domenica 29 maggio 2011

Del vantaggio di non essere Dei

Si può lasciare andare qualcosa solo dopo che lo si è trattenuto. E siccome dovremo lasciare andare tutto, bisogna imparare nel tempo a contenere la stretta. Non ci facciamo più gelidi perché vogliamo essere gelidi, ma perché l’intensità dell’afferrare che esplode nella vitalità, è costretta ad affievolirsi nell’impoverimento progressivo che spetta a chi voglia farsi sempre più leggero e congiungersi con l’etere infinito nel quale siamo destinati a fluttuare come tracce, ricordi o anime quando i corpi cesseranno di compiere le loro funzioni vitali.

Dopo lotte sanguinanti, conflitti mai risolti, non c'è vita umana che non si trasfiguri nella dimensione mediana che le appartiene, ritrovando in essa la sua origine.
Nè Dei nè bestie.

A metà, in cerca di lievi contatti o di silenzi, nell'assenza di senso e gravità, lo spirito si modella senza modelli, perdendosi nell'infinito del respiro dell'Universo, calmo perchè il caos è senza alcun ordine di Re.

sabato 28 maggio 2011

In viaggio verso il tempo

Oltre l’Occidente. Né verso Oriente, né verso i poli. Oltre la grammatica, al di là della parola, del suono, delle tracce e contro ogni gerarchia. Silenziosa, sensuale e forte libertà, che non cerca assensi, consensi e commenti. E si ribella ad ogni giudizio e tentativo di cambiare le sorti altrui, confondendo l’esistere con una missione nevrastenica senza colori. Fuori dalla dicotomia “principio di piacere”- “principio di realtà”. Altrove, ovunque, per le vie del mondo e tra i sogni d’aria, acqua, terra e fuoco che insegnino di nuovo cosa sia la vita e quanto struggente e meraviglioso sia esserci, finché morte non mi separi da questo corpo benedetto e da tutte le esperienze incisive che esseri animati, inanimati, bestiali, divini, umani e troppo umani, vuoti, pieni, noiosi ed eccellenti mi hanno spinto a vivere, duellando con la mia storicità e modellandola volta per volta. Oltre Dio, anche se sempre in sua rammemorante e preveggente, ma intimissima- e perciò muta- ricerca. Ricerca di un nuovo amore allegro e rovinoso, folle e salutare come una fontana musicale che ogni tanto va in tilt, zampillando sangue e frammenti di pentagrammi...ma più in là, più in là.
Si cerca il tempo cercando lo spazio.
E ho bisogno del mondo, di impressioni e pochissime espressioni.
http://www.youtube.com/watch?v=m-y3GZrCjx0&feature=share

domenica 22 maggio 2011

Valèry e la libertà

DALLA PAROLA, AL CONCETTO, ALL’AZIONE..E POI, DI NUOVO, ALLA PAROLA.
Scrive Valèry:
LIBERTà: una di quelle parole detestabili che hanno più valore che significato; che invece di parlare, cantano; invece di rispondere, domandano; di quelle parole che hanno fatto tutti i mestieri, e la cui memoria è imbrattata di Teologia, di Metafisica, di Morale e di Politica; parole perfette per la controversia, la dialettica, l’eloquenza; appropriate sia alle analisi illusorie e alle sottigliezze infinite sia ai propositi di frasi foriere di tempesta.
Per questo nome, “Libertà”, trovo un significato preciso solo nella dinamica e nella teoria dei meccanismi, dove designa l’eccedenza del numero che definisce un sistema materiale sul numero degli ostacoli che si oppongono alle deformazioni di tale sistema, o gli impediscono certi movimenti.
Questa definizione, che deriva da una riflessione su un’osservazione elementare, meriterebbe di essere richiamata a fronte della significativa impotenza del pensiero morale a circoscrivere in una formula ciò che esso intenda con “libertà” di un essere vivente e dotato di coscienza di sé e delle proprie azioni. Ma, quando non vi è alcun riferimento comune che lo obblighi a mettersi d’accordo, nulla è più fecondo di ciò che consente alle intelligenze di dividersi e di sfruttare le loro divergenze.
Avendo dunque le une vagheggiato che l’uomo fosse libero, senza poter dire al riguardo cosa intendessero con queste parole, le altre, prontamente, immaginarono e sostennero che non lo era. Parlarono di fatalità, di necessità, e, molto più tardi, di determinismo; ma tutti questi termini appartengono esattamente allo stesso livello di precisione di quello cui si oppongono. Non arrecano alla questione alcun contributo che la sottragga a quell’indeterminatezza entro la quale tutto è vero.
Il “determinista” ci giura che, se si sapesse tutto, si sarebbe capaci anche di dedurre e predire il comportamento di ciascuno in ogni circostanza, il che è piuttosto ovvio. Il guaio è che “sapere tutto” non ha alcun senso.
Appena si stringe sui termini, in questo argomento come in tanti altri, tutto diventa assurdo: erano gonfi solo di imprecisione. Si constata facilmente che il problema non ha mai potuto essere veramente enunciato, che tale circostanza non ha mai impedito a nessuno di risolverlo, e che essa gli conferisce una sorta di eternità: esaspera la mente costringendola in un circolo chiuso. Il celebre matematico Abel, parlando di una cosa totalmente diversa, diceva: “Bisogna dare al problema una forma tale per cui sia sempre possibile risolverlo”.
È questa forma che bisognava cercare. Chè se è introvabile, il problema non esiste.
Se questa prima ricerca viene a mancare, il pensiero che si accalora su una parola si smarrisce in una quantità di espressioni particolari: a volte adotta un significato più o meno composito, una sorta di media tra quelli vigenti; altre volte un significato assolutamente convenzionale, che ben presto si confonde con quello in uso- ed ecco introdursi l’infinito degli equivoci e delle fluttuazioni del pensatore stesso.
È un errore molto facile, e tanto comune da potersi dire costante, fare di un problema di statistica e di notazioni radunate in modo casuale una questione di esistenza e di sostanza. Non vi è, non vi può essere nulla di più nel significato di una parola se non ciò che ogni intelligenza ha ricevuto dalle altre, in mille occasioni diverse e disparate, cui si aggiungono gli usi che essa stessa ne ha fatto, tutti i brancolamenti di un pensiero nascente in cerca della sua espressione. È dunque alla sola filologia, loro giudice naturale, che conviene sottoporre tutte le questioni i cui termini possono sempre essere messi in discussione. Soltanto ad essa spetta restituire le origini e le peripezie del significato e dell’uso delle parole, ed essa non presuppone loro un “significato autentico”, una profondità, un valore diverso da quello di posizione e di circostanza, che risiederebbe e sussisterebbe nel termine isolato.