tag:blogger.com,1999:blog-15738255613108848222024-03-05T18:44:32.896-08:00Nata dal caosDa lì sono nata e qui, senza saper spiegare bene perché, navigo.. Tra le tante tracce sparse nel web, in mezzo a disseminazioni incessanti di impressioni ed espressioni scoordinate e resistenti ad ogni possibile organizzazione "sensata".
Andremo verso il caos o verso il kosmos? E cosa spinge a porsi questa domanda?
Ai posteri l'ardua sentenza.
Per adesso, incurante del pericolo nascosto nell’eccesso, mi beo del mio caos e ne scaglio qualche frammento virtuale anche qui...silviazzahttp://www.blogger.com/profile/08542179449503713697noreply@blogger.comBlogger63125tag:blogger.com,1999:blog-1573825561310884822.post-69430467202850113242014-09-10T04:53:00.005-07:002023-11-11T09:51:38.939-08:00Cosa sarai domani Palermo?<span class="_5yl5" data-reactid=".e2.$mid=11410344937906=2cf33431706c21fde41.2:0.0.0.0.0"><span class="null">Fermenti.
Lasciarsi scombussolare dalla vita senza imporle regole rigide che
delimitino invano la sua aspirazione incessante a essere tutto, tutto
contenere, tutto abbracciare. La noia e l’impegno, la gioia e
l’angoscia, il brivido sulla schiena e il prurito sotto il piede. </span></span><div><br /><div><span class="_5yl5" data-reactid=".e2.$mid=11410344937906=2cf33431706c21fde41.2:0.0.0.0.0"><span class="null"><b>Nulla
sta fermo finché ci siamo.</b></span></span></div><div><span class="_5yl5" data-reactid=".e2.$mid=11410344937906=2cf33431706c21fde41.2:0.0.0.0.0"><span class="null"><b><br /></b></span></span></div><div><span class="_5yl5" data-reactid=".e2.$mid=11410344937906=2cf33431706c21fde41.2:0.0.0.0.0"><span class="null"> Tutto si sperimenta, ci sperimenta,
attraversando le narici e i lobi, accatastandosi nei bulbi oculari e
nelle unghie senza posa, come se l’infinita successione dei giorni non
avesse mai una fine possibile. </span></span></div><div><span class="_5yl5" data-reactid=".e2.$mid=11410344937906=2cf33431706c21fde41.2:0.0.0.0.0"><span class="null"><br /></span></span></div><div><span class="_5yl5" data-reactid=".e2.$mid=11410344937906=2cf33431706c21fde41.2:0.0.0.0.0"><span class="null">E in fondo è proprio così, la fine non
esiste. La fine di uno stato è l’inizio di un altro. Trasmutazioni
permanenti, lavorio continuo che confonde ogni certezza senza depredare
l’Assoluto, che mai ci è apparso così importante reclamare e tornare ad
adorare.</span></span></div><div><span class="_5yl5" data-reactid=".e2.$mid=11410344937906=2cf33431706c21fde41.2:0.0.0.0.0"><span class="null"> Elevarsi è <i>conditio sine qua non</i> per riscoprire l’uomo oltre le più
becere antropologie, pronte a esaltarne solo la parte istintiva ed animalesca, non vedendone le più o meno nascoste potenzialità che lo
spingono a essere un animale simbolico, carente di forza e costretto,
perciò, a sublimare i moti più fisiologici e brutali, mediare, fare
spazio a qualcosa di superore, creare, insomma, per contenere e
resistere alla morte e alla sopraffazione dei più “adatti”.</span></span></div><div><span class="_5yl5" data-reactid=".e2.$mid=11410344937906=2cf33431706c21fde41.2:0.0.0.0.0"><span class="null"><br /></span></span></div><div><span class="_5yl5" data-reactid=".e2.$mid=11410344937906=2cf33431706c21fde41.2:0.0.0.0.0"><span class="null"> Chi
sarebbero? Gli “integrati”, quelli potenti perché espressione pienamente
omologata della moda imperante; il branco che idolatra e non pensa, la
pancia molle dell’umanità che non è mai sazia e però, pur non rappresentando l’intero, ma solo la sua parte più ingorda - e che vive nell’assenza di
misura tanto delle sue avide ambizioni, quanto della sua indolente
stupidità-, rischia di connotarla in modo predominante e univoco</span></span>. </div><div><br /></div><div><span class="_5yl5" data-reactid=".e2.$mid=11410344937906=2cf33431706c21fde41.2:0.0.0.0.0"><span class="null">Non a
loro, amiche e amici miei, non a questa triste tracotanza nel farsi
apparenti padroni del mondo occorre guardare per compensare la naturale
tendenza all’abbattimento dell’essere umano.</span></span></div><div><span class="_5yl5" data-reactid=".e2.$mid=11410344937906=2cf33431706c21fde41.2:0.0.0.0.0"><span class="null"><br /></span></span></div><div><span class="_5yl5" data-reactid=".e2.$mid=11410344937906=2cf33431706c21fde41.2:0.0.0.0.0"><span class="null"> Il vero coraggio nasce nel momento in cui lo scopo prefissato è un
<b>incremento d’essere,</b> non di “avere”, e il prezzo che si è disposti a
pagare per lo sforzo richiesto per raggiungerlo appare sempre poco
rispetto alla mèta da conquistare.</span></span></div><div><span class="_5yl5" data-reactid=".e2.$mid=11410344937906=2cf33431706c21fde41.2:0.0.0.0.0"><span class="null"><br /></span></span></div><div><span class="_5yl5" data-reactid=".e2.$mid=11410344937906=2cf33431706c21fde41.2:0.0.0.0.0"><span class="null"> La mia città è una terra dannata, disperata, sofferente e incapace
(apparentemente) di redenzione.</span></span></div><div><span class="_5yl5" data-reactid=".e2.$mid=11410344937906=2cf33431706c21fde41.2:0.0.0.0.0"><span class="null"> I modelli eccellenti che essa stessa ha prodotto e a cui sarebbe
obbligatorio ispirarsi per il suo riscatto, da tempo sembrano soffocati
dall’ignoranza e dalla volontà di raggiungere un successo immediato ed
esclusivamente materiale, senza nessuna cura per i mezzi da impiegare in
una fantomatica ascesa sociale che prevede al suo apice l’illimitato
Potere, in barba a ogni limite e rispetto degli altri. </span></span></div><div><span class="_5yl5" data-reactid=".e2.$mid=11410344937906=2cf33431706c21fde41.2:0.0.0.0.0"><span class="null"><i>Belluscone</i> di Maresco è un’opera sconsolante che descrive la maggioranza
della popolazione palermitana, verso la quale il regista non prova più
la pietà mostrata in passato per un Paviglianiti o un Giordano. </span></span></div><div><span class="_5yl5" data-reactid=".e2.$mid=11410344937906=2cf33431706c21fde41.2:0.0.0.0.0"><span class="null">Maresco
non riesce a nascondere la nausea, il disgusto totale per questo tipo di
cultura berlusconiana che ha vinto grazia alla mafia e della mafia si è
nutrita continuamente per accrescere il suo impero. </span></span></div><div><span class="_5yl5" data-reactid=".e2.$mid=11410344937906=2cf33431706c21fde41.2:0.0.0.0.0"><span class="null">Nel suo film non ci
sono vie d’uscita allo sfacelo attuale. </span></span></div><div><span class="_5yl5" data-reactid=".e2.$mid=11410344937906=2cf33431706c21fde41.2:0.0.0.0.0"><span class="null">Mentre scorrono i titoli di
coda, scorrono immagini che mostrano una classe “borghese” (i gggiovani
del Kalhesa) che, quando riesce a capire cosa le si domandi, nega
l’esistenza della trattativa Stato-Mafia e non ha memoria delle date che
hanno segnato in modo indelebile la storia cittadina.
Loro non sono affatto migliori delle ragazzine urlanti sotto il palco
allestito a Brancaccio per l’esibizione di Vittorio Ricciardi, né sono
superiori ai periferici che aspettano il ritorno di Silvio, giudicano la
più grande ignominia l’accostamento all’essere “sbirro” e salutano “gli
ospiti dello Stato”dal programma del mitico impresario Ciccio Mira. </span></span></div><div><span class="_5yl5" data-reactid=".e2.$mid=11410344937906=2cf33431706c21fde41.2:0.0.0.0.0"><span class="null"><br /></span></span></div><div><span class="_5yl5" data-reactid=".e2.$mid=11410344937906=2cf33431706c21fde41.2:0.0.0.0.0"><span class="null"><b>L’assenza di coscienza civica è trasversale alle classi di appartenenza:
non c’è sentore alcuno di rispetto per le istituzioni e amore per il
bene comune, né a Villagrazia né in via Libertà.</b></span></span></div><div><span class="_5yl5" data-reactid=".e2.$mid=11410344937906=2cf33431706c21fde41.2:0.0.0.0.0"><span class="null"><br /></span></span></div><div><span class="_5yl5" data-reactid=".e2.$mid=11410344937906=2cf33431706c21fde41.2:0.0.0.0.0"><span class="null"><b></b>Sporcarsi e sporcare, senza pena per chi verrà, è stato il monito che ha
guidato un intero Paese nei decenni trascorsi sotto la Democrazia
Cristiana, ma è stato certamente Silvio a dare un colpo di grazia
decisivo a quella fiducia nello Stato che occorreva disintegrare per
creare una società collusa, priva di quella </span></span>spina dorsale necessaria per combattere
fermamente tutti quei comportamenti illeciti dei singoli che finiscono
con il gravare sull’intera collettività.</div><div> Ci siamo <i>abituati</i> al mostro individualista del berlusconismo propagato
dalle sue reti al punto da non trovare più sconcertante l’utilizzo della
televisione per la diseducazione delle masse. </div><div>La volgarità non
scandalizza più. </div><div> Niente viene più difeso con la stessa intensità con la
quale hanno lottato per ideali di giustizia Rizzotto Peppino, Giovanni
Falcone, Paolo Borsellino e le altre centinaia di vittime che la mafia
ha mietuto nel secolo scorso, quando magari ancora era più “galante”nei
confronti delle donne (dice Ciccio Mira) e non si era confusa del tutto
con il mondo della finanza e della politica. </div><div>Il miracolo negli ultimi vent’anni è apparso davvero conoscere
Berlusconi, entrare nelle sue grazie o nelle sue televisioni per
diventare qualcuno e non doversi più confrontare con la vita misera,
tanto di periferia quanto del centro. </div><div><br /></div><div>Perché non conta dove nasci quando
non hai più la capacità di cercare e proteggere la bellezza, la verità e
la giustizia. Potresti abitare di fronte alla Cattedrale, andare a
correre a Mondello al tramonto, prenderti poi un aperitivo alla Cala e
cenare a Monreale senza che il tuo sguardo torni a essere vivo e capace
di inseguire ciò che è importante, distinguendolo dai falsi miti e dalle
ridicole bugie con cui la massa intontita da sempre ama ubriacarsi, ma
che oggi sembra abbia sul serio raggiunto l’acme del suo inebetimento. </div><div>Su una cosa il Dell’Utri intervistato poco felicemente da Maresco ha
ragione:</div><div><b> Vogliono dormire e non migliorare questi siciliani, come sapeva
il principe del Gattopardo</b>. </div><div>Non dimentichiamoci mai, però, che uno dei
più abili fabbricanti di narcotici sia stato proprio lui, Marcellino,
oggi ospite in un altro Stato, perché d’andare in galera per quelli come
lui non se ne parla.</div><div> Quella è sorte che tocca ai Ciccio Mira, che quindi, con un misto di
disapprovazione e pietà, ci toccherà salutare. </div><div><br /></div><div>Chi sarà il prossimo? E, soprattutto, <b>servirà a qualcosa distinguere il
corrotto dall'onesto?</b> Varrà qualcosa impegnarsi nel titanico sforzo di
scongiurare il pericolo nascosto nell'assorbimento dell'idea di comunità
in quella di un coacervo che appiattisce tutto e tutti
nell'indifferenziato?
Laddove a Maresco è parso esserci solo desolazione senza fondo e senza
speranza, possiamo sperare che seguirà un moto improvviso di risalita
che mostri l'umano e la fierezza dei suoi ideali anche qui?</div><div><br /></div><div> Sto per diventare madre e devo per forza credere che sì, oltre a
Belluscone, possa iniziare un'altra storia siciliana.</div></div>silviazzahttp://www.blogger.com/profile/08542179449503713697noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1573825561310884822.post-86949341608090127272014-06-26T01:48:00.004-07:002023-11-10T02:54:18.525-08:00ESSERE RIVOLUZIONE Chi può permettersi di non pensare al denaro ormai raramente incontra la mia simpatia.<div><br /></div><div> Ignaro, come ignara ero io, dell' immenso privilegio che è questa mancata preoccupazione, questi osserva con noia e fastidio chi perde il sonno appresso alle cifre, cercando a tutti i costi di far quadrare i conti non certo per amore pitagorico verso i numeri, ma solo per tentare di sopravvivere e scalzare l'angoscia di superare la soglia oltre la quale comincia la più nera povertà. </div><div><br /></div><div>Può anche darsi che quest'ultima affascini il nostro fortunato benestante come fosse una condizione dello spirito sublime per ricevere la grazia di Dio o attuare un processo misticheggiante di kènosis che lo spogli di ogni superflua incrostazione, mentale e non. Ma è facile pensare con voluttà al vuoto quando si ha lo stomaco pieno e una bolletta non è mai stata un problema.<div><br /></div><div> Di questo il borghese di cui parlo appare spesso essere cosciente ed è per questo che ciclicamente attraversa fasi di incondizionata passione sociopolitica, studiando i modi che crede più efficaci per garantire la giustizia sociale tra i suoi simili e diffondere uno stile di vita sobrio che assecondi una decrescita felice, dopo che a godere dei benefici del capitalismo sono stati probabilmente i genitori suoi e di quei suoi cari amici che oggi mangiano bio, concentrando nello stomaco il campo della vera rivoluzione.</div><div><br /></div><div>Ridimensionare le pene di chi affoga nella più tetra disperazione, però, può accadere solo se si conosce almeno un po' la paura degli stenti; solo se si è stati almeno una volta sull' orlo del fallimento e si è temuto di non avere di che cibarsi per giorni interi, lottando per ottenere qualche spicciolo con cui "autoconservarsi".</div><div><br /></div><div>Se si guarda l'umanità spogli di ideologia- operazione praticamente impossibile, cui pure ci si deve sforzare di mirare- , si troverà infatti come questa non sia una moltitudine tanto attiva e protagonista indiscussa della vita della società come pensa Negri, ma, purtroppo, per lo più una marea di donne e uomini strozzati dalla paura di non farcela, schiacciati dall'angoscia delle spese al punto da perdere lo slancio e l'inventiva per ottenere con il sudore della propria fronte qualche bene primario. </div><div><br /></div><div>Mantenere la calma e cercare la via d' uscita al dramma della miseria è impresa straordinaria, concessa di solito a chi se non ottiene un lavoro, trova comunque un sostegno nella famiglia. Per il resto, laddove questa non possa aiutare, ci si dovrebbe rivolgere allo Stato, che altrove riesce a mostrare il suo volto benevolo, andando incontro a licenziati, disoccupati e minoranze-maggioranze a rischio emarginazione. Per l' opinione pubblica si diventa così dei meschini questuanti che vivacchiano sulle spalle di chi fatica; dei parassiti disgustosi che non hanno alcun consenso in società e non sempre si raggelano specchiandosi nell' immagine di condanna che la comunità offre di loro. Non lavorare è consentito solo dopo che si è prestato servizio in modo onesto, accrescendo con il proprio contributo il pil del proprio Paese, dicono. </div><div> Anche quando il lavoro risulta del tutto inutile, è visto con occhio migliore dell' ozio, nemico acerrimo dell' ordine sociale. </div><div><br /></div><div>Ma chi, pur non volendolo, si trova a oziare, è giusto che, pur di impiegarsi in qualche modo così da fuggire le accuse che pioverebbero sul suo capo, rinunci al sogno che aveva e attraverso cui, magari, pensava di poter contribuire seriamente alla crescita economica e culturale della nazione? </div><div><br /></div><div>Bisognerebbe cercare di rianimare il tessuto sociale, scorticato dall' accidia indotta dalla dilagante disoccupazione, e opporsi con fermezza alla richiesta di "sprecarsi pur di sopravvivere", mostrandosi, al contrario, fedeli alle proprie radici, alle scelte dolorose del passato, così da dare senso al percorso di formazione che c'è stato (ammesso, naturalmente, che ci sia stato!). <div><br /></div><div>Per <i><b>essere rivoluzione</b></i>, oggi non ci si deve automutilare, ma tornare a insistere perché le passioni dominanti riemergano e ci si riscopra un tassello unico nel mosaico umano, che urge rispettare nella sua diversità e incomparabilità al suo vicino, cui lo lega tuttavia sempre l'aspirazione a un disegno comune. </div><div><br /></div><div><b>Non si può essere sempre interscambiabili, come ci ha abituati a pensare quest'epoca di precariato devastante. </b></div><div><b><br /></b></div><div>Occorre diventare bravi, bravissimi nel proprio mestiere e non svendersi, se non per brevi periodi che non compromettano comunque l'obiettivo centrale di praticare ciò che amiamo di più. </div><div><br /></div><div>Chi finisce per trascorrere la vita senza fare ciò che desidera, alla fine avrà ceduto alle pressioni del capitale, addomesticando con violenza una passione costretta prima o poi a liberarsi dalle catene della repressione, rivelando in seguito la vera natura dell'aria frustrata con cui si trascineranno cupamente le giornate.In sintesi, essere rivoluzione implica almeno tre importanti, seppur financo banali, condizioni:<div>1) Formare con pazienza e costanza sé stessi, che è il primo compito che spetta a ogni essere umano autentico;</div><div>2) Calare nella realtà il frutto di quella formazione, senza stancarsi di contrastare la tendenza al livellamento conformistico, è il compito secondario, solo cronologicamente;</div><div>3) Infine, avere sempre cari la fatica e il sacrificio, perché nulla ci viene regalato in questa vita e solo chi combatte con energia lascia tracce importanti nella vita comunitaria. </div><div><br /></div><div>Quest'ultima, infatti, prosegue unicamente grazie a chi si spende per il suo miglioramento, superando la grettezza individualistica che fa terminare nell' oggi tutti i suoi dissennati sforzi di fuggire la morte con la vanità.</div><div>E tu, sei pronto a rivoluzionarti per rivoluzionare, senza tradire mai te stesso?</div></div></div></div>silviazzahttp://www.blogger.com/profile/08542179449503713697noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1573825561310884822.post-5679300132185020692013-06-15T00:39:00.002-07:002013-06-15T00:39:16.583-07:00Il carattere distruttivo-W.Benjamin"Nel guardare indietro nella propria vita, potrebbe capitare di riconoscere che quasi tutti i legami più profondi, a cui in essa si è sottostati, hanno avuto origine da persone, sul cui carattere distruttivo erano tutti d'accordo. Un giorno si potrebbe incappare, forse per caso, in quanto fatto e quanto più forte sarà lo choc da cui si sarà colpiti, tanto più grandi saranno le chances per una rappresentazione del carattere distruttivo.
Il carattere distruttivo conosce solo una parole d'ordine: creare spazio; una sola attività: far pulizia. Il suo bisogno di aria fresca e di uno spazio libero è più forte di ogni odio.
Il carattere distruttivo è giovane e sereno. Distruggere infatti ringiovanisce, perché toglie di mezzo le tracce della nostra età; rasserena, perché ogni eliminare, per il distruttore, significa una perfetta riduzione, anzi un'estrazione della radice della propria condizione. A tale immagine apollinea del distruttore ci conduce ancora di più la considerazione di come si semplifichi infinitamente il mondo, se si appura che merita di essere distrutto. Questo è il grande vincolo che stringe armoniosamente tutto l'esistente. Questa è una visione che procura al carattere distruttivo uno spettacolo della più profonda armonia.
Il carattere distruttivo quando lavora è sempre fresco e riposato. E' la natura a prescrivergli il tempo, almeno indirettamente: poiché egli la deve prevenire. Altrimenti intraprenderà lei stessa la distruzione. Il carattere distruttivo non ha alcun modello. Ha pochi bisogni, e nulla gli importa meno che: sapere cosa subentra al posto di ciò che è stato distrutto. In un primo momento, almeno per un attimo, lo spazio vuoto, il luogo dove stava la cosa, dove la vittima ha vissuto. Si troverà certamente qualcuno che lo usa, senza prendere possesso.
Il carattere distruttivo è un segnale. Come un disegno trigonometrico è esposto da tutti i lati al vento, egli è esposto da tutti i lati al pettegolezzo. Proteggerlo da ciò è privo di senso.
Al carattere distruttivo non importa affatto essere compreso. Sforzarsi in questa direzione lo ritiene superficiale. L'essere frainteso non lo può danneggiare. Al contrario tutto questo lo provoca, come lo provocano gli oracoli, queste distruttive istituzioni statali. Il più piccolo-borghese dei fenomeni, il pettegolezzo, ha luogo solo perchè la gente non vuole essere fraintesa.
Il carattere distruttivo si lascia fraintendere; così non incoraggia il pettegolezzo. Il carattere distruttivo è nemico dell'uomo-astuccio. L'uomo-astucccio cerca la propria comodità e di questa l'astuccio ne è la quintessenza. L'interno dell'astuccio è la traccia, rivestita di velluto, che lui ha impresso nel mondo. Il carattere distruttivo cancella perfino le tracce della distruzione.
Il carattere distruttivo sta nel fronte dei tradizionalisti. Mentre alcuni tramandano le cose rendendole intangibili e conservandole, altri tramandano le situazioni rendendole maneggevoli e liquidandole. Questi vengono chiamati i distruttivi.
Il carattere distruttivo ha la coscienza dell'uomo storico, il cui sentimento fondamentale è un'insormontabile diffidenza nel corso delle cose, nonché la prontezza con la quale prende nota del fatto che tutto può andare storto. Perciò il carattere distruttivo è la fiducia stessa.
Il carattere distruttivo non vede niente di durevole. Ma proprio per questo vede dappertutto delle vie. Ma poichè vede dappertutto una via, deve anche dappertutto sgombrare la strada. Non sempre con cruda violenza, talvolta anche con violenza raffinata. Poiché dappertutto vede vie, egli stesso sta sempre ad un incrocio. Nessun attimo può sapere ciò che il prossimo reca con sé. L'esistente lui lo manda in rovina non per amore delle rovine, ma per la via che vi passa attraverso.
Il carattere distruttivo non vive per il sentimento che la vita merita d'essere vissuta, ma perché non vale la pena di suicidarsi."
Walter Benjamin, Il carattere distruttivo, 1972 (trad.it 1980)silviazzahttp://www.blogger.com/profile/08542179449503713697noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1573825561310884822.post-68152590885353903452013-04-10T12:03:00.003-07:002013-04-10T12:03:20.037-07:00L'istruzione rende sottoistruiti- HuizingaIl contadino, il marinaio, l’artigiano di una volta, nel tesoro delle sue conoscenze pratiche trovava anche lo schema spirituale con cui misurare la vita e il mondo. A meno di essere un chiacchierone – in ogni tempo ce ne furono! – sapeva di essere inadatto a giudicare delle cose estranee al suo ambito. Dove capiva che non arrivava il proprio giudizio, s’inchinava all’autorità. Poteva, nella sua limitatezza, essere saggio. La limitatezza dei suoi modi di esprimersi, puntellata dalla conoscenza delle Sacre Scritture e dei proverbi, gli dava precisamente uno stile e, a volte, lo faceva parere eloquente.
La moderna organizzazione per la diffusione del sapere conduce, ahimè, alla perdita dei salutari effetti di quelle limitazioni. L’uomo medio dei paesi occidentali oggi sa un po’ di tutto, e altre cose ancora. Ha il giornale con la colazione, e il bottone della radio a portata di mano. La sera, dopo aver trascorso la giornata in un lavoro o in un negozio che non gli hanno insegnato nulla di essenziale, lo aspetta un film, un giuoco di carte o un’assemblea.
[...]
Anche dove l’individuo sia animato da un sincero impulso verso il sapere e la bellezza, dato l’ossessionante sviluppo dei mezzi di diffusione meccanica dello scibile, difficilmente egli potrà sottrarsi alla noia di ricevere, bell’e confezionati o strombazzati, giudizi e nozioni. Un sapere, che è a un tempo vario e superficiale, e un orizzonte spirituale che per un occhio non protetto dalla critica è troppo ampio, devono portare inevitabilmente a un indebolimento del giudizio.
[...]
Il meccanismo dei moderni divertimenti di massa costituisce inoltre, essenzialmente, un impedimento alla concentrazione. L’elemento dell’abbandono e della trasfusione nell’opera d’arte, data la riproduzione meccanica di ciò che si vede e si ode, vien meno per forza. Manca quel ripiegamento su quanto vi è in noi di piú profondo e il senso di ciò che, nel momento, vi è di sacro, sono cose che non possono mancare all’uomo che voglia possedere una cultura.
La suggestibilità visiva sempre pronta è il punto attraverso il quale la pubblicità afferra l’uomo moderno, e lo colpisce nel lato debole della sua diminuita capacità di giudicare. Questo vale ugualmente per la pubblicità commerciale come per la propaganda politica. L’annunzio reclamistico con un’immagine impressionante risveglia in noi il pensiero della soddisfazione di un desiderio. Esso dà all’immagine la veste piú sentimentale possibile. Stabilisce uno stato d’animo, e con ciò fa appello alla formazione di un giudizio, che si compie tutto in un rapido istante. Se ci si chiede come di fatto la pubblicità agisca sugli individui, e compia in modo rimunerativo la sua funzione, la risposta non è cosí semplice. L’individuo si risolve egli effettivamente all’acquisto della merce vedendo o leggendo l’annunzio? O questo non fa altro che confermare nel cervello dei piú un ricordo, a cui essi reagiscono meccanicamente? O fa parte del giuoco una tal quale intossicazione cerebrale?
Ancor piú difficile da definire è l’effetto della propaganda politica. Quando un individuo si reca alle urne, può egli essere indotto a votare in un senso anziché in un altro dalla vista delle varie spade, falci e martelli, ruote dentate, pugni, soli che spuntano, mani insanguinate ecc., che i partiti gli fanno balenare dinanzi? Non lo sappiamo e possiamo lasciare insoluto il problema. Certo la pubblicità, in tutte le sue forme, specula su un raziocinio indebolito e, grazie alla sua enorme diffusione e importunità, coopera all’indebolimento.
Il nostro tempo è pertanto dinanzi al fatto umiliante che due grandi progressi culturali, da cui molto ci si aspettava, l’istruzione obbligatoria e la pubblicità, invece di concorrere all’elevazione del livello culturale, come pareva ovvio, portano con sé, nella loro applicazione, alcuni sintomi di degenerazione e d’indebolimento. Nozioni d’ogni genere, in una misura non mai pensata finora, e allestite in modi non mai immaginati, vengono messe a portata delle masse; ma c’è qual cosa che non va nell’attitudine ad assimilare l’istruzione ricevuta in modo che giovi veramente a vivere. Una sapienza non elaborata è d’ostacolo al raziocinio e sbarra la via alla saggezza. L’istruzione rende sottoistruiti. È un orribile giuoco di parole; ma purtroppo contiene un senso profondo.
Huizinga, La crisi della civiltà
silviazzahttp://www.blogger.com/profile/08542179449503713697noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1573825561310884822.post-32631110669446325802013-04-10T09:29:00.001-07:002013-04-15T02:50:49.859-07:00Considerazioni antiche sul dolore
"È proprio del dolore non avere vergogna di ripetersi."
Emil Cioran
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Quando ancora inon esisteva una legislazione decisa a rimuovere le cause di sofferenze ed ingiustizie subite da cittadini considerati schiavi, privi di ogni tipo di diritto, ciò che era considerato “dolore” da parte degli uomini liberi, lungi dall'essere legato a questioni materiali, non poteva che essere concepito come un moto originario dell’anima, capace di imprimere al corpo sensazioni sgradevoli che potevano essere controllate con l’astinenza, coltivando l’autarchia, la non dipendenza da nulla di esteriore.
Questo uomo greco "libero"che sa di doversi riconoscere limitato eppure fa di tutto per attestare la sua autonomia è già un uomo denso di conflitti che il “conosci te stesso, ma fallo in dialogo che è meglio” non riesce sul serio a rimuovere.
Il dolore non svanisce parlando, ma la parola può essere una buona terapia, l’inizio, per dir così, di un processo faticoso che deve vedere coinvolto attivamente il soggetto che patisce, deciso a fare chiarezza razionalmente sulle cause del suo dolore, pronto a non attribuire ad altri responsabilità che sono unicamente sue e determinato a non confondere, semmai, evidenti segni di sopraffazione fisica e morale con determinati servizi fatti per amore o per “dovere”.
Se un simile cercare dialetticamente le cause del dolore non avviene grazie ad un’altra voce, un altro punto di vista, il dolore cresce e può originare delle meravigliose attitudini letterarie, diversamente poco probabili. Il che significa che spesso e volentieri si diventa scrittori ed artisti infrangendo il tessuto della lingua e cercando di rimuovere l’istinto al suicidio assorbendolo in vie di fuga estetiche. L’<i>aisthesis</i> viene cioè differita, il dolore preso come un fagotto di cui osservare le varie pieghe, ma senza decomporlo sul serio mai. Continua ad abitare in chi ha buona memoria, perché ogni volta avrà la possibilità di ritornare nuovamente su quelle crepe oscure del suo vivere interiore che non sono percepibili esteriormente, come sa Hegel. Ma che ci sono.
Il mito dell’invulnerabilità è del tutto estraneo al pensiero di Gadamer. Ma non a quello greco platonico, che non accentua la carica tragica del dolore umano, preferendo sostenere la via dell’impassibilità, di una scelta prudente dei piaceri e dolori da accogliere nella propria esistenza, dando prova di fedeltà a quel genere misto cui appartiene la vita umana. Perché ciò che Platone ha scelto è una vita misurata e contenitiva di tutto il caos. La strada segnata è quella di un equilibrio dinamico che non ha altro interesse se non quello di conservare e non creare nuovi itinerari possibili, incidendo attivamente nel reale.
È una rassegnazione inaudita quella che percorre il <i>Filebo</i>. La visione di una vita come malattia che va curata somministrando adeguatamente le dosi, escludendo tutto il “poter essere”, considerato nocivo perché capace di far vacillare l’ordine comunitario.
Quando la fede nella comunità si perde o sfuma sostanzialmente, com’è accaduto in Occidente soprattutto nel secolo scorso dopo la fine delle guerre mondiali, la stessa concezione del dolore subisce un mutamento sostanziale.
Essa viene dibattuta in gruppi di aiuto-aiuto, piccole comunità terapeutiche,spesso con finalità disinteressate al profitto, frutto di studi eccellenti di bravi psichiatri che hanno segnato la storia della medicina. Progressivamente, però, la stessa storia della terapia si adatta alle leggi di mercato ed il dolore viene discusso e diventa oggetto di studi sempre più complessi non perché esso sia pericoloso per la pace della comunità, ma perché può essere una merce utile in cui investire e da cui trarre numerosi guadagni nel potente ed inesorabile gioco di potere che regola gli scambi sociali.
Lo sfruttamento del dolore del prossimo ha orripilato la filosofia al punto da convincere molti studiosi a convertirsi nelle figure dei consulenti, richiedenti solo un piccolo consenso per aiutare il paziente a trovare in sé vie razionali capaci di liberarlo dalla sofferenza. Ma adesso? Quanti sono i guariti in virtù della virtù? Sarebbe interessante chiederlo.
Nessuno può costringerti a stare al discorso se non vuoi. Lo sapeva Platone, che infatti abbandonò i siracusani dopo diversi tentativi e lasciava lo stesso Filebo seduto inclinato, mentre portava avanti le sue finzioni letterario-filosofiche sulla vita buona, finzioni che sapeva non potevano che essere condotte mettendo a tacere, almeno nell’armonia della scrittura dialogica, un ostacolo temibilissimo capace di rinfacciare di continuo l’inconsistenza di tali visioni volte al giusto, al bene ed al vero, che restano <i>giustificabili </i>unicamente nel recinto della ragione dialettica. Entro il quale nessuno assicura vengano effettivamente scrutati, mentre magari Filebo si trattiene dal dolore e conosce il piacere, proprio per la sua mancata partecipazione al faticoso gioco filosofico, in cui non è prevista alcun'educazione effettiva al raggiungimento del piacere. "Il saggio cerca di raggiungere l'assenza di dolore, non il piacere", scrive Aristotele nel IV libro dell'Etica Nicomachea.
silviazzahttp://www.blogger.com/profile/08542179449503713697noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1573825561310884822.post-78347027752362055092012-11-23T08:30:00.000-08:002012-11-23T08:30:32.296-08:00Può l’imperativo “non sprofondare” reggere in assenza di una visione precedente che ci abbia mostrato una pienezza insuperabile, che agisce come monito al rovescio (non sarà mai più possibile, eppure continuare a cercarla resta la sola salvezza)?
Sono inguaribilmente platonica e non lo credo.
io ho visto già. Quel volto che poi mi è stato negato. E dove l’ho visto? Non so. So di non poterlo più rivedere, mi resta drammaticamente negato, sottratto e se lo vedessi non sopravvivrei. Ma lo cerco perché mi ha riempito tutto il cuore, il ventre, la parola, l’immaginario, come se non avessi bisogno d’altro.
E sebbene nulla gli sia nemmeno lontanamente simile, devo innamorarmi sempre e custodire la promessa d’amore fino all’ultimo dei miei giorni.
A chi non è successo?
Questione di numinosum, trasfert o chissà cos'altro, il mio Volto va a spasso per il mondo, senza mostrarmi più nemmeno la schiena o una debole traccia.
Deve sapermi contrariata ed ormai svuotata di ogni frammento della memoria della sua visione.
Sempre l'altrove ci ha unito e sempre ci proteggerà dal dissolvere il nostro conflitto.
L'opposizione è la vera amicizia, diceva Blake.
E lui sa bene che l'ospitalità è intrinsecamente legata alla poesia.
Ma, anche se la mia dissonanza si diverte a farmi diventare odiosa e blindata, forse non è il resto a restare soltanto.
Forse l'angelo della melancholia redime al pari della Croce.silviazzahttp://www.blogger.com/profile/08542179449503713697noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1573825561310884822.post-55620031236196353142012-11-15T08:03:00.001-08:002012-11-15T09:08:15.806-08:00Diario recente<blockquote></blockquote><i>Supprimer l’éloignement tue. Les dieux ne meurent que d’être parmi nous.</i> Rene Char<blockquote></blockquote>
Errante saltello
dal pozzo di offuscati ricordi
che spinge a cercare la chiave
prova assenza di nesso comprensibile
dimostra la necessaria chiusura
Me irreprensibile
altra, oscura nell’intimità
ed aliena nel limite
Pezzi scomposti senza più stile
silenzio non più minaccioso.
Cedo al mio tempo ciò che mi donò
vago ancora qualche attimo
fino a balzare nell’unico senso atteso.
Può ripararmi dall’orrore qualcuno?
può disinnescare la mia maledizione un evento?
Può dischiudere l’accesso all’Essere
un’impresa eccitante?
Dubito dell’eterno ritorno.
Non percepisco più alcuna circolarità.
Deformata dall’alterità inseguita nell’eccesso
ho perduto la guerra
e resto a scrutare la lotta universale
tra cosmos e caos
con distanza guardinga.
E’ tutto un clamoroso errore.
Bisogna godersela finchè dura
senza fermarsi ad ospitare pensieri
contrari alla finitezza.
L’uomo è sputo, argilla, sangue e povertà.
non si può pretendere che osservi languido il sole,
non si può domandargli di trovare sé stesso
uscendo da sé attraverso il bello.
L’accordo è premessa
conquista e riformulazione.
(Dov’eravamo rimasti?)
Ma non occorre cercarlo.
Viva la dissonanza,
che non si accorda con niente
e non si scora
per acclarare
compatibilità.
Avvolta dall’aura dell’unicità
è il solo sberleffo
che questo zozzo universo
di mentecatti è bene riceva
Ultima stonatura, ardito graffio,
impertinente sproloquio
che non cede al dover piacere.
Non c'è posizione che si lasci abbracciare
Nè sguardo che possa mutare
Il destino crudele dell'uomo
D'avere una lingua veloce
Ed un cuore lento ed ingrato.silviazzahttp://www.blogger.com/profile/08542179449503713697noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1573825561310884822.post-62343799477814744792012-09-18T06:50:00.002-07:002012-09-18T06:51:21.905-07:00Nè sapere nostalgico, nè retorica dell'apocalisse. Abbiamo bisogno di fisiologi e filologi...Invito a leggere la prefazione di Antonio Pascale al libro di Alessandro Trocino, Popstar della cultura:
"Questo libro è un originale contributo alla democrazia culturale.
Precisiamo: per il buon sviluppo democratico il diritto di parola è una condizione necessaria ma non sufficiente. Aprire i microfoni a chiunque è un bene, o comunque un punto di partenza dal quale non possiamo prescindere, ma ciò non garantisce la qualità delle opinioni. Queste ultime sono, infatti, l’enzima che catalizza ogni buona e veloce reazione democratica.
Basta partire da uno schema semplice: noi abbiamo delle opinioni, le nostre opinioni vengono lette dai politici di riferimento e poi tradotte in leggi, norme, circolari, insomma tutto quel complesso di regole che dovrebbe servire a rendere la nostra società un posto migliore; di conseguenza solo un ambiente migliore e costantemente bonificato ci migliora. Dunque, a opinioni profonde corrispondono politici profondi, a opinioni superficiali corrispondono politici stupidi. Questo schema, mi rendo conto, è semplice, elementare e non tiene conto di molte variabili, ma ha un vantaggio: l’attenzione si concentra non sui politici o sulle leggi, ma sulle nostre opinioni.
Ora, chi sono quelle persone che oggi si dedicano ad approfondire le nostre opinioni e dunque a presiedere e vigilare sul buon andamento della democrazia? Gli intellettuali, naturalmente. In senso lato, tutti quelli che, con responsabilità e usando una metodologia soggetta a controllo e verifica, si dedicano a diffondere e rendere accessibile la conoscenza.
Sta di fatto, però, che la modernità, se da un lato accresce il numero degli intellettuali, perché chiunque può prendere la parola, dall’altro tende a creare una categoria- molto rispettabile in sé- di persone che si specializzano in determinate discipline.
Sono gli opinion maker: quelli che riescono a raggiungere ogni giorno un vasto pubblico perché hanno accesso a strumenti che amplificano la loro voce: giornali, radio e altri media. Sono quelle persone che, detta in breve, gli autori televisivi e i redattori dei giornali più facilmente invitano affinché ci raccontino la loro visione del mondo. A loro spetta il compito di fornire una misura, perché, si sa, prima delle opinioni, c’è bisogno di una misura. Senza di essa non è possibile analizzare un bene, valutarlo e creare delle differenze. Da queste, infatti, nascono i valori. I valori stabiliscono delle priorità di scelta e i conseguenti programmi d’azione politica.
La domanda che l’autore di questo libro si è posto nasce da una democratica preoccupazione: chi sono i nostri opinion maker? E questi intellettuali appartengono ancora alla categoria degli “autorevoli specialisti” oppure, con il tempo e con il crescente successo, hanno cambiato forma, si sono mutati cioè in popstar della cultura? Magari sono affetti da massimalismo, e quindi incapaci di fare valutazioni- privi come sono di un metodo di misura, con poca attenzione alle fonti- , oppure sono dei narcisisti fuori dal mondo e pertanto poco propensi a esaminare la contemporaneità? E se questo è vero, come è potuto accadere, quali passaggi hanno portato i nostri intellettuali a diventare, così, postar della cultura?
(…)
Sapete perché credo che questo sia un libro bello e serio, e soprattutto un contributo democratico alla stessa democrazia italiana, se mi si permette il bisticcio? Perché leggendo queste vite tutte insieme possiamo ben identificare alcuni dei vizi di questo paese. Sono i nostri stessi vizi, naturalmente, a rendere viziosi i nostri opinion maker. Gli intellettuali, coloro i quali hanno in affido lo strumento della misura per la buona e onesta valutazione, spesso nelle loro analisi usano strumenti poco tarati sulla modernità.
Peccano di emotività che, come sappiamo, è una reazione, veloce e spesso compulsiva, a uno stimolo esterno. Sono superficiali, non studiano abbastanza e mancano di passione conoscitiva, che al contrario dell’emozione è più profonda e inquieta. Spesso assumono toni melodrammatici- e intendiamo un melodramma degradato- e tendono a risolvere situazioni complesse con formule semplciistiche.
Un primo vizio (…) è quello rubricabile sotto la voce “sapere nostalgico”.
Il sapere nostalgico è una versione degradata della nostalgia che, come sappiamo, oltre a essere un diritto inalienabile, esprime uno struggimento: non possiamo tornare là dove (forse) siamo stati felici un tempo. Il sapere nostalgico invece presuppone che tutto quello che è accaduto nel passato abbia un grande valore, mentre tutto ciò che è presente è corrotto. Chi pratica il sapere nostalgico idealizza il passato. Lì, in quella dimensione, sono contenuti tutti i valori; fuori, cioè nell’oggi, c’è la corruzione. I profeti del sapere nostalgico hanno un padre italiano nobile e cioè Pier Paolo Pasolini. Personaggio molto complesso, un visionario e affascinante reazionario.
Nel saggio Gennariello Pasolini parla dei napoletani come di un’antica tribù, i Tuareg (identificata anni dopo da Mario Martone nel suo lavoro teatrale Rasoi).
Tutto ciò che avviene a Napoli, dice Pasolini, deriva da uno scambio di antico sapere: anche se ti rubano il portafoglio è uno scambio di antico sapere. Quindi dobbiamo sperare, per non farci il sangue amaro e non sentirci oggetto di violenza, di vederci sottrarre il portafoglio a Napoli e non in una qualunque altra città italiana. Vuoi mettere provare il brivido di uno scambio di antico sapere? E’ chiaro che Pasolini idealizzava e romanzava il passato. Questa categoria temporale, tra l’altro di difficile definizione fisica, rappresentava per lui un mondo perfetto, che solo la mano dell’uomo moderno avrebbe distrutto. Perché era perfetto? Perché tutto nasceva da scambi di sapere millenari e per definizione tutto ciò che è antico è anche nobile.
La sinistra per prima- e Petrini nasce a sinistra- ha cominciato a un certo punto della sua storia a rimpiangere il passato, anche perché, se esso è frutto di scambi millenari e di Tuareg antichissimi, possiamo mai fidarci di quelli che vengono dall’esterno?
Petrini dunque comincia la sua battaglia- ben documentata dall’autore- a favore del tipico e del buon gusto (inteso come cibo) perché, in parole povere, tutto ciò che è tradizionale e locale è anche gustoso, in quanto deriva da millenari scambi d sapere che un territorio ha saputo preservare.
Non si capisce perché a un certo punto questi scambi millenari si sarebbero interrotti, chi e cosa abbia provocato la contaminazione e l’imbarbarimento di questa razza tipica, tradizionale, lenta, disciplinata, millenaria, dei Tuareg insomma. Sarà colpa del McDonald’s? O della televisione?
Se analizziamo le dichiarazioni di alcune popstar della cultura, spesso considerate (ancora una volta ingiustamente) di sinistra, si arriva facilmente a pensare che, insieme ai suoi intellettuali, anche la sinistra tutta abbia cominciato a rimpiangere gli scambi di antichissimo sapere e quindi alcuni elementi come l’idea del futuro, il gusto dell’innovazione, della contaminazione, insomma la bellezza del divenire, che sono stati associati facilmente a un’altra idea, tanto imprecisa da imporsi come categoria di riferimento: la globalizzazione. E la globalizzazione fa rima con contaminazione. E cosa si contaminerebbe? La purezza dei Tuareg e via via degli elementi a questi collegati.
La Lega Nord, con più forza e con una venatura sprezzante e grossolana, ha sostituito la parola globalizzazione con immigrazione. Sono gli immigrati che hanno portato valori estranei alla nostra cultura tipica. Nelle pagine a lui dedicate, la trasversalità di Petrini e il suo legame con quell’area politica sono spiegati molto bene. Purtroppo l’unico scambio, poco simbolico e molto pratico, è stata l’emorragia di voti che da sinistra sono passati al partito di Bossi.
Insomma, il potere nostalgico, idealizzando il passato, ci impedisce di valutare con attenzione gli spostamenti dal “modello passato” e dunque di esaminare i costi e i benefici delle inevitabili mutazioni. Da un mondo ideale non ci si sposta, si cade. Quando si cade si entra nell’altro vizio: la retorica dell’apocalisse. Grillo è forse il peggior portatore sano di questo difetto.
La parabola di Grillo è ben raccontata. A leggere le sue dichiarazioni sembra di vedere un testimone di Geova in azione. Uno di quelli che bussano di sabato mattina alle vostre porte con la sola intenzione di atterrirvi. E convertirvi. Quelli che, con la loro rivista in mano, “Torre di Guardia” o “Svegliatevi”, vi parlano dell’imminente fine del mondo. Usano una procedura standard. Partono da un modello ideale, generalmente un’immagine che raffigura il creato incontaminato, e di seguito vi mostrano cosa abbiamo combinato al mondo: ciminiere che sbuffano, armi nucleari in agguato, smog, inquinamento, manipolazione genetica. Insomma, i testimoni di Geova sono quelli che affrontano problemi complessi, la cui trattazione richiederebbe competenza e analisi, in maniera semplice ed evocativa .
Uniscono cose distanti tra loro senza spiegare il nesso che dovrebbe unirle.
E funziona. Il metodo qualche volta ti seduce e può capitare che per un attimo ti senti impaurito e in balia del male. Tutto fa rima con tutto. Siamo quindi sull’orlo del baratro. Poi ti riprendi e magari fai appello alla tua coscienza laica. Chiedi un minuto per organizzare i pensieri e valutare i singoli elementi in gioco. Ebbene, i testimoni di Geova hanno fatto scuola, poi sono spuntati testimoni più efficaci, e Grillo è fra questi. La retorica dell’apocalisse predilige i paragoni estremi, a effetto, e, oltre a rivelare un atteggiamento vanitoso (essere così fortunati da vedere la fine del mondo), focalizza l’attenzione esclusivamente sulla patologia. Niente, soprattutto a noi italiani, fa più piacere della patologia. Commentare il danno già compiuto è inebriante, ci fa sentire superiori, del tipo: “te l’avevo detto, io”.
Di contro, pochi si interessano alla fisiologia: sapere come funzionano le cose non suscita grande entusiasmo. Quando la fine del mondo è vicina, non resta che convertirsi al più preso per salvare la pelle, e infatti l’apocalisse è parente stretta, quasi gemella, dell’integralismo. In più, la retorica dell’apocalisse ci costringe sulla difensiva e quindi elaboriamo una sorta di “io minimo”. E c’è un’altra questione da considerare.
Chi usa e abusa della retorica dell’apocalisse preferisce esagerare gli aggettivi, perché poi risulta più facile proporre la soluzione. Nel senso che, storditi come siamo dal bagliore della distruzione, tendiamo a credere che esista una soluzione immediata, semplice e a portata di mano. Si tratta quasi sempre di soluzioni che fanno leva sui nostri istinti religiosi, che ci portano a credere che basta la parola magica e tutto si risolve.
C’è la crisi energetica? Bene, l’idrogeno è la soluzione. Troppi veleni nei campi? Non preoccupatevi, basta la parola “biologico” e tutto si risolve. Gli allevamenti industriali sono orribili? Torniamo a pascolare all’aperto. Troppe macchine? Usiamo i cammelli. Ma i dati? I numeri? Quanto latte si può tirare fuori da un allevamento in alpeggio? Poco. Quanta terra occorre per mantenere i nostri standard di produzione e fare a meno degli agro farmaci o dei fertilizzanti? Tanta in più, purtroppo.
(….) possiamo notare come queste categorie, sapere nostalgico e retorica dell’apocalisse, siano utilizzate e come inquinino la nostra conoscenza (….).Di sicuro, questi vizi culturali non sono attribuibili solo alle popstar, ma sono anche i nostri vizi, o meglio nascono da una sorta di pigrizia culturale, un po’ fisiologica perché siamo nella modernità e abbiamo poco temo per controllare e verificare le affermazioni che leggiamo. Preferiamo scegliere soluzioni poco impegnative, in ultima analisi, indolori. Però si tratta anche di categorie di pensiero ben radicate nel nostro paese, che andrebbero combattute con costanza. Se davvero rimpiangiamo i Tuareg poi si capisce perché perdiamo il gusto della sperimentazione e ci viene a mancare la capacità di vagliare le novità. Si capisce anche perché la metodologia scientifica faccia così fatica e infine, dolorosamente, si comprende anche il motivo per cui i finanziamenti alla ricerca (ossia quello sguardo verso il futuro) siano così bassi.
C’è da chiedersi: ma se i valori sono tutti nel passato, se l’apocalisse è in agguato, se tutto questo è vero, allora che possono fare le persone giovani? Che contributi innovativi possono portare alla soluzione di problemi che ci sono, altroché, ma sono purtroppo complessi ed esigono per essere affrontati strumenti nuovi, integrazione costante e scambi culturali? Quale futuro ci aspetta? Il mondo si dovrebbe arrendere a questi nostalgici e apocalittici profeti di sventura?
A libro finito, dopo aver letto una lunga serie di bizzarri comportamenti da popstar e soprattutto compreso un insieme di brutali incongruenze, viene voglia di recuperare due approcci: quello della fisiologia e quello della filologia. Essere fisiologi significa innanzitutto sapere come funzionano le cose. Spesso è proprio la nostra ignoranza sul funzionamento di un sistema a produrre danni e distorsioni. La filologia è ancora più necessaria: saper ragionare sulle fonti è di fondamentale importanza per ogni processo conoscitivo e dunque per una buona valutazione delle scelte. Per conoscere il presente bisogna essere archeologi e non nostalgici. Come ci mancano i filologi! Quelle persone che parlano solo dopo aver studiato attentamente i documenti, che sanno leggere un documento scientifico: quelle persone, ancora, che non hanno paura di ragionare sui dati a disposizione. Se avessimo, accanto alle popstar, più fisiologi e filologi, di sicuro la nostra comprensione del mondo migliorerebbe. O forse sarebbe bello se le nostre popstar fossero meno egoiste, meno chiuse nei propri territori tipici e si confrontassero con la cultura degli umili fisiologi e filologi, gli gnomi insomma, quelli che di notte, in segreto, muovono e migliorano il mondo.”silviazzahttp://www.blogger.com/profile/08542179449503713697noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1573825561310884822.post-21930957107439760872012-09-17T14:22:00.001-07:002012-09-17T14:23:41.215-07:00Josif Brodskij- Verso il mare della dimenticanza
Non è necessario che tu mi ascolti, non è importante che tu senta le mie parole, / no, non è importante, ma io ti scrivo lo stesso (eppure sapessi com'è strano, per me, scriverti di nuovo, / com'è bizzarro rivivere un addio...) / Ciao, sono io che entro nel tuo silenzio. // Che vuoi che sia se non potrai vedere come qui ritorna primavera / mentre un uccello scuro ricomincia a frequentare questi rami, / proprio quando il vento riappare tra i lampioni, sotto i quali passavi in solitudine. / Torna anche il giorno e con lui il silenzio del tuo amore. // Io sono qui, ancora a passare le ore in quel luogo chiaro che ti vide amare e soffrire... // Difendo in me il ricordo del tuo volto, così inquietamente vinto; / so bene quanto questo ti sia indifferente, e non per cattiveria, bensì solo per la tenerezza / della tua solitudine, per la tua coriacea fermezza, / per il tuo imbarazzo, per quella tua silenziosa gioventù che non perdona. // Tutto quello che valichi e rimuovi / tutto quello che lambisci e poi nascondi, / tutto quello che è stato e ancora è, tutto quello che cancellerai in un colpo / di sera, di mattina, d'inverno, d'estate o a primavera / o sugli spenti prati autunnali - tutto resterà sempre con me. // Io accolgo il tuo regalo, il tuo mai spedito, leggero regalo, / un semplice peccato rimosso che permette però alla mia vita di aprirsi in centinaia di varchi / sull'amicizia che hai voluto concedermi / e che ti restituisco affinché tu non abbia a perderti. // Arrivederci, o magari addio. / Lìbrati, impossèssati del cielo con le ali del silenzio / oppure conquista, con il vascello dell'oblio, il vasto mare della dimenticanza.silviazzahttp://www.blogger.com/profile/08542179449503713697noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1573825561310884822.post-15952555187803068162012-01-29T05:44:00.001-08:002012-01-29T05:44:44.161-08:00Maledetta Emily 2Non t'amo se non perchè t'amo e dall'amarti a non amarti giungo<br />
<br />
e dall'attenderti quando non t'attendo passa dal freddo al fuoco il mio cuore.<br />
<br />
Senza fine io t'odio, e odiandoti ti prego, e la misura del mio amor viandante<br />
<br />
è non vederti e amarti come un cieco.<br />
<br />
Forse consumerà la luce di gennaio, il raggio crudo, il mio cuore intero,<br />
<br />
rubandomi la chiave della calma. In questa storia solo io muoio<br />
<br />
e morirò d'amore a sangue e fuoco.silviazzahttp://www.blogger.com/profile/08542179449503713697noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1573825561310884822.post-67721034094509230322012-01-28T10:31:00.001-08:002012-01-29T06:17:02.885-08:00Caro Ibsen, brucerò la casa di bambolaNORA: Tu non pensi e non parli come l'uomo di cui possa essere la compagna. Svanita la minaccia, placata l'angoscia per la tua sorte, non per la mia, hai dimenticato tutto. E io sono tornata ad essere per te la lodoletta, la bambola da portare in braccio. Forse da portare in braccio con più attenzione perché t'eri accorto che sono più fragile di quanto pensassi. Ascolta, Torvald; ho capito in quell'attimo di essere vissuta per otto anni con un estraneo. Un estraneo che mi ha fatto fare tre figli...Vorrei stritolarmi! Farmi a pezzi! Non riesco a sopportarne nemmeno il pensiero!<br />
<br />
HELMER: Capisco. Siamo divisi da un abisso. Ma non potremmo, insieme...<br />
<br />
NORA: Guardami come sono: non posso essere tua moglie.<br />
<br />
HELMER: Ma io non ho la forza di diventare un altro.<br />
<br />
NORA: Forse, quando non avrai più la tua bambola.<br />
<br />
<br />
<br />
Grazie Ibsen per aver cercato di far capire già nel 1879 che "ci sono due tipi di leggi morali, due tipi di coscienze, una in un uomo e un'altra completamente differente in una donna. L'una non può comprendere l'altra; ma nelle questioni pratiche della vita, la donna è giudicata dalle leggi degli uomini, come se non fosse una donna, ma un uomo".<br />
<br />
Purtroppo è passato quasi un secolo e mezzo e questa verità continua a sfuggire, e tante Nora continuano a fare le bambole, come se ogni lotta per l'emancipazione non fosse mai esistita, come se gli squilibri nella coppia a vantaggio dell'"uomo" e l'accettazione di una sudditanza intellettuale, morale, spirituale e fisica, fosse qualcosa di naturale .<br />
<br />
Se ti ho tradito io, che quest'opera l'avevo studiata attentamente come corso monografico di storia della filosofia moderna tantissimi anni fa, perchè stupirsi che altrove, dove non si è stati così fortunati da potere leggerti e confrontarti con tanti altri tuoi amici drammaturghi, filosofi e filosofe, antropologi e sociologi, le catene femminili rimangano intatte?<br />
<br />
Negli ultimi anni, fino ad un paio d'anni fa, ti sono stata fedele, credimi. Mi tornavi in mente di continuo, ma poi ho iniziato a tollerare, ad abbassare la guardia, in una parola a non lottare più per la mia libertà e soddisfazione, lasciando che vincessero lo stordimento di questi tempi brutali e la paura di essere ormai corrotta irrimediabilmente. E così ho fallito. Mi sono perduta, annichilendo Nora e la sua voglia di riscatto.<br />
<br />
Non odiarmi troppo. Come vedi ti ho ritrovato.<br />
<br />
Perciò ti invoco, per darmi la forza per perseguire nel mio intento e supplicarti di non farmi detestare troppo se adesso torno a distruggere quell'insostenibile casa, darle fuoco, guardarla crepitare con una punta d'eccitazione sconfinante nell'osceno, proprio di ciascun essere umano illuso di potersi sbarazzare sul serio di ciò che ha vissuto.<br />
<br />
Tu sei grande, puoi farmi questo favore, andiamo! E magari suggerirmi una brillante sceneggiatura per i giorni che verranno.<br />
<br />
Ti dico solo che se si potesse scegliere ogni volta che si cambia pagina della storia della propria vita un destino, vorrei che da oggi il mio fosse quello della migrante, con un cuore vagabondo e nessuna radice certa, consapevole come sono della mia precarietà che divora sè stessa.<br />
<br />
Dici che ci riuscirò, Henrik?<br />
<br />
In attesa di tue illuminazioni oniriche,<br />
<br />
ti porgo i miei più cari saluti dall'al di qua, dove non si sta mai tanto bene. Soprattutto oggi.<br />
<br />
Silviasilviazzahttp://www.blogger.com/profile/08542179449503713697noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1573825561310884822.post-39072569322470275242012-01-28T09:58:00.001-08:002012-01-28T09:59:01.686-08:00Addio Charles(....)Prima di sposarsi, Emma aveva creduto di essere innamorata, ma la felicità che sarebbe dovuta nascere da questo amore non esisteva, ed ella pensava ormai di essersi sbagliata. Cercava ora di capire che cosa volessero dire realmente le parole felicità, passione, ebbrezza, che le erano sembrate così belle nei libri. […]<br />
<br />
La conversazione di Charles era piatta come un marciapiede e le idee più comuni vi sfilavano nel loro abito di tutti i giorni, senza suscitare emozione o risate o fantasticherie. Quando abitava a Rouen, diceva, non aveva mai provato la curiosità di andare a vedere gli attori di Parigi. Non sapeva nuotare né tirare di scherma o con la pistola, e una volta non seppe spiegarle un termine di equitazione che lei aveva letto in un romanzo.<br />
<br />
Un uomo, non avrebbe dovuto, invece, conoscere tutto, eccellere in molteplici attività, saper iniziare una donna al fuoco della passione, alle raffinatezze della vita, a tutti i misteri? Ma costui non insegnava niente, non sapeva niente, non desiderava niente... La credeva felice e lei gliene voleva per quella tranquillità tanto saldamente stabilitasi, per quella pesante serenità, per il piacere stesso che gli dava. […]<br />
<br />
Intanto, seguendo le teorie nelle quali credeva, ella cercò di crearsi l'amore. In giardino, al chiaro di luna, recitava tutte le rime amorose che sapeva a memoria e sospirava romanze malinconiche, ma non sentiva agitarsi dentro di sé nessuna passione, e Charles non sembrava né scosso né più innamorato.<br />
<br />
Dopo aver tentato invano di far sprizzare la divina scintilla stuzzicando l'acciarino del suo cuore, e, del resto, del tutto incapace di comprendere quanto non provava come di credere a quanto non si manifestasse nelle forme tradizionali, non faticò a convincersi che la passione di Charles non era affatto qualcosa di grande.<br />
<br />
Le sue espansioni avevano preso un ritmo regolare; la baciava a orari fissi. Era un'abitudine come le altre. Era come un dessert già previsto dopo un monotono pranzo”. (Gustave Flaubert, Madame Bovary)silviazzahttp://www.blogger.com/profile/08542179449503713697noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1573825561310884822.post-60303902921916352182012-01-23T04:46:00.000-08:002012-01-23T04:48:09.483-08:00Se le osservi bene<br />
Le forme di foglie, cuori e labbra si somigliano.<br />
Ma le prime durano poco e cadono, lasciando l’albero spoglio,<br />
i secondi si fermano all’improvviso, qual che sia la stagione, ed anche se l’uomo è ancora vestito,<br />
le terze stanno sempre a tremare, incerte se da tutto ciò che nel loro corso riusciranno a muovere ed accogliere conseguirà la fine spoglia o meno di chi le ha avute in dono.<br />
Possano le tue labbra sciogliersi con dolcezza al sole di un mese lontano, con alberi ancora ben vestiti e tanti cuori inteneriti intorno.<br />
Perdonami se non ci sarò quel giorno. <br />
Conserva una foglia per ogni autunno che ci terrà lontani, e portale con te.<br />
Forse poi cuori, labbra e foglie saranno una forma sola. <br />
E mi parrà di aver avuto tutti i baci ed il tuo cuore,<br />
quel cuore di cui spesso hai deriso nome e significato, <br />
sempre con me, mentre ero via.silviazzahttp://www.blogger.com/profile/08542179449503713697noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1573825561310884822.post-8350810933655094602012-01-19T10:01:00.001-08:002012-01-19T10:01:50.057-08:00maledetta Emily...Se tu dovessi venire in autunno<br />
mi leverei di torno l'estate<br />
con un gesto stizzito ed un sorrisetto,<br />
come fa la massaia con la mosca.<br />
<br />
Se entro un anno potessi rivederti,<br />
avvolgerei in gomitoli i mesi,<br />
per poi metterli in cassetti separati -<br />
per paura che i numeri si mescolino.<br />
<br />
Se mancassero ancora alcuni secoli,<br />
li conterei ad uno ad uno sulla mano -<br />
sottraendo, finchè non mi cadessero<br />
le dita nella terra della Tasmania.<br />
<br />
Se fossi certa che, finita questa vita,<br />
io e te vivremo ancora -<br />
come una buccia la butterei lontano -<br />
e accetterei l'eternità all'istante.<br />
<br />
Ma ora, incerta della dimensione<br />
di questa che sta in mezzo,<br />
la soffro come l'ape-spiritello<br />
che non preannuncia quando pungerà.silviazzahttp://www.blogger.com/profile/08542179449503713697noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1573825561310884822.post-13570386072247286482011-12-26T01:03:00.000-08:002011-12-26T01:03:09.738-08:00L'acidduzzu 'nta la gaggia canta p'amuri o pri raggia<i>In fondo mi chiedo se il vero movimento del mondo non sia proprio il canto.</i> (Muriel Barbery)<br />
<br />
L’uccello si è schiantato. Non può volare più. Era andato troppo in alto, aveva visto persino il Sole e gli aveva indirizzato le più splendide melodie che fosse in grado di concepire. Si era illuso di possedere una forza che non aveva. Aveva oltrepassato ogni limite imposto dalla natura, superando i suoi compagni e non riuscendo più a stare negli stormi con felicità. Cercava vie solitarie, trovò anche qualche uccello più grande che lo aiutò per qualche tempo a non precipitare. Ma alla fine il suo destino era segnato. La spensieratezza originaria era frantumata per sempre, perché nulla riusciva a ricordargli il suo Sole e nessun canto poteva più essere bello se non veniva indirizzato a Lui. L’uccellino intonò ancora qualche nota, imprimendo nel suono la potenza del suo cuore ferito, ma ininterrottamente curioso di sapere qualcosa di più di quella perfezione, permanentemente sottratta. Tuttavia, sprecò tutta la sua forza, invecchiò prematuramente e sentì spezzarsi le ali. Non cadde all’improvviso. Intorno vedevano da tempo i segni della sua sofferenza, ma immaginavano bastasse un po’ di riposo perché ritornasse allegro e dinamico. Ma avete mai visto un uccellino ignaro della leggerezza? Capiva perfettamente di stare precipitando. Sapeva che se ne sarebbe pentito, che non era sicuro di avere trovato una strada migliore oltre lo schianto. Ma non si può lottare contro il proprio destino. Così l’uccellino accettò la sua inesorabile caduta, ripensando ad ogni sgraziata perdita di distanza dall’immensità verso la terra, a tutte le principali occasioni di felicità della sua vita. Morì pieno di ricordi, con le lacrime asciugate da un raggio del suo Sole, che lo accarezzava, finalmente, mentre mosche e vermi ne divoravano le interiora. <br />
<br />
<br />
Quanti stanno cadendo intorno a me? Quanti sono caduti, quanti cadranno?<br />
Proteggi Dio tutte le nostre cadute. Fa’ che siano soffici e che oltre lo schianto ci sia ancora vita, ancora bellezza, ancora amore.silviazzahttp://www.blogger.com/profile/08542179449503713697noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1573825561310884822.post-77000120219963123842011-11-19T03:54:00.000-08:002011-11-19T03:54:50.849-08:00Orlo-Sylvia PlathLa donna è a perfezione.<br />
Il suo morto<br />
<br />
Corpo ha il sorriso del compimento,<br />
un'illusione di greca necessità<br />
<br />
scorre lungo i drappeggi della sua toga,<br />
i suoi nudi <br />
piedi sembran dire:<br />
abbiamo tanto camminato, è finita.<br />
<br />
<br />
Si sono rannicchiati i morti infanti ciascuno<br />
come un bianco serpente ad una delle due piccole<br />
<br />
tazze del latte, ora vuote.<br />
Lei li ha riavvolti<br />
<br />
Dentro al suo corpo, come petali<br />
di una rosa rinchiusa quando il giardino<br />
<br />
s'intorpidisce e sanguinano odori<br />
dalle dolci, profonde gole del fiore della notte.<br />
<br />
Niente di cui rattristarsi ha la luna<br />
che guarda dal suo cappuccio d'osso.<br />
<br />
A certe cose è ormai abituata.<br />
Crepitano, si tendono le sue macchie nere.silviazzahttp://www.blogger.com/profile/08542179449503713697noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1573825561310884822.post-25155774751386860002011-11-13T12:07:00.001-08:002011-11-13T12:09:00.941-08:00Arrivederci, addioE rinnovo lo sguardo,<br />
tuffandomi in differenze e sorprese<br />
che azzerano l’istinto abitudinario,<br />
solo per indagare più a fondo<br />
la fragile natura umana,<br />
stanca di antichi discorsi.<br />
Cercare familiarità<br />
Sfidare estraneità<br />
Accettare estraneità<br />
Annullare familiarità.<br />
Sperimentare ed accorgersi <br />
Che “io” sta <br />
Tra l’esperienza ed il nulla,<br />
come il riflesso mobile<br />
del cielo turchino<br />
nella pozzanghera gialla<br />
di un vicolo di periferia.<br />
<br />
Abusare del non senso,<br />
liberare la parola,<br />
liberare l’oscuro<br />
ed inseguire la sorgente<br />
che, calda, grida ancora ostinata<br />
che non mi sono perduta.<br />
Questa resta<br />
La dolce mia tregua<br />
intrisa di illusioni.<br />
Come se d’ora in poi <br />
Non stessero ad aspettarmi<br />
solo fanghiglia, rughe<br />
E sangue rattrappito.<br />
<br />
Eppure, già adesso,<br />
Ferito, umiliato,<br />
distante dalla sua stessa pelle<br />
e minacciato dai suoi stessi organi,<br />
il mio giovane corpo vecchio<br />
sussurra note <br />
opache al cuore<br />
e resistenti al tatto;<br />
e s’imbeve nel succo aspro<br />
dell’oblio di scene atroci,<br />
quando rannicchiato <br />
subì la rovina del tempo<br />
contro braccia grigie <br />
e tumefatte dall’idiozia<br />
di chi, senza stile,<br />
pretese diventassi<br />
il compasso delle sue folli ambizioni.<br />
<br />
Potere ed amore non andarono mai d’accordo.<br />
Ed ora che finalmente ti perdo,<br />
solo adesso potrei tornare cerbiatto<br />
che impara a rispettare<br />
le urla malvagie e sincere<br />
del ferro e del fuoco,<br />
sfregati l’un l’altro<br />
fino all’ultimo respiro dello stomaco,<br />
in cui riposi in pace.silviazzahttp://www.blogger.com/profile/08542179449503713697noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1573825561310884822.post-12627547400466257622011-11-13T12:06:00.001-08:002012-10-29T07:49:15.349-07:00L'internoAnima. <br />
Solida, fluida, fatta di aria, <br />
vento, piogge, <br />
grandini e temporali. <br />
Anima che a volte si secca <br />
e diventa arida come una steppa. <br />
Anima che insegue balorda lo splendore, <br />
lasciandosi guidare da passioni <br />
che ne divorano l’interno divenire senza meta.<br />
<br />
Anima che si avviluppa in contraddizioni<br />
e non si lascia spiegare, <br />
perché vive di improvvise ispirazioni<br />
e continue incertezze.<br />
<br />
Anima che si percepisce appena negli occhi <br />
e viene conosciuta di sfuggita <br />
mediante incauti stati, che<br />
, come ogni passato istituzionalizzato,<br />
non bastano a dare ragione <br />
della sua grazia eterna.<br />
<br />
Anima che è dialogo e silenzio, <br />
quiete e lacrime nere <br />
che nessun uomo saprà mai pesare,<br />
Anima il cui valore più alto<br />
resta l’Amore per tutte le creature <br />
ed i morti che nel suo variegato diventare luogo,<br />
ora estraneo, ora familiare,<br />
l’hanno attraversata, trafitta,<br />
sempre modellata, <br />
rendendo distante<br />
quella delle origini.<br />
<br />
Anima abituata a trascendere<br />
ogni momentanea soddisfazione, <br />
Anima che spezzerà sempre ogni catena, <br />
crescendo come l’Anima del Mondo, <br />
incapace d’arrestare la sua inquieta <br />
e nobile espansione errante.<br />
<br />
Anima che, tuttavia, spesso vacilla <br />
e, come un lupo impotente, <br />
affamato del nulla, <br />
si gonfia per resistere invano <br />
al suo decesso.<br />
<br />
Ma poi, perduta nella meraviglia, <br />
l’anima si fa bella,<br />
sognando limpidi istanti <br />
di pura gioia <br />
da sottrarre alla menzogna della Storia caina <br />
e, cercando luce che l’accechi dolcemente, <br />
ingoia la sventura<br />
di non potersi mai fermare
a specchiarsi in un solo volto.
Così, impaurita
tutti li rammenta assorta
come i trampolini da cui librando in aria
si è gettata a capofitto
nella vita immensa
in cui fluttua
fino al passaggio dell'ultima soglia <br />
silviazzahttp://www.blogger.com/profile/08542179449503713697noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1573825561310884822.post-75676226896050870002011-10-04T13:51:00.000-07:002011-10-04T13:51:37.956-07:00Nota su fb di un anno faDedicata a Marco, Patrick e Norman, che per un secondo pazzo non seppero più cercar bellezza<br />
<br />
<b>Scrivi una nuova nota</b><br />
<br />
Perchè? Su, perchè? Non è meglio tacere? Certo che lo è, ma devo condensare da qualche parte la furia di pensieri ed amarezza di queste ore.<br />
<br />
Rinunciare al riconoscimento è possibile per un uomo?<br />
<br />
Dopo parecchio errare, forse riuscirà a fare a meno dell’opinione altrui. Della propria opera no, o, meglio, con molta più difficoltà.<br />
<br />
Sono stati i Greci ad insegnarci quanto sia essenziale la fama. Lasciarsi riconoscere per alcune virtù ben codificate era alla base del vivere in comunità. Chi meritava il riconoscimento fino a Socrate erano sovrani, guerrieri, in seguito atleti. La rivoluzione socratica rovesciò i termini entro cui misurare la validità di un uomo, operazione ritenuta da Nietzsche criminale, instauratrice di quell’etica degli schiavi di cui il cristianesimo non sarebbe che un degno figlio. Vitalismo versus cura dell’anima. Ecco i grandi temi gettati fin dall’inizio tra i copioni susseguitisi nel grande palco della vita occidentale per millenni.<br />
<br />
"Non cantata, l’azione più nobile morirà". Pindaro, frammento. “Non omnis moriar”, Orazio, Odi, III, 30 6. E così questo bisogno di non morire, aggrappandosi alla speranza che le tracce, almeno quelle, siano eternamente mediate perché ben curate e lasciate generosamente all’eternità, ha condizionato tutte le altre epoche, che si sono volta per volta trasmesse qualcosa attraverso il segno scritto. Conservando e (ri) creando. Per alcuni è sintomo di un'ingorda volontà di potenza, ma credo che si confidi nella propria opera, perchè si ha consapevolezza di essere estremamente fragili e l'unica cosa che si possa modellare sfidando il tempo è un dono da lasciare agli altri, che potranno, se vorranno, riconoscere parti dello spirito dell'autore. Tuttavia, anche l'assenza di tracce ordinate, l'opera incompiuta ed interminabile può e deve essere considerata, oggi più che mai, l'eredità di chi non c'è più.<br />
<br />
<br />
<br />
Si cade. Prematuramente o meno, si cade. Per poi rialzarsi o per restare giù, si cade.<br />
<br />
Caduti in battaglia. Caduti sul lavoro. Fallen in love. Ed in generale, sempre in piedi non si può stare. E quando si cade e si vorrebbe restare rannicchiati in posizione fetale ad osservare la vita che scivola sulle nostre paure, perché dovremmo rimetterci dritti e continuare ad andare? Non è stando a terra che possiamo opporci al passaggio? Farlo passare e sconfiggere il suo scorrere, non duellare più in questa lotta per l'esistenza, che scova i suoi vincitori quasi sempre tra coloro che meglio sanno adattarsi alle regole del proprio tempo.<br />
<br />
In piedi, ci si confonde con coloro che si rialzano senza avere imparato nulla dalla caduta, assetati di vittoria, innamorati della rapidità della camminata ritmica, alla cui frequenza non nasciamo tutti egualmente predisposti.<br />
<br />
Chi si alza, non si piega. Procede. Rapidi momenti di imbarazzo e cordoglio per gli altri rimasti a terra, ma nessuna bandiera che interrompa la corsa, come per quel giapponese di diciannove anni che correva troppo, giocava con la morte, ma non meritava di andarsene nell’indifferenza di tutti.<br />
<br />
Poi, come fu per Marco sette anni fa e per Patrick qualche mese fa, qualcuno pare prendere coscienza dell’indecente danza voraginosa del nostro tempo vuoto, che miete ovunque infelicità... ma dura pochissimo e poi tutto torna come prima. Ed un due e tre, ed un due e tre… come un’insostenibile aerobica insegnata da un maestro con pile duracell in qualche palestra dall’aria appiccicosa… inspira, espira, gamba destra in su, guardati allo specchio, segui me, sorridi, ancora uno sforzo, su, su, vai, bravo, bravo..continua, bene, bene, beneee<br />
<br />
Che bei sorrisi smaglianti a sostenerci. Che belle formule inneggianti alla vita, al suo valore, alla sua meraviglia! Nessuno pare accorgersi della nevrosi vitalista in cui si consuma il nostro tempo, di quanto tremendo timore di morte lo divora. Oppure è tutto un modo per esorcizzare, già. Ed uno dei contenitori di esorcizzazioni più lampanti è il social network, come testimonia l'esistenza di questa nota.<br />
<br />
Ogni icona pronta a dire la sua, a vomitare la sua opinione intorno ad ogni caso di caduta, reso un momentaneo possesso del vociare dei più, violando il suo non voler essere un fenomeno, magari. Nemmeno un esempio da prendere in considerazione. Solo una caduta. Ebbene, cosa state lì a piagnucolare? Non fatelo se quello che vi interessa è solo produrre e viver sani e belli, non vi fermate. Ed un due e tre, ed un due e tre…<br />
<br />
Se invece sentiamo che appartiene anche a noi quel dolore, quel terrore di non avere futuro per le colpe dei padri ricadute sui figli che hanno dipinto un'Italia di vecchie figure, spesso squallide…se inquadriamo la morte di Norman nella logica di un Paese paralizzato dalle raccomandazioni e che non tiene conto dei meriti, non li incoraggia a risplendere..beh, contempliamola con rispetto lo stesso, senza gridare, senza esprimerci in termini di condanna socio-politica, pronti a cercare ovunque colpevoli da scannare, generalizzando a più non posso, per favore... Non è che un modo banalissimo, incapace di rendere davvero conto di cosa significhi una perdita. Finirebbe con mettere addosso a Norman un'etichetta, quella dell'eroe senza futuro dei nostri tempi e dimenticarcene rapidamente, senza lasciare che rimanga necessario provare tormento per il suo gesto, che non va spiegato a tutti i costi, ma dovrebbe restare ferita profonda, segno di un fallimento collettivo, disarmante, che impone una domanda aperta sul senso/non-senso della sua morte.<br />
<br />
In realtà, stiamo cadendo tutti. Solo che in troppi preferiscono ritenerlo inessenziale.<br />
<br />
Ci nutriamo delle morti altrui per creare un’immagine della nostra e rigettarla in fretta. Andiamo ai funerali ricordandoci all’improvviso di tutto quello che non abbiamo ancora detto e fatto e raccomandandoci di cambiare profondamente alcuni atteggiamenti e mentalità che ci hanno reso distanti persone care. Fugaci bilanci, disattesi non appena rientreremo nell’eterna distrazione, connotazione ontologica del nostro tempo.<br />
<br />
Distratti dalla morte. Una vita che non si rende conto che è tale perché stagliata su un fondo nero al quale torneremo necessariamente è un’illusione patinata che corrode il centro nevralgico dell’esistenza umana. Il suo rapporto con il tempo.<br />
<br />
Mutilato della possibilità di piroettare indietro verso le origini e di profilarsi destini imperscrutabili con progetti a lunga scadenza, l’immaginazione e persino folli amori da cantare un domani, il perpetuo presente di oggi rischia di diventare il letamaio che accoglie tutte le nostre insulse esistenze. Un presente che raramente è vivente.<br />
<br />
C’è chi decide di sfidare la morte, inseguendo una goccia di splendore. Una scommessa d’eternità, come sono la poesia, la musica, la danza, il teatro, il cinema o persino grandi imprese. O la filosofia, dono eccelso, eredità suprema, che per me continua ad essere, malgrado tutto, l' apice di ogni ricerca razionale dell'Occidente.<br />
<br />
E c’è chi si imbeve di nichilismo per addomesticare ogni tormento e livellare ogni azione, dire e sentimento, non avendo più alcun’ansia di mostrarsi e dimostrare alcunché.<br />
<br />
Mi accorgo che comunque da ogni modo di essere adottato lasciamo che scaturisca un’infondata rabbia verso qualcosa di esteriore, le strade imboccate dagli altri, senza mettere fino in fondo in luce i nostri stessi limiti.<br />
<br />
Anch’io, adesso, con chi ce l’ho precisamente? Quale vita impersonale sto descrivendo? Quale meschinità sto cercando di criticare? Probabilmente unicamente la mia. Perché la verità è che non ce l’ho più con nessuno. A furia di lottare, pensare contro, osservare da vicino il nemico che cambiava continuamente sembianze dentro e fuori da me ed ipotizzare resistenze varie, ho perduto fiducia nella possibilità di distinguere fermamente il bene dal male, preferendo “economizzare”la violenza con un'eccessiva diplomazia ed un'ingenua generosità verso persone che non hanno bisogno davvero di me, non ora..sto recitando solamente il rifiuto del riconoscimento in ambiti dove ho avuto l'onore e l'onere di introdurmi grazie al mio lavoro, che ormai dimostro, in fondo, di disprezzare non impostando tutta la vita sulla ricerca, come fanno soltanto coloro che credono in questa fatica intellettuale... come facevo anch'io. Sono caduta da un pezzo, nessuno se n'è accorto. Hanno cercato di farmi capire come fosse normale, sono riuscita a consolarmi con la logica del "così fan tutti". Ma adesso è giunto il momento di alzarsi e ricominciare a camminare a passi lenti, come spetta a me.<br />
<br />
Il cuore è spezzato perchè non può tollerare che a ventisette anni si muoia così. Sento e presagisco la solitudine di Norman, ma non me ne approprio, non la utilizzo. Lascio che mi trasformi, custodendola per quel che posso riuscire ad intuire essa sia stata.<br />
<br />
Non c’è nessuno sbocco effettivo per il filosofare. Nessun traguardo spetta a tutto quel domandarsi inquieto, cercare tracce,tradurle senza tradirle, scovare pubblicazioni non prese in considerazione da nessuno, ideando un gioco di concetti implacabile, che dall’esterno verrà sempre giudicato inessenziale. Non c’è certezza alcuna di vedere premiati quegli sforzi, nessuna logica asino-carota. Ci si nutre di pensieri, intuizioni e questioni che di rado entusiasmano la massa. E si resta isolati ed incompresi, speranzosi che almeno nell’Accademia, tra simili, sia consolidata una fiducia smisurata per i nostri sforzi. Ma il dialogo tra colleghi è sempre più difficile, così come quello tra studenti e docenti, eccezioni magnifiche a parte che ho avuto la fortuna di sperimentare e cui manifesterò sempre profonda gratitudine.<br />
<br />
In questo momento tutti nella famiglia, tra gli amici di Norman ed in facoltà si staranno interrogando sulle proprie responsabilità.<br />
<br />
Io Norman non lo conoscevo. Il suo viso me lo ricordo benissimo, l’ho incontrato tante volte, ma è già significativo della distanza che si può instaurare tra colleghi il fatto che non avessi alcun rapporto con lui. Colpa mia, sempre troppo lontana dall’Accademia, malgrado il ruolo ricoperto che mi costringerebbe a vivere prevalentemente lì, lo so. A che serve studiare a casa, se esistono le biblioteche?<br />
<br />
Ora so con chi ce l’ho. Ce l’ho fondamentalmente con me, che questo posto probabilmente non lo merito come lo meriterebbero altri, come l’avrebbe meritato lui. Ormai Norman era quasi arrivato al capolinea del suo dottorato. Bastava poco per avere un titolo. Ma gli sarà sembrato atroce riuscire ad arrivarci, ed in fondo inutile, e questa sensazione io ce l’ho già un anno prima.<br />
<br />
Se non si trasforma in passione totale per la ricerca, la consapevolezza di questa caduta è solo una lacrimosa, insensata azione melodrammatica del mio cervello stupido. Se non diventa un modo per affermare in modo più forte il diritto allo studio e la necessità di confrontarsi di continuo con colleghi e docenti, scoprendo le proprie manchevolezze senza sentirsi delle nullità, sarà come se Norman non fosse mai morto. Come se non avessimo capito perché ciò è accaduto. Ed un due e tre, ed un due e tre…<br />
<br />
Perché è accaduto? Una risposta univoca non sarà mai possibile. Di sicuro ci si lancia nel vuoto perché il calore non lo si avverte davvero più, forse è recepita come finzione anche la disponibilità da parte di alcuni a misurarsi con le problematiche interiori, e la liberazione dall’angoscia si sente che non possa passare altro che da un atto estremo, non dall’amore disinteressato, capace di lasciarla esplodere in rivoli di dialoghi continui con persone che sanno ascoltare, o almeno ci provano...Riuscire a tirare fuori parole dure, che sfibrano, ma che non si può fare a meno di lasciare imbrigliate da qualche parte, aspettandosi una correzione, un cenno di soddisfazione o una punizione. Ecco perché il riconoscimento per un uomo è necessario. Abbiamo bisogno di affidare a qualcun altro il nostro verbo, sbagliato,sempre troppo umano, perpetuamente da limare in uno scambio continuo che solo la morte può giungere ad interrompere.<br />
<br />
Chi non parla con nessuno sta sempre male? Forse no. Le fratture sono indispensabili tanto quanto i dialoghi. Ma quell’inesprimibile che ci accompagna rischia di originare sillogismi inesatti, contrari ad ogni legge di natura, se non tentiamo di sfidarlo in un’approssimata vicinanza dialettica. Porgersi fuori da essa, porgersi cioè fuori dalla vita, accade quando gli altri sono diventati, se non addirittura complici del proprio malessere, solamente freddi ostacoli, incapaci di interagire adeguatamente con le proprie visioni. Ma in realtà nessuno è mai riuscito a spiegare perchè dovere stare al discorso, perchè cercare equilibrio ed aver contezza che ciò che indossiamo volta per volta sono soltanto maschere e tragedia, satira, commedia si alternano senza sosta all’interno del nostro stesso più o meno lungo tragitto vitale. Certo, è facile dire che ci vuole ironia e si debba capire come ci sia una distanza impossibile da colmare tra il soggetto che agisce, cerca il suo essere e si sforza di accettare il suo dover essere, restando fiducioso e timoroso del suo poter essere da una parte e la vita stessa, oltre il soggetto, qualcosa la cui radice rimane misteriosa, ripugnante o divina che sia, in ogni caso non a disposizione di nessun essere vivente, dall'altra parte. Facilissimo ammonire coloro che si illudono di essere i registi del loro esistere e perdono di vista la tensione verso quel vitale che rimane sempre inafferrabile per tutti. Facile, troppo facile, parlare come Gadamer ed elogiare la misura , ciò che ci consente di individuare il punto limite entro il quale non è possibile andare, perché l'essere umano non smette di muoversi intorno ad una dialettica infinita tra creazione ed autoconservazione, che restano entrambe peculiarità originarie del suo essere, che misto nasce e misto (di bellezza e di orrore) morirà.<br />
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Quando Marco morì, rimasi per mesi a scrivere su di lui, senza poterlo dire mai a nessuno. Non era mia quella morte, perchè non era stata "mia" quella vita, ma semmai di alcuni tra i miei migliori amici che con Marco condividevano giornate e notti intere. Io ho avuto l’onore di uscire con lui e gli altri ogni tanto, parlargli talvolta all’università, dove capitava fumassimo qualche sigaretta insieme, niente di più. Ma non me lo sono dimenticato, perché il suo sguardo è impossibile da dimenticare. Da allora sono andata sempre di meno in facoltà. Ed ancora oggi, mentre al teatro Gregotti giù si dibatte su Benjamin e su S.Tommaso, in silenzio sento il potere fortissimo delle sue immagini alle spalle, su quel muro dove le hanno raccolte, senza targhette né illustrazioni di alcun tipo che pretendano di dire chi fosse Marco.<br />
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Tracce, lasciate lì, perché qualcuno si ricordi di lui, mentre intanto gli studiosi, i suoi colleghi ed i suoi professori, continuano ad ingrossare la “ricerca”.<br />
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Non ho la forza di tornare al settimo piano, dove qualche tempo fa trasformavo in chiave estetica la rabbia ed il terrore, pensando intensamente a quel momento, come se fosse stata anche colpa mia. Perché quel senso di corresponsabilità non è mai svanito e non è semplice addomesticarlo.<br />
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Non si può spiegare il dolore, mai. Inutile interrogarsi sulle ragioni, immergersi in continue domande sul senso del riconoscimento, la libertà e la decadenza dei tempi. L’essere e il dover essere. L’apparire che uccide l’essere. Basta. No, ormai non piango più. Perchè lo sto facendo. Non ha senso. Lascio che la disperazione mi faccia sanguinare interiormente, ma non voglio esibirla, perché io sono fortunata e non ho diritto di partecipare a riti solenni di cordoglio per la morte di questo mio collega.<br />
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"Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: "Non c'è altro da vedere", sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l'ombra che non c'era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Il viaggiatore ritorna subito. "(José Saramago)<br />
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Io, che ho tanto cui aggrapparmi, continuo questa replica continua, tornando ogni volta indietro, a rivedere qualcosa, a sperare ci sia altro da vedere, ma senza correre, senza nevrosi insensate di dovere stare al passo orgogliosissima del portamento e delle mie visioni. Perché chi è caduto o non può camminare abita in me. Ed è quel dolore ad impedirmi di trovare allettante la corsa verso l’abisso. Perché non vince chi arriva prima. Forse non vince nessuno. E l’esigenza di essere competitivi è la più ingenerosa invenzione contraria all’umanità che il nostro tempo utilizza a iosa per creare gerarchie idiote ed ingiuste, che lasciano ai margini troppe persone di valore, che personalmente non ho alcuna intenzione di oscurare con una folle, smisuratacorsa, dimentica di ogni caduta.<br />
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Ma perché pria del tempo a sé il mortale invidierà l'illusïon che spento pur lo sofferma al limitar di Dite? Non vive ei forse anche sotterra, quando gli sarà muta l'armonia del giorno, se può destarla con soavi cure nella mente de' suoi? Celeste è questa corrispondenza d'amorosi sensi, celeste dote è negli umani; e spesso per lei si vive con l'amico estinto e l'estinto con noi, se pia la terra che lo raccolse infante e lo nutriva, nel suo grembo materno ultimo asilo porgendo, sacre le reliquie renda dall'insultar de' nembi e dal profano piede del vulgo, e serbi un sasso il nome, e di fiori odorata arbore amica le ceneri di molli ombre consoli. Sol chi non lascia eredità d'affetti poca gioia ha dell'urna; e se pur mira dopo l'esequie, errar vede il suo spirto fra 'l compianto de' templi acherontei, o ricovrarsi sotto le grandi ale del perdono d'lddio: ma la sua polve lascia alle ortiche di deserta gleba ove né donna innamorata preghi, né passeggier solingo oda il sospiro che dal tumulo a noi manda Natura.<br />
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(U.Foscolo, Dei Sepolcri).<br />
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Come donare alle anime cadute un frammento d'eternità? Non ci sono risposte, ma sfido ancora un pò il silenzio decoroso che mi spetterebbe, esortando principalmente me stessa a considerare che se pietà, riconoscimento e gratitudine sono mancate a tanti amici ed amiche fragili mentre erano in vita, non possiamo far altro che onorarli con misericordia infinita adesso, prendendo in consegna il loro tormento, senza troppa retorica.<br />
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Lasciare che vivano attraverso di noi, in un dialogo interiore che prosegue ininterrotto è la sola maniera per non perderli per sempre. E sforzarsi di partecipare ad un dialogo con i vivi che salvano ed aspettano di essere salvati tanto quanto noi, resta l'unico tentativo per tentare di non ritrovarci di nuovo analfabeti in queste situazioni crudeli.<br />
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Sarò pure poco "teoreta" e molto bambina frignona, ma qualcuno sa dirmi quale traccia ed eredità conta più lasciare, se non quella degli affetti?silviazzahttp://www.blogger.com/profile/08542179449503713697noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1573825561310884822.post-38628687280903994602011-10-04T04:08:00.000-07:002011-10-05T01:16:33.373-07:00Poesie di un giorno d'estate 2011<b>Poesia con la A</b><br />
All’alba, angosce aderenti all’anima<br />
Annunciavano agnizioni adamantine.<br />
Avveneristiche applicazioni<br />
Annerirono ardimentose avversioni<br />
All’Attualità acre.<br />
Anticamente aggredii ansie articolate<br />
Aprendomi all’Assoluto.<br />
Adesso, anniento allegrie<br />
Acquistando annoiati attimi, <br />
annotando assenze amorfe, arbitrarie apprensioni,<br />
aleatorie accelerazioni a-ritmetiche.<br />
Attendo ancora Amore?<br />
Avvinta, ausculto acredini ataviche<br />
Accogliendo animalità arroganti,<br />
augurando agli amici accecati<br />
amene avventure avvilenti.<br />
Altrove, apparirà Aurora,<br />
affidabile amica abbandonata,<br />
agonizzante aura, americanamente assorbita.<br />
Attraversando asperità aporetiche,<br />
adombrando apnee astiose,<br />
alloggerò arresa,<br />
aspettando anche altri arrivi.<br />
<b><br />
Poesia con la E</b><br />
<br />
Eventi esaltanti<br />
Eccitano egemonici energumeni<br />
Esportando eccessi<br />
Evitabili ed essiccanti.<br />
Essenzialmente è estetica.<br />
Evitare elucubrazioni ed eludere.<br />
Evasive esplicazioni<br />
Espandono estasi,<br />
estinte enunciando ed esperendo<br />
evasioni ebbre.<br />
<br />
<b>Poesie con la i</b><br />
<br />
Inutile insistere,<br />
Inappropriabile io!<br />
Irrigidirai incessantemente <br />
Incanti inenarrabili,<br />
immaginando, indugiante,<br />
inesistenti infiniti<br />
inseriti in idiomi insonni.<br />
In incerti istanti, invece,<br />
incontreresti intatte intuizioni,<br />
impossibili insieme, inevitabilmente.<br />
Illuminati ignorando, idiota idealista!<br />
<b><br />
Poesia con la O</b><br />
<br />
Osserva: occorre odiare orde, occultare.<br />
Osannate opinioni offerte ogni ora<br />
Offendono onorabilità.<br />
Occasionalmente organizzai ondeggianti orchestre,<br />
ostinandomi ottusamente, oltre ogni opportuno ostacolo.<br />
Ordire oscene orazioni, onerosi orpelli,<br />
ospitando ostili ovulazioni<br />
obliteranti ombre, <br />
Offuscò ozii orgogliosamente onesti, <br />
ottenendo oscuri oblii.<br />
Ormai ordino odiosamente ogni ossuta opportunità<br />
Orientando ovvie occasioni<br />
Ove opacizzarmi obbligatoriamente.<br />
Opzioni:<br />
obbedire ormeggiando,<br />
oppure osare origliare, oltre orchi ora ottenebrati, ora offesi,<br />
opere omnie, odorose orchidee orientali, orme o oggetti oftalmici<br />
onde onorare, omologandomi, odierni orizzonti obesi?<br />
<b><br />
Poesia con la U</b><br />
<br />
Un’unica udienza uccide umbratili unioni,<br />
urtando usanze universalizzate.<br />
Urge un utile ufficio:<br />
uscire,<br />
udendo ugule ubriache urlanti.silviazzahttp://www.blogger.com/profile/08542179449503713697noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1573825561310884822.post-54744983141453785682011-09-29T23:37:00.001-07:002011-10-04T12:53:54.950-07:00MESCOLANZEC’era una volta una mescolanza tra le fragili parole umane ed un principio astratto, che più astratto non si può concepire, che si chiamava “armonia”.<br />
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Se l’erano inventato alcuni Greci, proprio i progenitori di quella terra con la merda fino al collo che ha innescato la crisi economica più imponente dal secondo dopoguerra, la crisi che sta facendo tremare la nostra folle Europa, unita da diverso tempo solo da una moneta, giacchè una storia millenaria di battaglie ed imperialismo sfrenato, inscenato per tragici manciate di decenni dai potenti di turno, alla fine non era riuscita a trovare nient'altro di meglio che quest'uniforme. Cosa attendersi, del resto, da un passato di discriminazioni continue, spropositato potere ecclesiastico, un olocausto che non fa piangere più nessuno e solo qualche raro momento speso a cercare, contro tutte le autorità ed in favore del fuoco che brucia dentro e da cui nasce ogni bellezza, quale dovesse essere il posto dell’uomo nel cosmo? Iniziata in nome dell'humanitas terenziana, attecchita in Italia con il Rinascimento nel Cinquecento, e proseguita con l’Illuminismo ed il Romanticismo per affrontare, sempre diversamente e con rinnovata passione, il rapporto tra gli uomini e la storia, l'arte, la natura ed il sacro, mettendo ora al centro la ragione, ora il cuore, ma sempre condizionando in modo persistente intere epoche e tutte le possibilità espressive dei viventi-non soltanto europei-, questa ricerca perse lentamente ogni aura, travolta dai prodigi accecanti della scienza e delle sue mirabolanti applicazioni. Dopo due guerre devastanti per tutto il pianeta, nel Vecchio Continente si era scelto di fare gli adulti, reprimere istinti bellici e trovare nuovi Dei.<br />
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E siccome la democrazia, dopo infinite e fiere lotte da parte di molti coraggiosi uomini e donne europei, ormai dimenticati, aveva finito con l'invadere l’Europa e la plebe appariva ormai incontrollabile, si pensò al Dio Denaro, meglio se invisibile. Dopo il fallimento delle proposte rivoluzionarie marxiste, si capì come per tenere buona la massa andava bene solo il capitale, capace di rendere inconsistenti le naturali differenze estetiche ed etiche ed uniformare nella rassegnata lotta all’accaparramento di qualsiasi oggetto tutte le classi sociali, entusiaste all’idea di poter produrre sempre di più e fare crescere le finanze del loro paese d’appartenenza. Mentre nella campagna la tecnica uccideva rapidamente antichi mondi agresti-con buona pace di Pasolini- in ogni luogo dell’Europa, l'esile frontiera urbana che separava questo scellerato continente, sempre più soffocato dal cemento, era solo economica: da una parte c’era chi guadagnava tantissimo e dall’altra chi riusciva a stento a sopravvivere. La legge del mercato, condizionante ogni epoca passata, si era fatta totalitaria. Non sottomettersi ad essa, significava rinnegare di essere europei.<br />
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La frammentarietà europea aveva, nel frattempo, trovato modo di innalzare una nuova Torre di Babele, grazie al linguaggio ed ai nuovi usi derivanti dalla tecnica. Beh, non ci si poteva certamente aspettare di sentirsi fratelli perché legati da tradizioni condivise, sperimentatori di culture differenti e spinte solo di rado al rispetto autentico, senza riserve, della bellezza e sacralità della vita in ogni sua parte, certo. Così, uniti dal Dio denaro, più o meno tutti gli europei si comportarono come merci, perdendo sempre più di vista la differenza tra mezzo e fine ed avendo sempre meno cura di preservare l'intimità stessa dal commercio continuo con gli altri esseri umani.<br />
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Tuttavia, anche se sedato ed in buona parte lobotomizzato, il vecchio Continente intuiva di vivere in uno stato di calma apparente, forse più inquietante di quello conosciuto durante la Guerra Fredda. Di sangue non se ne spargeva più da decenni perchè la corsa alla civilizzazione aveva ormai rivoluzionato il volto dell’Europa, che preferiva sfogare altrove la sua sete di potere.<br />
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Dal crollo delle Torri Gemelle in quel Nuovo Continente con cui l'Europa cominciò crescentemente ad entrare in competizione, assimilandone rapidamente la cultura pragmatica poco propensa alla riflessione, il terrore di essere minacciati da oscure potenze rendeva isterica la maggioranza della popolazione europea.<br />
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Ma poi, un bel giorno, il capitalismo fallì. E la parola d'ordine "sicurezza" dei politici europei non riusciva più a tranquillizzare l'Europa.<br />
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Fu allora che, accorgendosi finalmente come quello che appariva ancora un miracolo economico era stato una solenne bugia, e che non solo i cittadini, ma gli stessi capi dei Paesi europei non erano che pedine di un gioco molto più grande i cui padroni erano le aziende petrolifere, le banche e le case farmaceutiche, tornò voglia di quella mescolanza, dimenticata da tanti, pressochè tutti gli abitanti del continente europeo. Si sentiva l’urgenza di un nuovo ordine, si cercava una nuova visione del mondo rispettosa della natura, cresceva il bisogno di confrontarsi senza sbranarsi e senza parlare di interessi economici.<br />
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Insomma, era giunto il momento. Quella strana miscela greca avrebbe potuto salvare finalmente l’Europa, ma…non si trovavano più le parole!<br />
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Quel principio astratto di cui si parlava all’inizio aveva attecchito, a dire il vero, molto spesso nel sangue europeo. Anche nelle epoche di decadenza, un’attrazione indicibile per tutto ciò che risponde a delle proporzioni, si presenta misurato e privo di ogni eccesso, aveva reso il senso della classicità ancora una traccia ben visibile nel Vecchio continente.<br />
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Il rock’n roll aveva fatto, certo, traballare vecchi schemi precostituiti, ma non riuscì mai a dare colpi di grazia definitivi all’idea di una segreta armonia tra le cose e tra le persone. Woodstock unì la gioventù degli anni Settanta molto più che intere generazioni di turisti durante una passeggiata ai Musei Vaticani.. e se si hanno occhi ed orecchie raffinati e sufficientemente anticonvenzionali, facilmente si riscoprirà molta più armonia in un brano dei Beatles che in una statua del Canova.<br />
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C’erano stati Picasso, gli happening e la dodecafonia, naturalmente. Ma ancora la sete di misteriosa armonia non si dileguava. Poiché si discuteva dei criteri estetici, infatti, l’armonia veniva presa come termine di paragone continuamente, per dissacrarla il più delle volte, ma nessuno riteneva di non dover più fare i conti con quella nozioncina ideata da Euclide, Platone, Fidia e compagnia bella, che legava insieme la comunità greca, dispiegando il suo potere tanto nelle arti, quanto nella conoscenza, quanto, soprattutto forse, nella politica da promuovere in una democrazia.<br />
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Nel parlare, ancora qualche decennio prima dell’epoca cui ci stiamo riferendo, in Europa si cercava ancora di discutere in modo comprensibile, il che vuol dire, tutto sommato, in modo armonico. Si dialogava in modo animato, non si doveva affatto essere d’accordo ed orchestrare un discorso ben composto, quasi come se non si fosse tenuti a dire la propria per non correre il rischio di offendere qualcuno degli interlocutori, ma non era mai venuto in mente a nessuno di rinunciare alla parola e trincerarsi in un codice linguistico frammentario ed incapace, premeditatamente, di raggiungere l’altro. L’incomunicabilità esisteva già, ed era stata esplorata di recente, in fondo, nella stessa Europa..pensate ai drammi di Ibsen, ai film di Antonioni...e l'elenco sarebbe infinito.<br />
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Tuttavia, la responsabile dello sfacelo non era ancora mai stata la tecnica, l’arte che, per avvicinarsi alla verità o solo per sopravvivere in qualche maniera agevolando il suo lavoro, l’uomo aveva coltivato dai tempi del fuoco, avvalendosene nel corso dei secoli anche per travalicare le distanze fisiche e restare in contatto con il prossimo.<br />
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Il diritto di parlare concesso a tutti aveva ucciso le parole? Chissà, è possibile.<br />
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L’eccesso di tecnica di cui l’ingorda Europa si trovò a pagare il fio, per decenni allontanò volutamente gli esseri umani che ne facevano uno smodato uso in maniera quasi incontrollabile. Telefoni, fax, pc, ipad e decine di altri strumenti avvolgevano in una rete gli europei, convinti di essere finalmente al sicuro da una nuova guerra mondiale.<br />
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Sempre “connessi”, non trovavano più spazio per ricerche personali di linguaggi più incandescenti e, soprattutto, non avevano più idea di cosa volesse dire stare a colloquio con qualcuno.<br />
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Il delirio dei molti, senza nessun’intenzione di cercare affinità che non fossero virtuali ed estremamente aleatorie, non concedeva spiragli di salvezza a nessuno.<br />
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Per questa ragione, le parole si erano perdute.<br />
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Il cuore dell’Europa si era annerito del tutto. Il gelo invadeva lo sguardo degli svedesi così come quello dei portoghesi. Ci si amava sempre di meno e, quasi sempre, in modo per lo più meccanico. I viaggiatori sinceri, i poeti ed i cantanti erano stati messi ai margini perché improduttivi. Eppure, soltanto le loro parole avrebbero potuto sbrinare il cuore europeo e rendergli chiaro quanto tutti i mezzi del mondo valgono poco se il fine non rimane quello dell’armonia e l’armonia risulta una chimera se non ci sono parole capaci di raggiungere l’altro, senza perdersi nella massa amorfa di segni elettronici e pixel di varia foggia.<br />
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Preferire la ricchezza materiale a quella del discorso aveva ucciso per sempre il mondo occidentale.<br />
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Un declino inesorabile, un tramonto annunciato da più parti e da tanti, tantissimi decenni.<br />
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Ecco cosa si sarebbe realizzato finalmente nell’attesissimo 2012.<br />
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C’era una plebe che voleva avere le stesse cose di cui avevano goduto per anni gli europei, quella stessa plebe che era stata sfruttata in modo inenarrabile per concedere il lusso capitalista al Nuovo ed al vecchio Continente. Ed era giunto il momento che finalmente si prendesse la rivincita secolare, trionfando per una volta su quello stesso principio astratto di “armonia”, che, allo stato attuale, veniva ingurgitato solo per essere legittimati a vedere come nemico inaccettabile il caos, perché temibile.<br />
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“Meglio un’apologia dell’esistente, seppure marcio, che pensare a nuove forme di convivenza, se il prezzo da pagare è sconvolgere le gerarchie attuali”, pensavano i ricchi.<br />
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Ma non riuscirono a fermarli. Una mescolanza nuova si trovava adesso a fare i conti con la vecchia, ed era ovviamente molto più vitale ed energica. Nessuno avrebbe potuto avere dubbi sulla sua vittoria.<br />
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Repressione, voglia di riscatto, voglia di nuovo e straordinaria forza fisica, oltre che un’intensità nel sentire il cosmo ed il corpo proprio e dell’altro, con un ritmo sensuale che nessun europeo probabilmente potrà mai aver la fortuna di sperimentare, si mischiavano in quelle sane energie mediterranee, prive di idiote inibizioni legate alla civilizzazione, di cui, almeno inizialmente, i nuovi arrivati intendevano esaltare soltanto la possibilità di sfamare chi fino a quel momento aveva conosciuto solo carestie e guerre fratricide.<br />
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Le due “miscele” si trovarono a combattere su un ring nella sabbia di Lampedusa, ma bastarono pochi colpi perché la mescolanza europea venisse atterrata, sostenuta a malapena da un coro di tifosi bianchi, impressionati enormemente dalla flessuosità e dignità di quei corpi che venivano dal mare. Poi, scrollatasi la polvere di dosso ed accarezzando, con un ultimo gesto di atavica pietà europea, il volto nero, la sconfitta trovò le parole che mancavano ed erano, per la prima volta, le più vere che avrebbe mai potuto pronunciare:<br />
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“Il mondo è giusto che sia vostro adesso. Il ciclo europeo si è compiuto, fratelli. Riprendetevi ciò che vi abbiamo tolto e siate felici, sforzandovi di non replicare i nostri errori. Siate misurati!”<br />
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Riuscii a sentire solo queste parole, poi mi dovetti allontanare, pressata dalla folla mista, che gridava in mille lingue e dialetti differenti la sua felicità o il suo terrore.<br />
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La storia viene riscritta dai vincitori, è noto. Per questo, ora che sono tornata a casa e non so cosa sarà di me, vorrei cercare di anticiparla e scriverla anche per i vinti, immaginando alcuni possibili finali:<br />
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1) La reazione del vincitore, malgrado il tono sinceramente comprensivo dell’Europa, fu ugualmente vendicativa e ben pochi cittadini del vecchio continente poterono esimersi dal diventare i nuovi schiavi dei neri. Musei, biblioteche, cattedrali e municipii bruciarono in poche settimane in tutte le principali capitali europee. I leghisti riuscirono a gridare “ve l’avevamo detto, stupidi! Allargare le frontiere era un crimine!”appena un attimo prima di essere fucilati.<br />
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Sebbene i gloriosi europei dominatori si trovarono pressochè tutti d’un tratto dominati, alcuni di essi riuscirono a scappare. Dopo un viaggio disperato su un barcone e diversi anni in cammino per il deserto, un gruppo sparuto di europei riuscì a rifugiarsi nel sud Africa, ma, pur sforzandosi di mantenersi sobrio, non sopportò a lungo la natura selvaggia e non riuscì, perciò, a lasciare alcuna traccia dell’antica civiltà europea.<br />
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2) I neri si rivelarono meno brutti, sporchi e cattivi di quanto non credessero gli europei. Guardarono con pena la mescolanza europea e risposero: “ Ciò che è vostro è nostro e viceversa. Non vogliamo farvi patire ciò che abbiamo patito per secoli, perché anche voi siete figli di mescolanze, anche quando lo dimenticate del tutto. E poi ci piace crede che persino tra di voi ci sia qualche persona buona. Scriveremo nuove leggi insieme e mai più nessun figlio della terra sarà sfruttato, da qui all’eternità”. Dopo essersi ricongiunti con le loro famiglie, accettarono di intraprendere un lungo cammino di reciproca conoscenza. Solo i leghisti e gli xenofobi sparpagliati per tutta l’Europa vennero espulsi, perché incapaci di stare e mescolarsi nei discorsi, senza stancarsi di cercare nuove parole e nuovi ritmi, per ricostruire interamente un mondo nuovo.<br />
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3) La vecchia mescolanza europea non aveva neppure finito di dire quella frase, quando giunsero a Lampedusa centinaia di navi ed aerei americani, cinesi, australiani e giapponesi, con tutte le loro bizzarre mescolanze. “Dovrete vedervela con noi!” gridò un colonnello americano, “ Potete pure restare qui..Il petrolio è nostro!”, urlò un aviatore giapponese. E fu tutto un parapiglia, che durò per ore ed ore, senza che nessuno riuscisse a rasserenare gli animi. Poi, d’improvviso, nell’acqua si creò una gigantesca voragine ed emerse un Tritone che così imponente e regale non se n’erano visti mai nemmeno nella Sirenetta di Walt Disney. Arraffò cinque, sei nuvole e le avvicinò alla spiaggia.<br />
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“Salga qui soltanto chi ha il cuore pulito!”-intimò- “E vedete di non fare i furbi, terrestri, perché chi dice menzogne, salito sulla nuvola ne verrà inghiottito per sempre”.<br />
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Raccolti i neri e qualche altro gruppetto di europei, cinesi, giapponesi e americani, Tritone sollevò con un braccio la nuvola colma di esseri umani di tutti i colori, mentre con l’altro accarezzava la superficie del mare, innescando uno tsunami che nel giro di poche ore travolse tutta la superficie terrestre. Non era rimasto più suolo calpestabile né l’ombra di un malvagio. E dall’alto del cielo i buoni ricominciarono a cantare, poetare e raccontare le loro storie, fino a che non morirono tutti di sete e di fame, ma contenti.<br />
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Prepariamoci alla fine o ad un prodigioso cambiamento..ogni fine, in fondo, è un inizio.<br />
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Es ist gut.silviazzahttp://www.blogger.com/profile/08542179449503713697noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1573825561310884822.post-29153414452884301872011-08-01T12:40:00.000-07:002011-08-01T12:40:25.299-07:00augurihttp://www.youtube.com/watch?v=p0asnmpyKfY&feature=relatedsilviazzahttp://www.blogger.com/profile/08542179449503713697noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1573825561310884822.post-892507421616960952011-08-01T12:31:00.001-07:002011-08-01T12:31:43.544-07:00FluttuareSiam tornati dalla terra per dormire finalmente un amore nello spazio.silviazzahttp://www.blogger.com/profile/08542179449503713697noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1573825561310884822.post-86863746889623321962011-07-30T05:10:00.000-07:002011-07-30T11:08:49.326-07:00Se non spera non troverà l'insperato (e negherà che si dia l'in-spirato)Ci sono cose che esistono ma che non riusciamo a vedere perchè siamo come ciechi, assorbiti dalle nostre private congetture; altre che non esistono ma continuano a sembrarci reali e di cui parliamo come se fossero viste da tutti; altre ancora che vediamo solo noi e che restano invisibili agli altri, com'è giusto che sia.<br />
Il mistero della bellezza è quello che ancora tiene in piedi molti <b>ricercatori d'oro<i></i></b>, incapaci d'arrendersi ad accettare la consumazione che divora se stessa imposta dal loro secolo, e decisi a sfidare le leggi del tempo che sottrae l'incanto, un attimo dopo averne mostrato una sua piccola, indimenticabile parte.<br />
Sono costoro degli anticonformisti ? In un mondo livellato, appariranno probabilmente tali. Ma sono persone normali, certamente distanti dall'americanismo infiltrato anche nelle ossa ed ostili ad ogni tipo di semplificazione, che sanno come ognuno sia un mondo a sè e che ciò che lega tutti in fin dei conti sia solamente quella porzione condivisibile attraverso la lingua e tutto ciò che dal linguaggio deriva, ma che è così poco decisiva nella storia fitta di turbolenze del singolo da suscitare in loro ripetute disapprovazioni e fasi di rigetto totale dell'idea di "appartenenza".<br />
I ricercatori d'oro sanno che le esperienze non possono essere narrate, così come i piaceri ed i dolori più grandi non possono venire in alcuna maniera indicati e resi percepibili a chi solo perchè ha un organismo umano ed è mortale non è immediato affatto riconoscere appartenente allo stesso genere.<br />
Essi amano più le differenze delle identità, ma non si stancano comunque di cercare affinità, sapendo bene quanto proprio questa sia la cosa più difficile da trovare sotto questo cielo.<br />
Camminano con magliette speciali con scritte che brillano al sole, del genere "Vuoi salvarti con me?" o "Cerco un affine". Ma vengono abbracciati più da topi e da maiali, che non da qualche essere umano intorno, poco disposto ad ascoltare veramente le loro sciocche elucubrazioni.<br />
Del resto, la loro solitudine si confonde con quella stratosferica della "massa", ma i ricercatori d'oro hanno fiducia nella potenza della cultura, speranza che nell'aprirsi al mondo con curiosità, tante domande e raffinata sensibilità non ci si faccia contagiare dalla stupidità cosmica dei dormienti e dagli slogan che popolano tanti cervelli intorno. <br />
Vivono per distinguersi solo per potere distinguere, sospettando sempre più tragicamente che ad estinguersi comunque alla fine saranno loro.<br />
Hanno sognato le rivoluzioni come tutti, hanno vissuto le crisi della politica come tutti, ma senza mai lasciarsi irretire nella logica di dominio che guida la società occidentale.<br />
Hanno tenuto gli occhi aperti perchè la poesia non tramontasse, le orecchie rizzate perchè un suono nuovo li sconvolgesse, le mani protese verso un volto triste cui offrire una carezza, il naso ben sturato per mantenere familiarità ancestrale con le cose importanti e respingere vizi e scelte improprie, ed hanno tenuto la bocca sempre più spesso chiusa, per non coprire con i loro discorsi il ritmo perfetto dell'universo.<br />
Quando andranno via, potranno dire di avere attraversato la vita sfruttando tutti i sensi, trascorrendo le giornate in continua lotta come e più degli altri. Ma ciò basterà loro a pensare di aver vissuto sul serio ciò che contava vivessero?<br />
I ricercatori d'oro smettono di credere a tutto ciò che è possibile navigare con imbarcazioni speciali, ma umane, quando all'improvviso si ammalano o perdono qualcuno.<br />
Colpiti, affondano anche loro. E non conta più nessun'etica della bellezza, a quel punto non sembra più saggio nè interessante scolpire le giornate all'insegna della ricerca della meraviglia. <br />
Non sono più in grado di darsi alla barbarie, l'educazione estetica non riesce a farli essere esattamente come la massa, nemmeno se lo volessero con tutte le loro forze.<br />
Ma feriti, strozzati dal dolore, non sanno più cercare l'oro. Non sono più capaci di farlo. Tutto quel che era in loro potere fino a quel momento si rivela fugace più dell'istinto ottuso che per lo più guida- come amano villanamente pensare- gli altri. La memoria si sgretola, la speranza è in frantumi, le gambe immobili e doloranti, la testa pesante ed il respiro affannoso.<br />
Svuotati improvvisamente di tutto ciò che li ha costituiti finora, i ricercatori d'oro adesso hanno solo un obiettivo: dimenticare, dimenticarsi.<br />
Annientare se stessi, perdendo qualunque interesse per le cose, le facce, i discorsi, la storia, gli aneddoti, i profumi e le musiche più stupefacenti che l'umanità ha saputo creare.<br />
Tutte quelle tracce umane non riescono più a suggerire loro la presenza di Dio. E quello che i ricercatori d'oro stavano inconsciamente cercando da sempre, invece, era proprio Lui.<br />
Aspiravano ad un suo caldo abbraccio, scrutando le sue opere con devozione senza ammetterne la Paternità suprema. Ed ora, incerti e confusi, spiazzati dalla consapevolezza che la stessa bellezza sia un lusso troppo difficile da mantenere quando si è ad un passo dalla morte, elidono tutte le risposte certe accatastate negli anni, non riuscendo a porre argini efficaci ad un dubbio devastante che li attraversa in ogni particella cromosomica, li rende insonni, instabili nelle relazioni affettive, seppur sempre preoccupati per tutto ciò di cui non sanno più prendersi cura come era stato altre volte possibile.<br />
Si stanno chiedendo dov'è. Gli stanno domandando se c'è e perchè li ha abbandonati. Perchè tutto questo dolore, perchè questa trasfigurazione? Se ne sentono la causa, scorgono indietro i momenti topici in cui hanno scelto la strada sbagliata, determinando una serie di eventi discutibili, che li hanno fatti allontanare dalla loro originaria sete d'oro. Ma c'è qualcosa che eccede il loro senso di responsabilità. Il timore che a fare da contraddittorio al Kosmos non sia il caos, ma un piano del tutto soprannaturale, che non si può studiare nemmeno secondo questa contrapposizione così affascinante, che spiega il mondo degli uomini, l'arte e la natura. Ma non si piega, per questo, nemmeno alla psicanalisi, spernacchia Freud, come se, oltre l'inconscio, ci potesse essere ancora qualcos'altro che non si riesce a vedere finchè si ragiona in termini consueti. Fin quando si ragiona, insomma.<br />
Lì non c'è il cosmos con Dio, nè Dio nel caos, nè forse, più terribilmente, il caos in Dio.<br />
Lui non sta più curando i suoi ricercatori d'oro perchè non li ha mai curati davvero. Forse il suo mestiere è quello di dare solo una rapida sbirciatina ogni tanto, come un padre distratto ma indulgente, cui non interessa particolarmente che cosa capita ai suoi figli. Quando questi moriranno, non importa quanto oro abbiano raccolto. Li trasformerà in energia per concedere al pianeta di sopravvivere a sè stesso qualche anno ancora, tutto qui. E poi, finalmente, il suo compito sarà finito. Il mondo finirà. I ricercatori d'oro, i depressi che lo erano stati, i nevrotici che stanno appena conoscendo la perversione nascosta nella loro visione alterata, ebbene tutto finirà in un nuovo Big Bang di segno opposto al primo, che annienterà ogni forma di vita umana, dando un calcio definitivo ad ogni ingenua visione di un Dio-Amore, capace di dare risposte all'irrazionale legno storto dell'umanità, per ingannarlo di essere più buono del cobra e della murena.<br />
Anche una predizione di questo tipo, tuttavia, non scansa la fatica di tirare avanti fino a quel giorno, cercando di non perdersi proprio tutto il meglio che in questa vita può incontrarsi ancora, venire creato, forse ricreato, qualunque sia la sua origine e la sua destinazione, quale che sia la particolare condizione vissuta, la situazione emotiva con cui ci ritroviamo immersi, gettati nell'esistenza, e che varia con noi, come noi variamo grazie ad essa.<br />
Accettare la variazione come la sola formula di resistenza, dunque, può essere possibile solo se ci si illude di poter vivere per sempre, in un equilibrio senza durata realmente misurabile, che tuttavia resta sostenuto da una spes contra spem il cui sapore dolce, se ci si ferma un istante cambiando prospettiva dell'insieme, riaffiora nella nostra bocca facendoci venire l'acquolina di nuovi giorni, nuove albe, nuovi posti e progetti da fare, libri da leggere, discorsi e film con cui intrattenersi, corpi da adorare e da cui lasciarsi amare insaziabilmente. Come se la morte non dovesse venire, non ora. E Dio, buono, giusto, indifferente o vendicativo che sia, se ne stesse comunque alla giusta distanza per una volta, schiacciandoci persino l'occhio quando al timore che osteggia il nostro cuore sappiamo abilmente avvicinare sua sorella speranza e lasciarle fare il suo compito: cambiare aria nella nostra dimora interiore, aprendo tutte le finestre che il terrore sigilla, giocando come un ladro con il nostro respiro che solo la leggera speranza ha veramente "a cuore".<br />
Per tutta la vita ci sarà chi chiuderà finestre e porte e chi le aprirà. Bisognerebbe allora stare attenti tanto all'aria viziata, quanto alle correnti d'aria. Forse non si tratta tanto d'avere paura al momento opportuno, ma solo di non concederle troppo potere, alternandola al moto opposto, che si premura di liberarcene con grazia ineffabile.<br />
La vera disperazione, speranza stravolta come dice il nome, è solo la tirannia della paura, è così semplice ed ovvio che lo si dimentica facilmente. <br />
Perciò, i ricercatori d'oro vanno ad aprire le finestre e si sforzano di respirare a pieni polmoni. Il nuovo big bang si avvicina e non resta loro che aspettarlo serenamente, mantenendo pulita l'aria interiore, da millenni chiamata, non a caso, anima, <i>psychè</i>, alito, soffio di vento..<br />
Dopo tante traversie, i ricercatori d'oro hanno deciso d'essere d'ora in poi solo R-espiro, almeno fino a quando la R per ognuno di loro cadrà. Così, al congedo da questa terra, essi soffieranno via tutta l'aria-aurea negli anni concessi raccolta, perchè chi verrà dopo possa trarne "ispirazione", riprendendo a respirare diversamente, ma in invisibile, eppure reale, continuità con il loro aureo respiro.silviazzahttp://www.blogger.com/profile/08542179449503713697noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1573825561310884822.post-70764235170160886262011-07-22T07:45:00.000-07:002011-07-23T06:30:09.823-07:00Lui, Lei e l'oceanoSiamo la sommatoria delle nostre scelte. Introdurre veleni senza interromperne il flusso quando ancora si ha la capacità di intendere quanto siano letali è la prima causa del decesso dell’equilibrio umano, maschile e femminile. Eppure si continua a sbagliare, finendo con il ritenere naturale ciò che non si riesce a rivoluzionare per mancanza di volontà.<br />
Fragilissima creatura, incapace di perseverare nella logica di autoconservazione mangiando il più debole come gli animali, l’uomo ( o solo la donna?) è costretto ad amare per cercare di riprodursi ed in questo modo distrugge sé stesso, a volte la sua parte più fondamentale. Tuttavia questo non accade allo stesso modo.<br />
Assai banalmente si potrebbe dire che l’uomo getta il seme, non sottrae niente al suo essere, anzi lo incrementa. La donna, invece, ovula, può fecondare o no, ma non può che accogliere, fare spazio, venire penetrata, lacerata, ferita. È il <i>dispendio</i> di memoria batailleana, la ricerca di una <i>mancanza d’essere</i> a guidarla, non certo l’autoconservazione violenta di chi impone il suo essere sull’altro con l’intento specifico di dominarlo. La donna, si dirà, si immola, si sgretola, si fa piccolissima e non nasconde le lacrime perché ha bisogno di soffrire per essere biologicamente sana.<br />
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E no, e che diamine!<br />
Ricordiamoci sempre di quanto scritto da Anna Koedt nel lontano 1970, in <i>The Myth of the Vaginal Orgasm</i>. Attraverso il mito freudiano della penetrazione, «le donne sono state definite sessualmente nei termini che piacciono agli uomini [...] siamo state nutrite col mito della donna liberata e del suo orgasmo vaginale - un orgasmo che di fatto non esiste».<br />
Come dirà Carla Lonzi: «la donna clitoridea non ha da offrire all'uomo niente di essenziale, e non si aspetta niente di essenziale da lui. Non soffre della dualità, e non vuole diventare uno».<br />
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Tutto questo è ignoto ancora alla maggior parte degli uomini. Chi ne è consapevole, invece, è probabile celi con abilità la sua disperazione, ammesso che la conosca sul serio, nel non potere appagare come pensa la "sua donna" e nel dover rinunciare ad esercitare la sua <i>potenza </i>senza timore degli effetti nocivi per chi gli sta accanto. <br />
Forse fa finta di niente e prosegue convinto di dominare sul serio la sua "pupa", regalandole qualche gioiello o prenotando dei week-end che spezzino la routine.<br />
Compagne con cui condividere "occasioni" di fuga, da esibire come trofei a qualche cocktail, senza ostacolare nè la carriera nè il fancazzismo. Questo per molti devono essere le donne, nient'altro, possibilmente mute e con l'elettroencefalogramma piatto. <br />
Che continui pure ad inscenare insulse lotte per il riconoscimento e mai per la riconoscenza, inseguendo ideali di potere che la donna ha sempre trovato ridicoli!<br />
Alla donna della dissennatezza maschile ormai non dovrebbe più importare un fico secco...<br />
Se sono stati i maschi a fare le guerre, lei sa benissimo che è accaduto perché a curare le ferite erano le infermiere (così come infermiera fu una delle prime femministe, Emma Goldman) e perché ad aspettarli a casa erano le mogli e le fidanzate, tradite, dimenticate, con retorica suadente riconquistate, senza che si lasciasse mai loro la possibilità di pensare ad <b>un bene proprio</b>.<br />
Eppure, ancora oggi, la donna spesso dimostra di non sapere affatto cosa ciò voglia dire.<br />
Sono tutte apparentemente pazze le donne – o solo quelle eterosessuali?- che non hanno ancora chiaro quale dannato equilibrio possa mai spettare a chi voglia vivere il sentimento amoroso, senza rassegnarsi all'apatia che rende al confronto più succose persino le vicende narrate nei telefilm americani. <br />
Ancora troppe volte sembra che non si sia compiuta alcuna emancipazione effettiva, che il femminismo sia stata una nuvoletta rosa in un cielo ormai del tutto nero. E questo accade non solo quando si verificano gli ormai noti orrori nelle stanze del potere, tra troione di regime e prostitute consumate dalle logiche contemporanee del "ti mostro il pelo e ti dileguerai, ma prima dammi tutto ciò che hai".<br />
Ci sono donne che quotidianamente, malgrado il recente movimento "se non ora quando", borghese come è borghese questo tipo di femminismo, ancora si distruggono pensando di non valere niente se non sono toniche a sufficienza per piacere al loro uomo. Si sfregiano, ritenendosi, per diverse ragioni, troppo imperfette ed inadeguate. Si svendono, immaginando che nessuno possa trovare loro degne più di quanto non faccia un meschino ciarlatano incontrato per via, dopo tanti esperimenti che hanno solo fatto crollare il sogno infantile del principe azzurro. Sono pronte improvvisamente ad arraffare le briciole d’affetto di chiunque sia disposto a portarle a cena una volta, a coccolarle un po’, farle sentire belle e materne. <br />
Così le loro esistenze svaniscono in un desiderio mai appagato di un coito vaginale che, qualora anche miracolosamente giungesse, non varrà a giustificare tutti quei salti mortali per tenere in piedi una coppia e, poi, forse, una famiglia. <br />
Soltanto i figli, inutile negarlo, rimarrebbero come garanzie che il loro essere abbia un significato profondo e più duraturo. Ma sono sempre meno propense a generare, perchè l'indipendenza economica è un lusso sempre più raro, innanzitutto. E poi perché riconoscersi nel maschio, anche il più tenero di tutti, resta una speranza di impossibile concretezza, giacché l'impressionante mutevolezza del sesso maschile, indebolito e frustrato all'inverosimile, rende ogni compagno decisamente inaffidabile, uno specchio frammentario nel quale ogni riflesso benefico viene presto rimpiazzato da uno mostruoso, che diete isteriche e corse forsennate verso l’ultimo paio di scarpe alla moda cercheranno invano di compensare.<br />
Per fortuna ci sono le amiche con cui trasformare questa desolante situazione in un ironico pomeriggio trascorso a prendere in giro la bassezza maschile, un attimo prima di perdersi in nuove dinamiche di vanità e sottomissione che le renderanno sempre distanti dalla scoperta di un essere alternativo a quello suggerito dalla tradizione.<br />
Insomma, a cosa è servito il femminismo? A rovinare gli uomini, rendendo indefinita la loro "virilità"? A rendere ancora più insoddisfatta la donna etero, pronta a pensare che le "affinità elettive" siano un'utopia e solo le lesbiche possano essere felici? <br />
Non lo so. Ma da quello che ho imparato in questi anni traggo la conclusione che se si sceglie la solitudine, se ci si mette in testa di potere scardinare del tutto questo andazzo, rinunciando interamente al meccanismo perverso della seduzione, si è già fuori dal tracciato della salvezza. <br />
Si rinuncia al corpo, si mortifica un’altra volta la sessualità per il gusto di una preziosa “dignità” che dura poco, come effetto glorioso di una fortunata stagione di determinazione di sapore maschile. <br />
Perciò, l’alternativa mi sa che è non sciogliere il nodo. Rimanere nell’aporia. Accettare l’incomparabilità dei tratti che rendono l’uomo e la donna due isole lontane in un oceano che dipende solo da noi rendere, pur in mezzo a tante tempeste, tutto sommato navigabile, piuttosto che pensarlo inquinato al punto da impedire qualunque avvicinamento.<br />
E quando ci si stanca, non solo nuotare da soli non guasta, ma nessuno assicura che lo scopo sia veramente raggiungere l'altra isola e piantare una tenda lì.<br />
L'importante è uscire fuori dalla propria isola, perdersi nel mare dell'esperienza... e poi sarà quel che sarà. <br />
Perchè, se signori si nasce, donne si diventa.<br />
Fate un bel respiro, perciò, care donne, la partita è tutta nostra, e, giocata con strategia o con buone dosi di pietà che sia, attende tutto il nostro entusiasmo, il bisogno-voglia di scrivere nuove pagine di Storia che non mortifichino l'impegno di chi ci ha preceduto, lottando per la nostra libertà.<br />
Scacciamo via ogni attacco di panico della malora... e tuffiamoci perchè, dopo tutto, è molto meglio annegare che soffocare.silviazzahttp://www.blogger.com/profile/08542179449503713697noreply@blogger.com0