sabato 30 luglio 2011

Se non spera non troverà l'insperato (e negherà che si dia l'in-spirato)

Ci sono cose che esistono ma che non riusciamo a vedere perchè siamo come ciechi, assorbiti dalle nostre private congetture; altre che non esistono ma continuano a sembrarci reali e di cui parliamo come se fossero viste da tutti; altre ancora che vediamo solo noi e che restano invisibili agli altri, com'è giusto che sia.
Il mistero della bellezza è quello che ancora tiene in piedi molti ricercatori d'oro, incapaci d'arrendersi ad accettare la consumazione che divora se stessa imposta dal loro secolo, e decisi a sfidare le leggi del tempo che sottrae l'incanto, un attimo dopo averne mostrato una sua piccola, indimenticabile parte.
Sono costoro degli anticonformisti ? In un mondo livellato, appariranno probabilmente tali. Ma sono persone normali, certamente distanti dall'americanismo infiltrato anche nelle ossa ed ostili ad ogni tipo di semplificazione, che sanno come ognuno sia un mondo a sè e che ciò che lega tutti in fin dei conti sia solamente quella porzione condivisibile attraverso la lingua e tutto ciò che dal linguaggio deriva, ma che è così poco decisiva nella storia fitta di turbolenze del singolo da suscitare in loro ripetute disapprovazioni e fasi di rigetto totale dell'idea di "appartenenza".
I ricercatori d'oro sanno che le esperienze non possono essere narrate, così come i piaceri ed i dolori più grandi non possono venire in alcuna maniera indicati e resi percepibili a chi solo perchè ha un organismo umano ed è mortale non è immediato affatto riconoscere appartenente allo stesso genere.
Essi amano più le differenze delle identità, ma non si stancano comunque di cercare affinità, sapendo bene quanto proprio questa sia la cosa più difficile da trovare sotto questo cielo.
Camminano con magliette speciali con scritte che brillano al sole, del genere "Vuoi salvarti con me?" o "Cerco un affine". Ma vengono abbracciati più da topi e da maiali, che non da qualche essere umano intorno, poco disposto ad ascoltare veramente le loro sciocche elucubrazioni.
Del resto, la loro solitudine si confonde con quella stratosferica della "massa", ma i ricercatori d'oro hanno fiducia nella potenza della cultura, speranza che nell'aprirsi al mondo con curiosità, tante domande e raffinata sensibilità non ci si faccia contagiare dalla stupidità cosmica dei dormienti e dagli slogan che popolano tanti cervelli intorno.
Vivono per distinguersi solo per potere distinguere, sospettando sempre più tragicamente che ad estinguersi comunque alla fine saranno loro.
Hanno sognato le rivoluzioni come tutti, hanno vissuto le crisi della politica come tutti, ma senza mai lasciarsi irretire nella logica di dominio che guida la società occidentale.
Hanno tenuto gli occhi aperti perchè la poesia non tramontasse, le orecchie rizzate perchè un suono nuovo li sconvolgesse, le mani protese verso un volto triste cui offrire una carezza, il naso ben sturato per mantenere familiarità ancestrale con le cose importanti e respingere vizi e scelte improprie, ed hanno tenuto la bocca sempre più spesso chiusa, per non coprire con i loro discorsi il ritmo perfetto dell'universo.
Quando andranno via, potranno dire di avere attraversato la vita sfruttando tutti i sensi, trascorrendo le giornate in continua lotta come e più degli altri. Ma ciò basterà loro a pensare di aver vissuto sul serio ciò che contava vivessero?
I ricercatori d'oro smettono di credere a tutto ciò che è possibile navigare con imbarcazioni speciali, ma umane, quando all'improvviso si ammalano o perdono qualcuno.
Colpiti, affondano anche loro. E non conta più nessun'etica della bellezza, a quel punto non sembra più saggio nè interessante scolpire le giornate all'insegna della ricerca della meraviglia.
Non sono più in grado di darsi alla barbarie, l'educazione estetica non riesce a farli essere esattamente come la massa, nemmeno se lo volessero con tutte le loro forze.
Ma feriti, strozzati dal dolore, non sanno più cercare l'oro. Non sono più capaci di farlo. Tutto quel che era in loro potere fino a quel momento si rivela fugace più dell'istinto ottuso che per lo più guida- come amano villanamente pensare- gli altri. La memoria si sgretola, la speranza è in frantumi, le gambe immobili e doloranti, la testa pesante ed il respiro affannoso.
Svuotati improvvisamente di tutto ciò che li ha costituiti finora, i ricercatori d'oro adesso hanno solo un obiettivo: dimenticare, dimenticarsi.
Annientare se stessi, perdendo qualunque interesse per le cose, le facce, i discorsi, la storia, gli aneddoti, i profumi e le musiche più stupefacenti che l'umanità ha saputo creare.
Tutte quelle tracce umane non riescono più a suggerire loro la presenza di Dio. E quello che i ricercatori d'oro stavano inconsciamente cercando da sempre, invece, era proprio Lui.
Aspiravano ad un suo caldo abbraccio, scrutando le sue opere con devozione senza ammetterne la Paternità suprema. Ed ora, incerti e confusi, spiazzati dalla consapevolezza che la stessa bellezza sia un lusso troppo difficile da mantenere quando si è ad un passo dalla morte, elidono tutte le risposte certe accatastate negli anni, non riuscendo a porre argini efficaci ad un dubbio devastante che li attraversa in ogni particella cromosomica, li rende insonni, instabili nelle relazioni affettive, seppur sempre preoccupati per tutto ciò di cui non sanno più prendersi cura come era stato altre volte possibile.
Si stanno chiedendo dov'è. Gli stanno domandando se c'è e perchè li ha abbandonati. Perchè tutto questo dolore, perchè questa trasfigurazione? Se ne sentono la causa, scorgono indietro i momenti topici in cui hanno scelto la strada sbagliata, determinando una serie di eventi discutibili, che li hanno fatti allontanare dalla loro originaria sete d'oro. Ma c'è qualcosa che eccede il loro senso di responsabilità. Il timore che a fare da contraddittorio al Kosmos non sia il caos, ma un piano del tutto soprannaturale, che non si può studiare nemmeno secondo questa contrapposizione così affascinante, che spiega il mondo degli uomini, l'arte e la natura. Ma non si piega, per questo, nemmeno alla psicanalisi, spernacchia Freud, come se, oltre l'inconscio, ci potesse essere ancora qualcos'altro che non si riesce a vedere finchè si ragiona in termini consueti. Fin quando si ragiona, insomma.
Lì non c'è il cosmos con Dio, nè Dio nel caos, nè forse, più terribilmente, il caos in Dio.
Lui non sta più curando i suoi ricercatori d'oro perchè non li ha mai curati davvero. Forse il suo mestiere è quello di dare solo una rapida sbirciatina ogni tanto, come un padre distratto ma indulgente, cui non interessa particolarmente che cosa capita ai suoi figli. Quando questi moriranno, non importa quanto oro abbiano raccolto. Li trasformerà in energia per concedere al pianeta di sopravvivere a sè stesso qualche anno ancora, tutto qui. E poi, finalmente, il suo compito sarà finito. Il mondo finirà. I ricercatori d'oro, i depressi che lo erano stati, i nevrotici che stanno appena conoscendo la perversione nascosta nella loro visione alterata, ebbene tutto finirà in un nuovo Big Bang di segno opposto al primo, che annienterà ogni forma di vita umana, dando un calcio definitivo ad ogni ingenua visione di un Dio-Amore, capace di dare risposte all'irrazionale legno storto dell'umanità, per ingannarlo di essere più buono del cobra e della murena.
Anche una predizione di questo tipo, tuttavia, non scansa la fatica di tirare avanti fino a quel giorno, cercando di non perdersi proprio tutto il meglio che in questa vita può incontrarsi ancora, venire creato, forse ricreato, qualunque sia la sua origine e la sua destinazione, quale che sia la particolare condizione vissuta, la situazione emotiva con cui ci ritroviamo immersi, gettati nell'esistenza, e che varia con noi, come noi variamo grazie ad essa.
Accettare la variazione come la sola formula di resistenza, dunque, può essere possibile solo se ci si illude di poter vivere per sempre, in un equilibrio senza durata realmente misurabile, che tuttavia resta sostenuto da una spes contra spem il cui sapore dolce, se ci si ferma un istante cambiando prospettiva dell'insieme, riaffiora nella nostra bocca facendoci venire l'acquolina di nuovi giorni, nuove albe, nuovi posti e progetti da fare, libri da leggere, discorsi e film con cui intrattenersi, corpi da adorare e da cui lasciarsi amare insaziabilmente. Come se la morte non dovesse venire, non ora. E Dio, buono, giusto, indifferente o vendicativo che sia, se ne stesse comunque alla giusta distanza per una volta, schiacciandoci persino l'occhio quando al timore che osteggia il nostro cuore sappiamo abilmente avvicinare sua sorella speranza e lasciarle fare il suo compito: cambiare aria nella nostra dimora interiore, aprendo tutte le finestre che il terrore sigilla, giocando come un ladro con il nostro respiro che solo la leggera speranza ha veramente "a cuore".
Per tutta la vita ci sarà chi chiuderà finestre e porte e chi le aprirà. Bisognerebbe allora stare attenti tanto all'aria viziata, quanto alle correnti d'aria. Forse non si tratta tanto d'avere paura al momento opportuno, ma solo di non concederle troppo potere, alternandola al moto opposto, che si premura di liberarcene con grazia ineffabile.
La vera disperazione, speranza stravolta come dice il nome, è solo la tirannia della paura, è così semplice ed ovvio che lo si dimentica facilmente.
Perciò, i ricercatori d'oro vanno ad aprire le finestre e si sforzano di respirare a pieni polmoni. Il nuovo big bang si avvicina e non resta loro che aspettarlo serenamente, mantenendo pulita l'aria interiore, da millenni chiamata, non a caso, anima, psychè, alito, soffio di vento..
Dopo tante traversie, i ricercatori d'oro hanno deciso d'essere d'ora in poi solo R-espiro, almeno fino a quando la R per ognuno di loro cadrà. Così, al congedo da questa terra, essi soffieranno via tutta l'aria-aurea negli anni concessi raccolta, perchè chi verrà dopo possa trarne "ispirazione", riprendendo a respirare diversamente, ma in invisibile, eppure reale, continuità con il loro aureo respiro.

venerdì 22 luglio 2011

Lui, Lei e l'oceano

Siamo la sommatoria delle nostre scelte. Introdurre veleni senza interromperne il flusso quando ancora si ha la capacità di intendere quanto siano letali è la prima causa del decesso dell’equilibrio umano, maschile e femminile. Eppure si continua a sbagliare, finendo con il ritenere naturale ciò che non si riesce a rivoluzionare per mancanza di volontà.
Fragilissima creatura, incapace di perseverare nella logica di autoconservazione mangiando il più debole come gli animali, l’uomo ( o solo la donna?) è costretto ad amare per cercare di riprodursi ed in questo modo distrugge sé stesso, a volte la sua parte più fondamentale. Tuttavia questo non accade allo stesso modo.
Assai banalmente si potrebbe dire che l’uomo getta il seme, non sottrae niente al suo essere, anzi lo incrementa. La donna, invece, ovula, può fecondare o no, ma non può che accogliere, fare spazio, venire penetrata, lacerata, ferita. È il dispendio di memoria batailleana, la ricerca di una mancanza d’essere a guidarla, non certo l’autoconservazione violenta di chi impone il suo essere sull’altro con l’intento specifico di dominarlo. La donna, si dirà, si immola, si sgretola, si fa piccolissima e non nasconde le lacrime perché ha bisogno di soffrire per essere biologicamente sana.

E no, e che diamine!
Ricordiamoci sempre di quanto scritto da Anna Koedt nel lontano 1970, in The Myth of the Vaginal Orgasm. Attraverso il mito freudiano della penetrazione, «le donne sono state definite sessualmente nei termini che piacciono agli uomini [...] siamo state nutrite col mito della donna liberata e del suo orgasmo vaginale - un orgasmo che di fatto non esiste».
Come dirà Carla Lonzi: «la donna clitoridea non ha da offrire all'uomo niente di essenziale, e non si aspetta niente di essenziale da lui. Non soffre della dualità, e non vuole diventare uno».

Tutto questo è ignoto ancora alla maggior parte degli uomini. Chi ne è consapevole, invece, è probabile celi con abilità la sua disperazione, ammesso che la conosca sul serio, nel non potere appagare come pensa la "sua donna" e nel dover rinunciare ad esercitare la sua potenza senza timore degli effetti nocivi per chi gli sta accanto.
Forse fa finta di niente e prosegue convinto di dominare sul serio la sua "pupa", regalandole qualche gioiello o prenotando dei week-end che spezzino la routine.
Compagne con cui condividere "occasioni" di fuga, da esibire come trofei a qualche cocktail, senza ostacolare nè la carriera nè il fancazzismo. Questo per molti devono essere le donne, nient'altro, possibilmente mute e con l'elettroencefalogramma piatto.
Che continui pure ad inscenare insulse lotte per il riconoscimento e mai per la riconoscenza, inseguendo ideali di potere che la donna ha sempre trovato ridicoli!
Alla donna della dissennatezza maschile ormai non dovrebbe più importare un fico secco...
Se sono stati i maschi a fare le guerre, lei sa benissimo che è accaduto perché a curare le ferite erano le infermiere (così come infermiera fu una delle prime femministe, Emma Goldman) e perché ad aspettarli a casa erano le mogli e le fidanzate, tradite, dimenticate, con retorica suadente riconquistate, senza che si lasciasse mai loro la possibilità di pensare ad un bene proprio.
Eppure, ancora oggi, la donna spesso dimostra di non sapere affatto cosa ciò voglia dire.
Sono tutte apparentemente pazze le donne – o solo quelle eterosessuali?- che non hanno ancora chiaro quale dannato equilibrio possa mai spettare a chi voglia vivere il sentimento amoroso, senza rassegnarsi all'apatia che rende al confronto più succose persino le vicende narrate nei telefilm americani.
Ancora troppe volte sembra che non si sia compiuta alcuna emancipazione effettiva, che il femminismo sia stata una nuvoletta rosa in un cielo ormai del tutto nero. E questo accade non solo quando si verificano gli ormai noti orrori nelle stanze del potere, tra troione di regime e prostitute consumate dalle logiche contemporanee del "ti mostro il pelo e ti dileguerai, ma prima dammi tutto ciò che hai".
Ci sono donne che quotidianamente, malgrado il recente movimento "se non ora quando", borghese come è borghese questo tipo di femminismo, ancora si distruggono pensando di non valere niente se non sono toniche a sufficienza per piacere al loro uomo. Si sfregiano, ritenendosi, per diverse ragioni, troppo imperfette ed inadeguate. Si svendono, immaginando che nessuno possa trovare loro degne più di quanto non faccia un meschino ciarlatano incontrato per via, dopo tanti esperimenti che hanno solo fatto crollare il sogno infantile del principe azzurro. Sono pronte improvvisamente ad arraffare le briciole d’affetto di chiunque sia disposto a portarle a cena una volta, a coccolarle un po’, farle sentire belle e materne.
Così le loro esistenze svaniscono in un desiderio mai appagato di un coito vaginale che, qualora anche miracolosamente giungesse, non varrà a giustificare tutti quei salti mortali per tenere in piedi una coppia e, poi, forse, una famiglia.
Soltanto i figli, inutile negarlo, rimarrebbero come garanzie che il loro essere abbia un significato profondo e più duraturo. Ma sono sempre meno propense a generare, perchè l'indipendenza economica è un lusso sempre più raro, innanzitutto. E poi perché riconoscersi nel maschio, anche il più tenero di tutti, resta una speranza di impossibile concretezza, giacché l'impressionante mutevolezza del sesso maschile, indebolito e frustrato all'inverosimile, rende ogni compagno decisamente inaffidabile, uno specchio frammentario nel quale ogni riflesso benefico viene presto rimpiazzato da uno mostruoso, che diete isteriche e corse forsennate verso l’ultimo paio di scarpe alla moda cercheranno invano di compensare.
Per fortuna ci sono le amiche con cui trasformare questa desolante situazione in un ironico pomeriggio trascorso a prendere in giro la bassezza maschile, un attimo prima di perdersi in nuove dinamiche di vanità e sottomissione che le renderanno sempre distanti dalla scoperta di un essere alternativo a quello suggerito dalla tradizione.
Insomma, a cosa è servito il femminismo? A rovinare gli uomini, rendendo indefinita la loro "virilità"? A rendere ancora più insoddisfatta la donna etero, pronta a pensare che le "affinità elettive" siano un'utopia e solo le lesbiche possano essere felici?
Non lo so. Ma da quello che ho imparato in questi anni traggo la conclusione che se si sceglie la solitudine, se ci si mette in testa di potere scardinare del tutto questo andazzo, rinunciando interamente al meccanismo perverso della seduzione, si è già fuori dal tracciato della salvezza.
Si rinuncia al corpo, si mortifica un’altra volta la sessualità per il gusto di una preziosa “dignità” che dura poco, come effetto glorioso di una fortunata stagione di determinazione di sapore maschile.
Perciò, l’alternativa mi sa che è non sciogliere il nodo. Rimanere nell’aporia. Accettare l’incomparabilità dei tratti che rendono l’uomo e la donna due isole lontane in un oceano che dipende solo da noi rendere, pur in mezzo a tante tempeste, tutto sommato navigabile, piuttosto che pensarlo inquinato al punto da impedire qualunque avvicinamento.
E quando ci si stanca, non solo nuotare da soli non guasta, ma nessuno assicura che lo scopo sia veramente raggiungere l'altra isola e piantare una tenda lì.
L'importante è uscire fuori dalla propria isola, perdersi nel mare dell'esperienza... e poi sarà quel che sarà.
Perchè, se signori si nasce, donne si diventa.
Fate un bel respiro, perciò, care donne, la partita è tutta nostra, e, giocata con strategia o con buone dosi di pietà che sia, attende tutto il nostro entusiasmo, il bisogno-voglia di scrivere nuove pagine di Storia che non mortifichino l'impegno di chi ci ha preceduto, lottando per la nostra libertà.
Scacciamo via ogni attacco di panico della malora... e tuffiamoci perchè, dopo tutto, è molto meglio annegare che soffocare.

sabato 2 luglio 2011

Friedrich Hölderlin: In lieblicher Bläue

In lieblicher Bläue blühet mit dem metallenen Dache der Kirchturm. Den umschwebet Geschrei von Schwalben, den umgibt rührendste Bläue. Die Sonne gehet hoch darüber und färbet das Blech, im Winde aber oben stille krähet die Fahne. Wenn einer unter den Glocken dann herabgehet jene Treppen, ein stilles Leben ist es, weil wenn abgesondert so sehr die Gestalt ist, die Bildsamkeit herauskommt dann des Menschen. Die Fenster, daraus die Glokken tönen, sind wie Tore an Schönheit. Nämlich weil noch der Natur nah sind die Tore, haben diese ähnlichkeit von Bäumen des Waldes, Reinheit aber ist auch Schönheit.Innen aus Verschiedenem entsteht ein ernster Geist. So sehr einfältig aber die Bilder, so sehr heilig sind sie, daß man wirklich oft fürchtet, die zu beschreiben. Die Himmlischen aber, die immer gut sind, alles zumal, wie Reiche, haben diese Tugend und Freude. Der Mensch darf das nachahmen. Darf, wenn lauter Mühe ein Leben, ein Mensch aufschauen, und sagen : So will ich auch sein ? Ja. Solange die Freundlichkeit noch am Herzen, die Reine, dauert, misset nicht unglücklich der Mensch sich mit der Gottheit. Ist unbekannt Gott ? Ist er offenbar wie der Himmel ? Dieses glaub'ich eher. Der Menschen Maß ist's. Voll Verdienst, doch dichterisch wohnet der Mensch auf dieser Erde. Doch reicher ist nicht der Schatten der Nacht mit den Sternen, wenn ich so sagen könnte, als der Mensch, der heißet ein Bild der Gottheit.Gibt es auf Erden ein Maß ? Es gibt keines. Nämlich es hemmt den Donnergang nie die Welten des Schöpfers. Auch eine Blume ist schön, weil sie blühet unter der Sonne. Es findet das Aug' oft im Leben Wesen, die viel schöner noch zu nennen waren als die Blumen. Oh ! Ich weiß das wohl. Denn zu bluten an Gestalt und Herz und ganz nicht mehr zu sein, gefällt das Gott ? Die Seele aber, wie ich glaube, muß rein bleiben, sonst reicht an das Mächtige mit Fittichen der Adler mit lobendem Gesange und die Stimme so vieler Vögel. Es ist die Wesenheit, die Gestalt ist's. Du schönes Bächlein, du scheinst so rührend, indem du rollest so klar, wie das Auge der Gottheit durch die Milchstraße. Ich kenne dich wohl, aber Tränen quellen mir aus den Augen. Ein heitres Leben seh'ich in den Gestalten mich umblühen der Schöpfung, weil ich es nicht unbillig vergleiche den einsamen Tauben auf dem Kirchhof. Das Lachen aber scheint mich zu grämen der Menschen nämlich ich hab' ein Herz. Möcht ich ein Komet sein ? Ich glaube. Denn sie haben die Schnelligkeit der Vögel ; sie blühen an Feuer und sind wie Kinder an Reinheit, Größeres zu wünschen kann nicht des Menschen Natur sich vermessen. Der Tugend Heiterkeit verdient auch gelobt zu werden vom ernsten Geiste, der zwischen den drei Säulen wehet des Gartens. Eine schöne Jungfrau muß dasHaupt umkränzen mit Myrtenblumen, weil sie einfach ist ihrem Wesen nach und ihrem Gefühl. Myrten aber gibt es in Griechenland.Wenn einer in den Spiegel siehet, ein Mann, und siehet darin sein Bild wie abgemalt, es gleicht dem Manne. Augen hat des Menschen Bild, hingegen Licht der Mond. Der König Oedipus hat ein Auge zu viel vielleicht. Diese Leiden dieses Mannes, sie scheinen unbeschreiblich, unaussprechlich, unausdrücklich. Wenn das Schauspiel ein solches darstellt, kommt's daher. Wie aber ist mir, gedenk'ich deiner jetzt ?Wie Bäche reißt das Ende von Etwas mich dahin, welches sich wie Asien ausdehnt. Natürlich dieses Leiden, das hat Oedipus. Natürlich ist's darum. Hat auch Herkules gelitten ? Wohl die Dioskuren in Ihrer Freundschaft haben die nicht Leiden auch getragen ? Nämlich mit Gott wie Herkules zu streiten, das ist Leiden. Und die Un-sterblichkeit im Neide dieses Lebens, diese zu teilen, ist ein Leiden auch. Doch das ist auch ein Leiden, wenn mit Sommerflecken ist bedeckt ein Mensch, mit manchen Flecken ganz überdeckt zu sein ! Das tut die schöne Sonne. Nämlich die ziehet alles auf. Die Jünglinge führt die Bahn sie mit Reizen ihrer Strahlen wie mit Rosen. Die Leiden scheinen so, die Oedipus getragen, als wie ein armer Mann klagt, daß ihm etwas fehle. Sohn Laios, armer Fremdling in Griechenland ! Leben ist Tod. Und Tod ist auch ein Leben.



In amabile azzurro fiorisce con il tetto metallico il campanile. Lo attornia garrire di rondini in volo, lo avvolge l’azzurro più toccante. Il sole lo sovrasta e colora le lamine, ma lassù nel vento quieta stride la bandiera. E se qualcuno poi scende quelle scale sotto la campana, è una vita nella quiete, perché quando la figura è così isolata, allora dell’uomo emerge la plasmabilità. Le finestre da cui risuonano le campane sono come porte sulla soglia della bellezza.
Infatti, poiché le porte ancora sono secondo natura, somigliano agli alberi del bosco. Ma purezza è anche bellezza. Uno spirito grave sorge nell’intimo da ciò che è diverso. Ma pur così semplici, sacre sono le immagini, che sovente di descriverle si teme. I Celesti però, sempre benigni, hanno tutto in una volta, come chi è ricco, hanno virtù e gioia. È lecito che l’uomo li imiti. È lecito, se la vita è pura fatica, che un uomo si affacci a guardare e dica: così voglio essere anch’io? Si. Finché la gentilezza , pura, si conserva nel suo cuore, l’uomo non si misura infelicemente con la divinità. È sconosciuto Dio? È manifesto come il cielo? Questo credo, piuttosto. Dell’uomo è la misura. Colmo di meriti, ma poeticamente, l’uomo dimora su questa terra. Ma l’ombra della notte con le stelle non è più pura, se così posso dire, dell’uomo, che immagine della divinità è chiamato.
C’è sulla terra una misura? Non ve n’è alcuna. Mai infatti i mondi del creatore fermano la marcia del tuono. Anche un fiore è bello, perché fiorisce sotto il sole. Sovente l’occhio trova nella vita creature che occorrerebbe chiamare molto più belle dei fiori. Oh! Io lo so bene! Giacché sanguinare nella persona e nel cuore, e più non essere, piace a Dio? Ma l’anima, come credo, deve restare pura, altrimenti giunge al Potente librandosi sulle ali l’aquila con canto di lode e con la voce di molti uccelli. È l’essenza, la forma. Bel ruscello, tu sembri commovente, mentre scorri chiaro, come l’occhio della divinità attraverso la Via lattea. Io ti conosco, ma dall’occhio sgorgano lacrime. Una vita serena vedo fiorire nelle figure della creazione che mi circondano, perché non a torto la paragono alle colombe solitarie nel cimitero. Ma il riso degli uomini sembra affliggermi, io ho infatti un cuore. vorrei essere una cometa? Così ritengo. Giacché hanno la rapidità degli uccelli; fioriscono al fuoco e sono come fanciulli nella purezza. Desiderare qualcosa di più grande la natura umana non può arrogarsi. La serenità della virtù merita anche di essere lodata dallo spirito grave, che alita tra le tre colonne del giardino. Una vergine bella deve cingersi il capo con fiori di mirto, perché è semplice la sua natura, e semplice nel sentimento. Ma vi sono mirti in Grecia.
Se uno guarda nello specchio, un uomo, e vede la sua immagine, come dipinta; somiglia all’uomo. Occhi ha l’immagine dell’uomo, mentre luce ha la luna. Il re Edipo ha forse un occhio di troppo. I dolori di quest’uomo sembrano indescrivibili, impronunciabili, inesprimibili. È per questo che il dramma li rappresenta. Ma perché ora a te penso? Come ruscelli mi trascina la fine di qualcosa che si estende come l’Asia. Questo dolore, naturalmente, lo prova Edipo. È per questo, naturalmente. Anche Eracle ha sofferto? Certo. E nella loro amicizia non hanno patito i Dioscuri il dolore? Lottare come Eracle con Dio, questo è dolore. E l’immortalità nell’invidia di questa vita, doverla dividere, è pure dolore. Ma anche questo è dolore, quando l’uomo è coperto da macchie di sole, esserne interamente ricoperto! Fa questo il bel sole: tutto infatti esso educa. Con la seduzione dei suoi raggi, come con rose, l’orbita attrae i giovani. I dolori patiti da Edipo sembrano quelli di un pover’uomo che si lamenta di ciò che gli manca. Figli di Laio, povero straniero in Grecia! La vita è morte,e anche morte è una vita.