venerdì 6 novembre 2009

Distrarsi per non morire... Pascal ed il diverstissment

Noia. Niente per l'uomo è insopportabile come l'essere in pieno riposo, senza passioni, senza affari da sbrigare, senza svaghi, senza un'occupazione. Egli avverte allora la sua nullità, il suo abbandono, la sua insufficienza, la sua dipendenza, la sua impotenza, il suo vuoto. Subito si leveranno dal fondo della sua anima la noia, la malinconia, la tristezza, l'afflizione, il dispetto, la disperazione.

Distrazione. Delle volte mi sono messo a considerare le diverse forme di agitazione degli animi, e i pericoli e le fatiche a cui si espongono, a corte come in guerra, e donde nascano tante contese, passioni, imprese audaci e spesso dissennate. Ho scoperto che l'infelicità degli uomini deriva da una sola cosa, che è quella di non riuscire a starsene tranquilli in una stanza.

Un uomo che ha mezzi sufficienti per vivere, se sapesse starsene a casa sua traendone piacere, non uscirebbe per mettersi in mare o all'assedio di una postazione. Non si comprerebbe così a caro prezzo un grado nell'esercito, se non trovasse insopportabile non andar via di città;e cerca le conversazioni e gli svaghi dei giochi solo perchè non riesce a stare in casa con piacere.

Ma quando ci ho maggiormente riflettuto e, dopo aver trovato la causa di tutti i nostri mali, ne ho voluta scoprire la ragione, mi sono reso conto che ce n'è una molto concreta, che consiste nell'infelicità intrinseca della nostra condizione debole e mortale, e così miserabile che niente ce ne può consolare, quando ci soffermiamo a pensarci.

Qualunque condizione ci si immagini, se si mettono assieme tutti i beni che si possono avere, l'essere re è la più bella condizione del mondo, ma ci si immagina tuttavia un re accompagnato da tutte le soddisfazioni che può prendersi. Se lo si immagina invece privo di svaghi mentre valuta e riflette su ciò che è, felicità e mollezze non lo sorreggeranno più, egli soccomberà inevitabilmente di fronte alle minacce che vede, alle rivolte che possono verificarsi, e infine alla morte e alle malattie che sono inevitabili; e così, se è privato di ciò che si chiama distrazione, eccolo infelice, più infelice ancora del più misero dei suoi sudditi che giochi e si possa distrarre.

Da ciò si desume perchè il gioco e la ricerca della compagnia femminile, la guerra, le alte cariche siano mete tanto ambite. Non che vi si trovi effettivamente della felicità, né che ci si immagini che la vera beatitudine consista nel denaro che si può vincere al gioco, o in una lepre che corre: non si accetterebbero come doni, se fossero offerti.

Non è questo possesso, molle e placido, e che ci lascia pensare all'infelicità della nostra condizione, che si ricerca, né i pericoli della guerra, né gli affanni delle cariche, ma è il frastuono che ci distoglie dal pensarci e ci distrae. ragion per cui si ama di più la caccia che la preda.

Ciò spiega il fatto che gli uomini amano tanto il chiasso e la confusione; ciò spiega perchè la prigione è una pena tanto orribile; ciò spiega perchè il piacere della solitudine è una cosa incomprensibile. E, infine, spiega che la ragione principale della felicità della condizione dei re è che tutti si sforzano incessantemente di distrarli e di procurar loro ogni sorta di piaceri.

Il re è circondato da persone che non pensano ad altro che a divertire il re e a impedirgli di pensare a se stesso. Perché è infelice, anche se è un re, se ci pensa. Ecco tutto quello che gli uomini hanno potuto inventarsi per rendersi felici.
E quelli che sull'argomento fanno della filosofia, e che giudicano assai poco ragionevole che la gente passi l'intera giornata a correr dietro a una lepre che non si vorrebbe aver comperato, non capiscono nulla della nostra natura. Quella lepre non ci impedirebbe la vista della morte e delle altre miserie, ma la caccia, che ce ne distrae, può farlo.
Essi si immaginano che, una volta ottenuta una certa carica, potrebbero subito riposarsi con piacere, e non avvertono la natura insaziabile della loro avidità. Credono sinceramente di cercare il riposo, e non cercano di fatto che l'agitazione. Sono mossi da un istinto segreto che li porta a cercare occupazioni e distrazioni all'esterno, che si origina dal sentimento delle loro miserie incessanti.

Sono però mossi anche da un altro istinto segreto, che è la traccia della grandezza della nostra natura primigenia, che fa intuire loro che la vera felicità non risiede in effetti che nella quiete, non nel trambusto; e da questi due istinti contrastanti si origina in loro un confuso proposito, che si nasconde ai loro occhi nel fondo della loro anima, che li spinge a tendere al riposo attraverso l'agitazione e a immaginare sempre che l'appagamento di cui non godono arriverà se, una volta superate alcune difficoltà messe in conto, potranno in questo modo aprirsi la via al riposo.

Così scorre tutta la vita. Si cerca il riposo combattendo una serie di ostacoli; e, una volta che li si è superati, il riposo diventa insopportabile; perchè si pensa alle miserie in cui ci si trova o a quelle che ci minacciano. E quand'anche ci si vedesse abbastanza al riparo da tutte le parti, la noia, di sua privata autorità, non farebbe a meno di venire a galla dal fondo del cuore, dove è naturalmente radicata, e di riempire lo spirito con il suo veleno.

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