visione molto rapida del percorso prospettato, ma chi desidera davvero cominciare un’indagine di questo tipo ha bisogno di fare i conti con se stesso, lontano dalle mie pressioni, richieste e via dicendo, perché senta di non essere costretto in alcuna maniera a fare ciò che non vuol fare.

La prima delle “imprevedibili” cause d’arresto di un progetto simile, ossia la non disponibilità delle “periferie” a lasciarsi scrutare da giovani concittadini che non distribuiscono loro né denaro né offerte di lavoro, può essere arginata forse nella stessa maniera. Proprio perché sono diversi i componenti di un quartiere, diverse saranno le reazioni che potremmo riscontrare al nostro misterioso “interesse” rivolto a “loro”.
Posso immaginare fin d’ora che molti non gradiranno, altri resteranno perplessi, alcuni, però, magari ci stupiranno, lasciandosi coinvolgere, chi può dirlo…

Quanto alla necessità che questo lavoro abbia luce non so che dire.
Ci saranno tante altre cose più urgenti, probabilmente, da osservare.
Ma cercare di capire cosa è il bello, se esiste un bello da conoscere e tentare di difendere o promuovere a Palermo, perché possa avere delle ripercussioni fondamentali nella vita non solo di chi facilmente può accostarsi ad esso, ma anche di frange spesso inascoltate… Se davvero siamo noi i suoi portavoce e se una presunta estetizzazione della nostra vita possa renderci soddisfatti… beh, sono solo alcune delle tante vetrine smerigliate che sbattono nell’edilizia degradatissima del mio cervello e che ho ipotizzato come possibile linea di ricerca, perché capace di tirarne in ballo tante altre, forse anche più importanti.

Ecco, se volete partecipare, una volta espressa la “preferenza” sulla tipologia di periferia da indagare, vorrei tanto che cominciaste- senza alcuna fretta e secondo le modalità che vi mettono più a vostro agio- con il raccontare cosa sia per voi la bellezza.
E così, forse, intanto i miei “interni “ scricchioleranno di meno. E, soprattutto, inizieremo a vagliare la fondatezza o meno della “teoria” da anteporre ad un’analisi che vorrebbe porsi al di là della teoria stessa , per potersi trasformare in conoscenza (ovviamente mai definitiva).
Aspetto vostre notizie.
A breve vi informerò sulla data ed il luogo del prossimo incontro, presumibilmente alla fine della settimana prossima.
Buona giornata!

lunedì 14 settembre 2009

Il post di Danilo

Lo pubblico qui perché non è riuscito ad inserirlo nella bacheca del "gruppo fb".
(Attendo con ansia il sito, per non disseminarci e "periferizzarci" troppo...).
Ecco qui cosa ci scrive l'architetto:

PERIFERIE(A)

Dalle discussioni emerse nel nostro primo incontro son venuti fuori degli spunti interessanti.
Credo sia essenziale, per la migliore comprensione della “periferia” in quanto luogo dell’abitare contemporaneo, l’organizzazione di una o più visite all’interno di questi colossi immaginati nonostante i pessimi risultati, per accogliere un fiume di umanità.
Già, perché se è vero che la periferia possiede connotazioni identiche in tutto il pianeta( degrado sociale e urbano, solitudine, disagio giovanile, alienazione dal contesto urbano, isolamento, chiusura…), probabilmente a causa della visione ristretta ereditata dalla pedante cultura Ottocentesca, è altresì vero che ogni periferia possiede necessariamente una specificità di carattere storico-sociale, urbano-topografica che la identifica rendendola unica e perciò analizzabile come fenomeno unitario.
Come già ricordato ieri sera, credo fermamente che nel caso della nostra città,
il ruolo predominante in questo gioco perverso che ha ridotto la totalità del territorio dalle pendici della Conca d’oro alle coste ad una scacchiera abitativa per lo più sovradimensionata e priva di servizi, sia da accreditare al connubio tra mafia e politica ed alla totale assenza dello Stato sovrano per oltre mezzo secolo.
La Palermo dei nostri nonni, quella degli anni Cinquanta, era la capitale del Liberty della scuola di Ernesto Basile, la Conca d’oro era una distesa di terreni agricoli in cui non era difficile perdersi tra i profumi degli agrumeti e del gelsomino, un complesso ed organico sistema di Ville e pertinenze, insisteva all’interno di questo mare verde intessendo con le borgate(Uditore, Cruillas, San Lorenzo, Sferracavallo, Pallavicino, Partanna, Malaspina, Crocerossa, Noce,Portello, Acquasanta, Arenella, Acqua dei corsari, Oreto, Guadagna, Ciaculli, etc…) un legame vitale il cui vettore ultimo era cuore commerciale del Centro storico.
Un’economia identitaria quella lì.
Fatta di prodotti della terra e del mare, ma di questa terra e di questo mare.
Credo che sia ancora l’economia l’attore principale delle sorti delle nostre città, del nostro modo di abitare, il danaro, quello facile, quello d’affare. La fame dei viddani provenienti da Corleone, alimentata dall’interesse oligarchico della dirigenza della democrazia Cristiana Siciliana e probabilmente del “Divo”, ci consegna oggi una realtà urbana in cui diviene improprio parlare di Periferie ma piuttosto di Periferi”A”.
Un magma saturato di abitazioni-dormitorio scarne di servizi e nonostante la vastità del territorio in questione, ancora monocentrico, la cui identità è fortemente ancorata al ricordo della dimensione abitativa dei luoghi carichi di storia del centro storico.
Una periferia dunque non come le altre malgrado le assonanze ma carica di “sensi” che a noi tocca di saper mostrare, segni, tracce di un passato negato, spesso celato dai mostri di cemento armato della speculazione edilizia palermitana, luoghi questi divenuti specchio della società che li ha generati e desiderosi di riscatto sociale.
Un’ultima considerazione prima di chiudere vorrei spenderla a favore dell’indagine di carattere estetico immaginata da Silvia come portatrice di energie positive.
Sono convinto da architetto che l’estetica tanto sottovalutata dalla nostra cultura recente, dall’arte contemporanea al modo di configurare le nostre parti di città nuova, sia la chiave attraverso la quale generare adesione, perché come amava ricordare Carlo Scarpa:” …se una cosa è bella, chi la osserva la sente…”
I luoghi della nostra quotidianità hanno infatti sul nostro benessere percettivo un’influenza enorme in termini di vissuto eppure sento che non sono configurarti come dovrebbero per accoglierci.
Concludo ricordando una considerazione fatta da Bruno Zevi qualche tempo fa, quando ci ricordava che se al cinema trasmettono un brutto film, possiamo non andarlo a vedere, se l’editoria produce cattivi libri a noi è dato di leggere altro, ma se qualcuno costruisce frammenti di città pessimi o deturpa irreversibilmente il paesaggio dei nostri luoghi, siamo costretti a pagarne tutti le conseguenze e non possiamo chiudere gli occhi per non guardare.
A presto, al prossimo incontro,
Danilo 7-09-09