lunedì 31 agosto 2009

Progetto periferie...Cosa?

Spiegate le ragioni, andiamo all'oggetto.
Le periferie... Termine ambiguo. L'etimologia è greca, Peri-fherein, ossia "portare intorno". La periferia è la circonferenza, insomma.

Spero che la discussione di stasera arrivi ad una certezza almeno riguardo quali siano le "nostre" periferie.
Proprio perché ho il sospetto che non esista una vera e propria periferia palermitana, a parte quelle "naturali" del mare e delle montagne che chiudono Palermo in una conca, al momento per me è importante studiarle a seconda della loro tipologia per mostrare similitudini e differenze tra le stesse e tra queste e quello che normalmente non viene considerato "degradato", "zona a rischio" e via dicendo.
Ho scelto allora quattro differenti tipologie:

TIPOLOGIA UNO
Borgata, ossia qualcosa che non è "sulla circonferenza", ma resta come un'enclave, con un proprio codice linguistico, comportamentale e di potere, che non si capisce quanta connessione abbia effettivamente con ciò che lo circonda.
Le borgate da indagare sarebbero BORGO VECCHIO e ZISA.

TIPOLOGIA DUE
Il confine sul mare. Ho da sempre creduto ingiusto che il mare non sia sufficientemente esaltato a Palermo, a differenza di quanto accade in altre città della stessa Sicilia. Ne parleremo in abbondanza, intanto annuncio su quali "zone" mi piacerebbe a questo proposito lavorassimo:
ARENELLA e S.ERASMO (?)
TIPOLOGIA TRE
La periferia vera e propria, laddove c'era campagna. Sarebbe allora interessante studiare meglio il rapporto con la natura. Quanto la terra è stata usata come risorsa effettiva? Questo è un argomento molto inquietante, quello che più mi sta a cuore forse in assoluto, e che tira in ballo discussioni sul senso del progresso, sollevando riflessioni sullo scempio del paesaggio e la necessaria difesa dell’ambiente che per vivere- sopravvivere- nel postmoderno dovrebbe riguardarci tutti.
Sono tematiche sentite dagli abitanti di queste zone? Hanno problemi ben più grandi da risolvere, immagino..
Le periferie da studiare, molto diverse tra loro, potrebbero essere: BORGO NUOVO E BRANCACCIO

TIPOLOGIA QUATTRO
Il ghetto.
ZEN
Si sa, lo Zen è un capitolo a parte. Ne parlerò dopo esserci entrata almeno una volta.


Le tre linee tematiche scelte, "bellezza, immaginazione, necessità", "le radici delle solitudini", "identità e potere", applicate a queste zone, credo porterebbero portarci rispettivamente ad indagarle con in mente i seguenti obiettivi:

1) Alla luce anche dello studio delle periferie di altre città, cogliere la specificità di quella palermitana.
2) Quanto interesse viene mostrato per queste zone dai politici? Quanto da coloro che non abitano lì, i "non periferici"? Se esiste un'indifferenza alla riabilitazione di queste zone, qual è la sua causa? I rappresentanti delle circoscrizioni possono e non agiscono, non possono e non agiscono, possono ed agiscono?
3) Le connessioni di questi luoghi con la mafia. L'appartenenza.

Come si può uscire da questo circolo? Come si può immaginare che queste persone possano creare una nuova identità e rivendicare i loro diritti?
La bellezza naturale, che si chiama campagna e mare, ed "immaginata" dall'uomo, ossia l'arte, è costretta dalla necessità ad arretrare. La necessità spegne la voglia di bello. Senza avventurarmi in complesse analisi filosofiche, ricordo una frase di Mauriel Barbery, autrice dell'"eleganza del riccio": "Ai ricchi il dovere del bello. Altrimenti meritano di morire.".
E chi ricco non è?

Devo pensare che si debba accettare l'esistente e tollerarlo nelle sue ingiustizie, imparando a fare solo il proprio, ignorando ciò che intorno accade? Questo se pensassi che non ci sia nessun rimedio, ma io credo che nulla sia più difficile del cambiamento, ma nulla è più sciocco di crederlo impossibile.

Sono irredimibili? No.
Se la bellezza spinge a riconoscersi in un centro comune, alternativo rispetto a quello del potere locale mafioso, può essere concepita come risorsa indispensabile o è un'illusione senza alcun fondamento?

Dico bellezza in un modo enigmatico, perché per me è il mistero più grande di tutti.
Il degrado è l'assenza di bellezza. Noi mi piacerebbe che studiassimo gli effetti del luogo sulla persona per avere sempre più chiara consapevolezza delle influenze dello spazio sul proprio modo d'essere. E i residenti in queste zone? Ne sono consapevoli o no? Votano qualcuno che garantisce loro l'accesso alla bellezza o no? Alcuni si, altri no, forse. Esiste insomma un problema "periferia"- da intendersi nel senso di "degrado", brevemente spiegato sopra- per chi governa? O non può esistere perché chi dovrebbe decidere è già periferia, perché subordinato ad un altro potere più grande?
Chi è il capo?

Progetto periferie...Chi?

Ancora in fieri.
Non è ancora certo CHI parteciperà e questo non può dipendere ovviamente da me, che, pur potendo, qualora fossi più riposata di adesso, tentare la strada della persuasione a tutti i costi, non intendo costringere nessuno ad aderire ad un progetto, che mi rendo conto appaia fin da subito pretenzioso, un colosso dai piedi d'argilla.
Bene, pur avendo lo stesso nome, non miro al consenso come Silvio, giuro, eppure ormai vi è chiaro quanto ceda spesso ad una retorica fastidiosa..arginatemi essendo schietti fino in fondo, vi chiedo fondamentalmente questo.

Intanto ricordo come ogni "elemento" del gruppo- dei gruppi- avrà la possibilità di esprimersi liberamente, perché il mio compito principale è quello d'impegnarmi a tutelare, mantenendo ferme le linee d'indagine, l'originalità di ciascuno, perché nessuno debba piegarsi all'idea di far parte di un gruppo come fosse di pecore e non persone.

Ma chi partecipa? E perchè è stato "scelto"?
Interesse e sensibilità, in primis, e una competenza specifica da mettere in circolo perchè questo progetto gradualmente prenda forma, fino ad avere un'anima sua...

Ricordo le " categorie"immaginate, riconfigurate adesso nella seguente maniera:
1)Architetti
2)Filosofi
3)Giuristi sensibili
4)Psicologi
5)Artisti
6)Documentaristi
7)Gruppo misto 1 (Storici, sociologi, antropologi)
8)Gruppo misto 2- esterni e mediatori-: Giornalisti, economisti ed altri membri non fissi nei gruppi, più l'Università e coloro che potremmo invitare più avanti per arricchire le nostre prospettive sulle zone studiate.

Di ogni singola categoria, dovrei adesso tentare di delineare gli obiettivi che potrebbero porsi? No, gradirei che foste voi a pensare con me come potreste effettivamente mettervi a disposizione.
Non ci insegue nessuno ed io ho più volte ribadito quanto, sebbene nevrotica rimanga, ho bisogno di sentirmi coordinatrice ma non tiranna.
Per questo motivo, rientrata da Berlino il 13, spero di incontrarmi con ciascuna delle "categorie" reclutate, eleggendo, almeno per le prime sei categorie, un "capocategoria" che divenga punto di riferimento, a sua volta non "dittatore", dei lavori "specifici".

La divisione dei compiti è essenziale perchè questo progetto possa procedere.
Non voglio lavarmene le mani, ci mancherebbe, ma lavoreremo tutti meglio, stupido ricordarlo, se i criteri guida non saranno idiotamente concepiti.

Nelle seguenti settimane verranno formati i "gruppi" compositi e saranno assegnate le "zone periferiche", o per sorteggio o seguendo i desideri di alcuni che potrebbero già aver lavorato su alcune zone, viverci o preferirle per altre ragioni.

Detto questo, ne parliamo più tardi e nel futuro prossimo...Bye

Progetto periferie...Come? Una gravidanza!

Sull'importanza della distinzione tra "metodo" ed atteggiamento già ho scritto altrove. C'è poi da chiedersi se il modo possa essere più fluido se sostenuto economicamente.
Soldi ce ne sono? Ne parleremo più tardi.

Ho stravolto rispetto a quanto detto la struttura ed ora ve la illustro, anche per chiarirmi un pò le (troppe) idee.
Tanto per cominciare, posso dire che questo progetto avrà la durata di 9 mesi.
Stabiliti i gruppi, a seconda della vostra disponibilità, potremmo iniziare ad ottobre.
Se l'idea iniziale era che ciascun gruppo avrebbe potuto indagare ogni zona, variando ogni mese la sua periferia fino ad eleggere quella del suo cuore- scherzo-, mi sembra molto meno superficiale e più semplice al tempo stesso assegnare ad ogni gruppo una "periferia".
Altro cambiamento.
Come sapete, il documentario vorrei illustrasse anche i nostri incontri, i momenti, cioè, durante i quali i magnifici sette gruppi si confronteranno, parlando di ciò che hanno visto, sentito, ripreso, fotografato, pensato ed immaginato della loro "periferia".
Ora, anziché vederci ogni mese per le riprese delle discussioni, direi di organizzare tre grandi momenti, intitolando ciascuno alle famose tre linee tematiche che chiarirò meglio qui. Scandiamo quindi in tre tranche la ricerca, in senso cronologico solamente di "raduni" per fare il punto della situazione, non di modalità d'indagine, mi spiego? No? Dobbiamo parlarne e vi chiarirò.

La prima riguarderà "bellezza, immaginazione, necessità".
Come me l'immagino? Nei primi tre mesi parleremo di queste tematiche, vedendoci quanto più spesso possibile, ma utilizzando anche il sito internet che avremo a breve a disposizione. Perchè non siano discorsi del tutto non scientifici, è obbligatorio un confronto con le bibliografie esistenti ( penso agli studi già fatti in altre città sulla riqualificazione delle periferie, sul senso della periferia e se ne esiste davvero uno, per esempio).
E parlerei con le persone che vivono là per coinvolgere quanto più possibile, per capire cosa ne pensano della bellezza e se ne percepiscono con disagio l'assenza..vorrei si potesse chiarire come sentono il loro luogo, attraverso una serie di riferimenti al ruolo dell'arte nel mondo. Intervistare i politici, sarebbe meglio insieme agli abitanti stessi, che si occupano di quelle zone, gli amministratori che malamente amministrano.
Sarà la fase di preparazione, in cui prendere confidenza con la propria zona.


E sarà la fase in cui potranno essere immagino subito stimolati gli architetti, prospettando novità o progetti di recupero.
I filosofi già li immagino discettare sul ruolo della bellezza e su Marx, il capitalismo, il nichilismo, Heidegger e via dicendo..
Se la bellezza ha un potere salvifico, salva solo una piccola élite? Potrebbe salvare il mondo o oggi non c'è più rimedio, per borghesi e periferici, perché la tecnica ci ha totalmente dominato?
Questa è la premessa teorica da cui vorrei partissimo per seguirne gli sviluppi, giungendo a possibili risposte, che non chiuderanno naturalmente l'indagine, ma potrebbero segnare un passo in avanti nel fitto terreno della conoscenza.

L'altra novità, prospettata già con Danilo qualche sera fa, è l'idea del workshop.
E credo che proprio in riferimento a questa prima linea tematica, sarebbe interessante venisse realizzato, magari nella casa a Mondello, non mia, ma della "famiglia":)


Vorrei che fosse un modo per intendere meglio, a prescindere dalla realtà palermitana, il rapporto tra uomo e paesaggio e la possibilità del primo di incidere sul secondo rispettandolo o aggredendolo.





La seconda tranche riguarda "le radici delle solitudini".

Ci racconteremo anche noi. Il senso della ricerca durante le discussioni forse diventerà: esistono davvero le periferie? Se il riflesso dello spazio sull'uomo è condizionante, non siamo tutti "livellati", "inghiottiti" dalla tecnica?
Cosa sta accadendo oggi, almeno secondo la mia percezione, se, laddove esiste, la bellezza dei luoghi viene di continuo violentata?
La natura ci può salvare? E come vedono la natura coloro che immaginiamo "delinquenti" e deviati?
In periferia come nei quartieri degradati i sogni si assomigliano o no? Non crediamo tutti nell’amore? Non siamo tutti accomunati dall’impossibilità di interagire con un mondo che ci illude possa essere dominato per la maggiore informazione che ne abbiamo ma che non ci può garantire nessun’azione, nessuna politica di intervento, giacchè la classe politica decide molto poco?
Chi sono davvero gli invisibili?

Quando ci confronteremo su questo argomento, sarà soprattutto la volta degli psicologi, sociologi, antropologi eccetera, che forniranno dati, mediante cui spiegarci in quale modo può essere seguito un caso. Osserveremo i comportamenti di immigrati e non, cercheremo di intuire ciò che non si può ben spiegare..ci appoggeremo alle scuole e ai centri sociali operanti in ogni singola zona periferica, guardando agli studi già fatti.

Ci vediamo e parliamo a casa mia a Mondello, se volete, senza workshop, mentre gli architetti continuano a lavorare su quello che hanno presentato tre mesi prima.

I filosofi possono parlare di chi è l'altro, del postmoderno, del modo in cui è concepita la ricerca del bene oggi rispetto a tanti anni fa e rispetto ai Greci, magari. Ma è tutto da concordare.

L'ultima tranche sarebbe "Identità e potere".

Questa è la fase più delicata, perchè, dopo aver raggiunto una consapevolezza maggiore del problema ed una capacità d'interagire tra di noi e con loro si spera adeguata, sarebbe bello sforzarsi di coinvolgere alcuni abitanti nel prendere coscienza attraverso l'arte della risorsa che possono rappresentare, della resistenza che devono mostrare a chi vuole solamente usarli per aumentare un potere che non va a loro nutrimento.
Dove vivi, Silvia? Non lo capisci che il problema è proprio qui? Il potere è quello mafioso. Sono famiglie appattate con il potere politico. Lo Stato non esiste perchè è l'amministrazione stessa ad essere collusa..Oibò, ma che dite?
Bene.
Ma lo sapremo in un modo che non ci potrebbe restituire nessuna lettura, credo.
Quindi..anche se non cambieremo la città, cambieremo noi stessi in modo radicale, direi. E credo che questo già possa bastare.

Durante la settimana di workshop svolta da ogni gruppo nella periferia di pertinenza, saranno coinvolti tutti, artisti in primis, avanzando proposte di recupero, integrazione e via dicendo, che sappiano mostrare come la formazione dell'identità avviene solo se ci sa riconoscere parte della comunità e nel caso della situazione palermitana questa è abbandonata a logiche che, anche se è poco e nulla, in fondo noi mostreremo di disprezzare, restando dubbiosi ma tenaci nel credere che da tante miserie ingiuste questa città possa lentamente riscattarsi.

(I filosofi possono parlare di "riconoscimento", tema trattato benissimo dal nostro ateneo palermitano.).

Penso che, lavorando poi l'estate bene, per quanto riguarda pubblicità, fondi e via dicendo, potremmo a settembre 2010 esporre i nostri lavori e il nostro documentario, lasciando filmati integrali di ogni zona coinvolta alla zona stessa, come simbolo da cui ricominciare a credersi viva perchè bella, bella perchè viva..

Mmm...già è stato un parto scrivere queste cose, ne parliamo più tardi.

Progetto periferie...Perchè?

Perché questo progetto? Quale scopo si propone, quale obiettivo?
Potrei dire che il primo è quello di denunciare ciò che accade in alcuni quartieri periferici, invisibili ai più. Ma più che altro vorrei che riuscissimo a mostrare, da filosofa direi "lasciar essere", ciò che è sotto questo cielo palermitano, grazie al contributo di coloro che si adopereranno a render degno di voce chi e cosa forse rischia di essere totalmente dimenticato.

Sto cercando di lottare contro molte mie illusioni di nuovo e scoprirò probabilmente quest'anno con più convinzione come la sola mancata illusione devo essere io. Esserci pienamente, costi quel che costi.
Riuscire a capire fino in fondo gli influssi della città credo sia molto importante. Tempo, spazio, persone incontrate... Quante particelle lavorano, attentando al bello o sprigionandolo, per ciascuno di noi.

In questo lavoro abbiamo l'occasione di sentirci familiari e trasferire lontano il senso d'impotenza, perché circoscrivere un luogo su cui operare le nostre indagini e confrontare le nostre idee, senza che sia previsto un dialogo con un potere sordo ed indifferente a restituirci il consenso che conta perché acquisti visibilità ciò che si è "prodotto", credo sia il fattore fondamentale, capace di fare la differenza, di questo progetto.
Insieme, come una piccola cittadina, possiamo sforzarci di "guadagnare", in termini di conoscenza, la grande città (forse un grande "paese") che ci ospita tutti.
Ci farà certamente male. Ma la fatica è una risorsa. Chi risparmia non ottiene niente di nuovo, è banale dirlo. Dal sudore, dalla pazienza, dalla tenacia nascono tutte le cose belle, i pensieri più impetuosi, le storie d'amicizia e d'amore più forti, no?
Mi hanno detto i miei, tornati da un viaggio a Genova, che in via del Campo c'è scritto: "dal letame non nasce niente". Anche lì, dov'è nato e ha composto uno dei più grandi poeti del secolo scorso (lo era per Fernanda Pivano, l'ho sempre pensato anch'io) come Fabrizio, che ha centrato proprio sui dimenticati la maggior parte della sua musica, ebbene, anche lì forse non ci crede più nessuno.
La risalita, la ripresa, la capacità di sfidare queste oscure leggi ingannevoli che lasciano credere che solo il portafoglio abbia "valore", non vuole coltivarla davvero più nessuno come possibilità?
Sì. Esistono piccole forme di resistenza che di continuo vengono prospettate e vissute da moltissimi uomini e donne del nostro tempo, che cancellano la passività e realizzano le loro aspirazioni in campi diversi, mettendosi totalmente in gioco.
Questo progetto sulle periferie palermitane non è che una tra le tante possibili strade di resistenza, che vuole credere nel cambiamento, prendendo sul serio fino in fondo tutto ciò che lo ha reso impossibile finora , comprendendo in differenti maniere, secondo molteplici punti di vista, quante modalità denigratrici dell'uomo e del suo principio speranza, direi, hanno agito sulla realtà palermitana negli ultimi decenni.
Scegliere le periferie, infatti, ovviamente più recenti, è anche un modo per delimitare il tempo storico che c'interesserà scrutare, senza necessariamente dover andare ad indagare l'origine, perduta nella storia, del "fenomeno mafia", ad esempio.
Ma quali sono davvero le ragioni nascoste in quest'iniziativa? Cosa mi ha spinto ad agosto a bofonchiare vaghe idee sulla possibilità di coltivare insieme un "sogno"?
Negli ultimi mesi, molti di coloro che mi conoscono bene da tanti anni, pur abituati alle mie crisi cicliche, credo che mi abbiano riconosciuto a stento.
Si cambia sempre, ma io stavo andando indietro. Ho distrutto me stessa ancora una volta e mi appresto a ricostruirmi di nuovo. Dopo intense fasi di messa in discussione dei miei inganni, mi ero quasi arresa a convivere con essi, trascuravo i miei doveri e scrivevo e pensavo troppo in solitudine, angosciata da miliardi di motivi.
Questo bisogno di riscatto personale è sicuramente alla base del progetto, che sempre nasce, non so se siete d'accordo, da un pò di confusione, ansia, necessità di lasciarsi il negativo alle spalle, ipotizzando possibili alternative che incoraggino a guerreggiare con determinazione con la sofferenza.
Ma sarebbe molto meschino aver pensato di rompervi le scatole per "salvarmi", quasi dovessi crearmi un passatempo che per attuarsi non tenga conto degli affanni delle altre vite.
Ci sono altre ragioni, dunque.

Come sia nata quest'idea è, in realtà, molto più semplice raccontarlo.
Stavo leggendo un libriccino intitolato"Paesaggio e coscienza", uno di quelli che si usano come sostegno per le tesine del liceo, sgraffignato a mia madre, insegnante d'italiano e storia.
Mi ha sempre molto affascinato cercare di chiarire le influenze dello spazio sull'uomo e di questo su quello.
Ma perché proprio le periferie? Non potevo propormi di setacciare viale Lazio e indovinare quanto avesse potuto rendermi ciò che sono, anziché venire ad inquietare voi sulle periferie palermitane?
Indagherò sul mio quartiere, anche perché come queste periferie si inserisce in ciò che l'architettura palermitana lascia in consegna alla storia del Novecento.
Domenico mi spiegava l'altra sera come davvero Palermo non abbia un centro. Siamo tutti periferici o forse tutti centrali, chi lo sa.
Ma è certamente nelle zone al limite che l'edilizia mostra quanto le ragioni industriali abbiano vinto su altre, più profonde, che volevano assicurare abitabilità senza ignorare il legame viscerale dell'uomo con la terra. O forse non è così, ed il "naturale" è rispettato, ma io lo ignoro? E perchè, nel centro storico la situazione è in ogni caso differente?
Ho moltissime domande, che ovviamente non riguardano esclusivamente i luoghi, ma gli abitanti delle zone scelte (ma che forse saranno cambiate...urge inserire l'Arenella), con i quali vorrei tentare un dialogo per cogliere differenze e similitudini, forse arrivando dopo tutto a pensare che la "periferia" è solamente uno stato d'animo, quella marginalizzazione di chi resta lontano dal centro per noia, disincanto o chissà quale altro motivo, fino a non vedere più la causa delle decisioni e trovandosi a subirle anche se ingiuste, forse proprio perché incurante del ruolo di sorvegliante che spetta a chiunque.

Una ragione, anzi un paio, sono di natura "filosofica".
Annoierei di certo dilungandomi a spiegare a cosa mi riferisco, ma mi limito a citare la "fenomenologia del rifiuto", la speranza che un "bene comune" possa ancora esistere, il ruolo non solamente estetico della bellezza (avevo focalizzato specie su questo inizialmente l'idea..forse alcuni di voi ricorderanno che avevo battezzato il progetto "meraviglia e rifiuto"...) e l'indagine inesaurita ed inesauribile sul come si afferma l'identità di un singolo, come quella di un gruppo, senza arrivare ad annientare il bisogno di sentirsi parte di una comunità.

E certamente c'è del "politico", come ho già scritto su facebook e trovate sul blog di Giovanni. Faccio un piccolo copia e incolla anche qui, su.
"Questo sarà un lavoro intrinsecamente ed estrinsecamente politico, sappiatelo.Ognuno di noi ha idee differenti e non ci sarà nessuna tessera a condizionarci. Ma politico , per come limitatamente può essere forse pensato oggi questo aggettivo, è forse soprattutto ciò che non si rivolge più alla propria esistenza per cercare possibili risposte, perché sente il bisogno di anteporre il sentirsi parte di una comunità alle deboli percezioni dell’individuo. E pretende un confronto con quella non solo per capire meglio la propria identità- che può forse dirsi semplicemente un effetto di quell’apertura- ma per comprendere un po’ meglio il proprio tempo, osservandolo, denunciandolo, andando al di là della denuncia stessa, perché ci si sente comunque suoi protagonisti.Ciò che s’impara è, insomma, la responsabilità che fa crescere, nel provare a supporre strategie che possano modificare consuetudini erronee e portarle avanti verso una loro effettiva realizzazione.....
Facebook e l’impegno politico è un dualismo che non regge. Come qualunque social network, s’illude di far politica facendola online. Utile si, fondamentale per molte fasce di quelli che un tempo erano esclusi dall'informazione, il virtuale credo non possa tuttavia assolutamente prendersi la briga di annientare il reale. Perché è qui che finiscono molte energie di coloro che "stanno bene" e non è giusto.Sto cercando di non demonizzarlo più, di non farne il capro espiatorio di tutti i malesseri della società, ma nel nostro caso ribadisco come facebook o il blog di Giovanni Romano verranno usati solo come ausilio, uno strumento per preparare o accompagnare effettivi incontri e soprattutto quei “rivolgimenti” che saranno incisivi se ciascuno sarà sufficientemente motivato a trasformare il senso di impotenza in azione. E questa azione sarà concepita in differenti maniere, ma ci sarà.
Non diamo più udienza al mostro che impera da anni nelle nostre percezioni e che dice: “pensa, immagina, spera quanto vuoi, tanto tutto ciò che tenti sarà inutile”. È sempre possibile cambiare. Niente resta identico e se si fanno degli errori è comunque un modo per uscire dall’omologante visione sul serio apolitica di chi rinuncia a capire dove vive e perché vive in un certo modo e non in un altro, appellandosi a fatalità, destino, fortuna e tante altre amabili stronzate, che coloro che hanno avuto il privilegio di studiare non devono permettersi di incorporare con rassegnazione come tasselli indiscutibili a partire da cui si ridisegna il puzzle impazzito della società italiana.
C'è un'immobilità preoccupante che mortifica i talenti, costringendoli ad andarsene? Sfidiamola. E cerchiamo alternative finora non pensate, sfruttando la gioventù e la sua fame incontenibile. Il vuoto di potere che abbandona il Sud lo possiamo riempire con i nostri poteri, infinitamente più intelligenti e sofisticati di quello, capace di ragionare esclusivamente in termini di produttività, ricatti, vilipendio del poco visibile e dell'invisibile.E tutto questo va fatto anche andando per strada e lasciando che chi non ha avuto voce cominci a parlare, raccontarsi, scoprire le sue delusioni e additare le sue speranze. "La parola fa l'uomo libero. Chi non si sa esprimere è uno schiavo." dice Feuerbach.
Ma c'è chi non si può esprimere, proprio mentre trovano i più grandi spazi d'espressione coloro che non hanno nulla da dire o dicono intollerabili, offensive sciocchezze che, però, ci abituano a non provare più vergogna, tanto ingombranti e frequenti esse sono.
Anche se questo progetto non decollerà, penso che saper pensare e agire"contro" vada difeso come fondamento della nostra democrazia, troppo poco consapevole di sè stessa e per questo capace di farsi sballottare qua e là da ogni omuncolo che sappia sedurla con qualche promessa mirabolante, naturalmente falsa.
Seppelliamo ingenuità e non lasciamo che facciano di noi ciò che vogliono, anche molto più di quanto siamo capaci di capire fino in fondo. Svegliamoci tutti!".


A parte questi fastidiosi toni da arringapopoli, spero che più o meno il senso sia chiaro.
Concludo rapidamente con un altro "perché" che si lega poi alla stessa struttura del progetto. Il mio compito sarà quello di coordinatrice. E per me è entusiasmante la possibilità di scorgere come altri campi si muovono in direzione dello stesso tema, lontano da astrazioni filosofiche.

Beh..Sono disposta a rispondere ad ogni vostro "perché?", oltre a quelli non so quanto sufficientemente esplicitati qui.
Mi auguro che ci si veda tutti presto e si cominci quanto prima, delineando insieme gli obiettivi principali che dobbiamo porci ma che, strada facendo, non è inverosimile stravolgeremo:)

domenica 30 agosto 2009

Altri perchè del progetto

L'avevo scritto qualche tempo fa ma l'ho ritrovato solo adesso.

La nostra sola giustificazione, se ne abbiamo una, è di parlare in nome di tutti coloro che non possono farlo. (Camus)

Solo chi ha il coraggio di essere assolutamente negativo ha la forza di creare ciò che è nuovo. (L. Feuerbach)


Le ragioni di questo progetto.


Una buona parte dell’estate mi sono interrogata a lungo sul rapporto tra luogo e “coscienza”. Che dire.. "L’uomo, per il semplice fatto di essere uomo, di aver coscienza di sé, è , in confronto all’asino o al granchio, un animale malato. La coscienza è malattia." Miguel de Unamuno, Del sentimento tragico della vita.

O ancora "La coscienza è soltanto una parola che sogliono usare i vigliacchi, ed è stata inventata apposta per tenere in soggezione i forti." Shakespeare, Riccardo III, Atto V, Scena III (Re Riccardo)...
E non citiamo Nietzsche.

Sia quel che sia, solo nella natura riesco a sentirmi bene, come accade probabilmente a tutti.
Cosa c’è oltre me? Cosa c’è oltre il ritmo delle mie giornate, i doveri del "capo", le preoccupazioni derivanti dalla situazione politica odierna, le nevrastenie generate dal rapporto con il mio corpo e con il mio cuore, la dolcezza e la tristezza che scaturiscono dalle interazioni con i miei amabili amici, la difficoltà continua del sapersi mettere a disposizione del partner (quando lo si ha) indovinando in che momento di apertura effettivo egli o lei possa essere per tentare di andare al di là della mia visibilità?
La natura e il divino, “certamente”(di certo la prima, del resto non saprei..).
Ciò che noi chiamiamo natura è un poema chiuso in caratteri misteriosi e mirabili. (Schelling)

Ma ci sono altri uomini. Li conosciamo? No, ovviamente non si diventa amici di molte persone nella vita.
Eppure siamo una città. Vuol dire qualcosa?
Nient'altro che non sia il fatto che abitiamo in un tempo coevo la stessa terra, immagino. Alcuni di passaggio, altri a lungo. Non moriremo forse qui, non avremo figli da crescere nelle nostre scuole palermitane, non lo sappiamo.
Ma siamo tutti, momentaneamente o meno, palermitani.
Può essere tutto e nulla e ho scarsamente in passato creduto importante tutelare l’appartenenza ad un luogo, credendo nel cosmopolitismo al punto da non introiettare nemmeno un po’ dell’essere palermitani, se non in forma molto inconsapevole ( e che ora vorrei diventasse consapevole).

Ho fatto il Garibaldi. Una visione limitatissima di cosa voglia dire la realtà cittadina, una porzione nettamente privilegiata e sempre più disinteressata a sentirsi solidale con le minoranze se non per darsi un tono da radical chic. Questo è stato per me l’essere garibaldina alla fine degli anni ’90. Un’esperienza diametralmente opposta a quella fatta dai miei genitori, ma mia. Ed è stato poi soltanto colpa mia chiudermi in me stessa e non comprendere, al di là della letteratura e dei film, manifestazioni, qualche dibattito e via dicendo, cosa sia ciò che è al di là del borghese.

Fratture radicali le ho sognate in solitudine e tradotte in sceneggiature varie mai completate, ma a che cosa è servito se non ad aumentare il mio narcisismo?

Questo è il mio personale modo di vedere le cose. Ognuno di noi ha un passato diverso ed è meraviglioso che venga fuori, senza paura che l’altro derida o blindi in un assenso ciò che le parole, rotolando leggere, stentatamente possono raccontare.
Ciò che siamo stati, ciò che siamo e che saremo non verrà marcatamente fuori in questo modo, lo so.
Ci si conosce e riconosce in molteplici ambiti, ma se questo può servire anche a vedere più nitidamente certe cose delle nostre vite, potremmo ritenerci un pochino soddisfatti, no?
Non credo esistano vite davvero felici. Le radici della solitudine sono molteplici e non s’identificano interamente con quelle assenze materiali che riscontreremo in queste periferie. Sono di natura composita e non può esaurire una ricerca su di esse nemmeno una generazione.
Ma questo è il tempo più beffardo di tutti, concedetemi di dirlo. Perché ha preteso di dichiararsi felice, pago del benessere e del piacere, nascondendo orrori solo perché non ha avuto sufficiente forza, coraggio e determinazione per riconoscerli e prepararsi a combatterli.
La crisi economica ha fatto vacillare profondamente le ragioni del capitalismo e si è parlato tanto di sobrietà e necessità di ricalibrare le "categorie" esistenziali, sottolineando l'urgenza di reinventarsi una solidarietà, così facile da pronunciare, così difficile da realizzare.
Cosa è cambiato effettivamente?

Non so quanto sperare fino in fondo in qualcosa restituisca la serenità. La mia inquietudine, personalmente, è così radicata che temo condurrò giornate estremamente altalenanti per tutta la vita e questo non è affar vostro. Ma siccome è diventato troppo pesante perché sia solo mio, metto in ballo il mio affare sperando che possa alleggerirsi in questa nuova dimensione.
Perpetuamente alla ricerca, come gli altri, di ciò che ancora non so, non sento, non comprendo, non amo come vorrei, sento il bisogno di capire quanto Palermo abbia avuto degli influssi notevoli sul mio modo d’essere.
Politico, quindi, ma anche molto, infinitamente egoistico è questo progetto, me ne rendo conto. Forse anche il voler sapere meglio, ad esempio, cosa voglia dire quel luogo comune sulle “ragazze palermitane” -miscuglio, a quanto sembra, di frigidità e stupidità cronica-, che tanto spesso ho trovato sulla bocca di amici, periferici e non, sempre più di frequente negli ultimi anni, ecco, anche questo è un motivo personale che contraddice lo spirito a lasciar parlare le cose stesse, obliando il mio personale interesse.
Vi domando però a questo punto se ci sia un’identità femminile nuova e non l’abbiamo ancora ben chiaro... La ragazza palermitana! È un modello di riferimento o da rigettare? Scherzi a parte, che dire..Provochiamoci fino a morire dal ridere, se volete, ma non condanniamoci all’assenza di criticità.
Odiare i ragionamenti equivale ad odiare gli uomini, secondo Platone. Se ragiono tanto, in fondo, potrebbe dirsi che non vi odio (quanto meno non sistematicamente..).
Purtroppo non ho che rare volte ragionato benino, però sono pur sempre la bambina che mia madre mi ricorda spesso rompeva i coglioni ai bambini incontrati per strada, dicendo “ciao, io sono Silvia, e tu come ti chiami?”. Una grande scassacazzi, insomma, una profumiera ante – litteram, probabilmente, non esito a riconoscerlo, come accennai qualche tempo fa alla mia amica Daniela, dal momento che è stato spesso equivocata quest’apertura, e lo capisco.
Ma che volete..ognuno nasce con una natura e può modificarla quanto vuole, anche con quintali di forzato disprezzo per gli altri pensando di poter cercare meglio sé stessi rinunciando ad ognuno di loro... e chiudersi per mesi a casa e teorizzare l’assenza di rapporti amorosi come indispensabile… ma, per fortuna, qualcosa non cambia ed è per questo che sono qui, sempre single, ma felice di essere-nel-mondo (palermitano).

Com’è la realtà periferica palermitana? Com’era qualche anno fa? Come potrebbe diventare?
Qual è la sua specificità, se ne esiste una, rispetto alle zone periferiche delle altre città?

Come può una città, tutto porto, che nella sua storia è stata un proliferare di scambi, aperture e commistioni essere inospitale con gli immigrati, picchiati vicino alla stazione? Se prima guardava interamente al porto ed ora sembra non poterlo fare, non dobbiamo chiederci qualcosa?

La città è i suoi cittadini, ma c'è un tratto comune, quell' insularità dell'animo, che ci riguarda tutti, o non c'è?
Cosa è questa sicilianità, ammesso che ci sia?

Qual è il rapporto tra la mafia e i luoghi, qual è davvero questa relazione, percepita miliardi di volte attraverso letture, documentari, ma mai sul serio in prima persona, abitando in una zona - apparentemente almeno- "tranquilla"?
Tutto comincia negli anni Cinquanta?
Ci sono troppi interrogativi cui mi piacerebbe ci sforzassimo di rispondere, ma insieme, sfaccettando in molti modi le possibili risposte, mai definitive, che sorgeranno durante il nostro lavoro.

Io andrò con buona probabilità in Germania a settembre dell’anno prossimo. È necessario per portare avanti l’altra ricerca per cui vengo pagata e che sarà ciò che mi impegnerà primariamente nelle mie giornate.
Ma la serietà che intendo riporre nel lavoro accademico deve combaciare e crescere parallela a quella che intendo soffiare su questa ricerca, che mi vedrà sua coordinatrice, formulatrice di ipotesi e di concetti. Basta dire più si, che significano fatica, amore e devozione. Chi dice no non vuole nulla, rifiuta di porsi in contatto con il mondo credendosi il solo a soffrire, a porsi domande inquietanti, a vivere di stentate immagini e parole che non rispecchiano mai ciò che accade nel mondo, rinchiudendosi in una constatazione perpetua della vanità del tutto.
Il nichilismo, il destino secondo i più importanti filosofi della prima metà del Novecento di questa tradizione occidentale, è a mio avviso ciò contro cui bisogna lottare con una forza vibrante ma mai “dannunziana”, temeraria, che pensi di poter trascurare pericoli, difficoltà ed ambiguità, proponendo toni esaltati che hanno fatto più volte nella storia impazzire coloro che , assetati e disillusi, si sono lanciati su carri che credevano portassero verso la vittoria, ma erano solo di vincitori ignobili, decisi a far trionfare l’unità (dogmatica).
L’unità convive con la molteplicità. Non c’è unità che si possa pensare, dire, sospirare, toccare, sentire con il cuore, la mente ed il corpo che non passi dalla molteplicità. Difendere la molteplicità non è una gentile occupazione di chi retoricamente si dichiara aperto alle ragioni degli altri e professa umiltà senza pienamente riconoscersi limitato. Difendere la molteplicità è il solo modo per restare sbigottiti dalla bellezza. Dal bello della natura che compare in differenti forme, dal bello degli uomini, che racchiude storie che non si possono narrare e che possiamo solo intuire attraverso segni fonici, scritti, sguardi, sorrisi, balli, dipinti e tanto altro e dal bello che portiamo dentro e che non è mai identico a quello che avevamo da bambini. Ma si articola di continuo, muta il suo sapore e la sua traiettoria, a volte ci sembra sia svanito per sempre, solo perché abbiamo concesso troppo potere all’accondiscendenza, al mancato reagire a tutte le difficoltà e atroci problematiche che può capitare di incontrare in modo radicale nell’esistenza, o sfiorare appena, restando comunque coinvolti in constatazioni angosciate e tetre, capaci di spezzare l’innocenza dell’infanzia.
Forse sì, c’è il fanciullino in ognuno di noi, ma evitiamo di parlare come Pascoli.

Questo progetto non deve finire quando me ne vado. È un progetto permanente, perché permanenti restano i conflitti, le contraddizioni, i confini, i limiti che continuamente possiamo scegliere di sfidare o ignorare, ma esistono. Se non accettiamo i limiti non accettiamo nemmeno noi stessi, è banalissimo ricordarlo, ma è così. Siamo spesso sedotti dalla perfezione perchè la fibrillazione del desiderio è costante, incentrata sul "tu vali" e puoi sempre più arricchire te, te, te, te solo, uomo occidentale mediamente ricco, che, per esempio, allarghi e assottigli pancia e fianchi non per improvvisi raccolti buoni o tragiche carestie, ma perché talvolta vittima di una volontà molto debole e di un mercato troppo forte. O ancora svuoti lo sguardo di ogni ideale perché intorno ti sembra non possa mai nascere l’autorizzazione a rendere credibile il tuo intento, diventando arido e sempre più sospettoso della capacità d’amare altrui. O confini in una densa, nobilissima ricerca di trovare equilibrio nella sfera affettiva tutto quello che è il tuo "potere fare", garantendo una generosità preziosa esclusivamente ai tuoi cari. Oppure trovando dopo anni una giusta via di mezzo tra la devozione per il tuo privato e lo slancio a curare problemi che non ti condizionano immediatamente in prima persona, ma ti coinvolgono e senti richiedono la tua partecipazione. Sono molteplici le forme in cui possiamo vivere oggi. Non c’è una strada migliore delle altre, ognuno sceglie la sua, dirottando più volte il suo percorso, iniziando altri tragitti e magari abbandonandoli di nuovo, una volta scoperto il loro essere dei vicoli ciechi o la loro enorme lunghezza. Non giudico la mancanza di coraggio né l’ingenuità di chi si fa abbindolare, perché c’è sempre una forza in ciascuno che esorta al riscatto e di questa forza sono convinta sia consapevole ogni essere umano.
Torno ancora a William..."Considero il mondo per quello che é: un palcoscenico dove ciascuno deve recitare la sua parte".
Le molteplici strade che iniziamo a percorrere recitando o restando spettatori, siano soltanto segmenti o grandissimi viali, ho capito nel tempo che diventano davvero palcoscenici in cui ciascuno ha sempre la possibilità di assaporare l’assoluto. E quest’esperienza meravigliosa non richiede denaro, capacità fuori dal comune, bellezza esagerata o chissà cos’altro. Sono momenti che definiamo spesso poetici, varchi nella pesantezza della vita in cui la si coglie in tutta la sua potenza e si è grati e paghi di esserci, malgrado tutte le insoddisfazioni e la lista infinita di rimorsi e rimpianti che ci si sforza di cancellare ma cammina sempre, come se fosse incollata al petto, con noi.
Riuscire a scoprire altri compagni che hanno quella stessa luce negli occhi è ciò che più intensamente desidero da questo progetto. E so di essermi rivolta a persone che questo sogno non lo deluderanno, ma spero ancor più profondamente che potrò incontrare questa stessa energia vitale negli uomini e nelle donne che conosceremo insieme, in quei luoghi pretesto d’indagine solo per poterci concedere il giusto slancio a fiondarci nella nostra città con uno spirito differente, che rompa la monotonia, ma che, come ogni nuova strada, rischia di ripresentare le stesse caratteristiche di quelle precedenti o manifestare inattese, sconosciute insidie.

ricordare i morti

“Quando qualcuno muore le parole tinte di nero affogano in un oceano incapace di raccogliere le lacrime di tutti quelli che amarono intensamente colui o colei che li lasciò, per andare, si dice, in luoghi migliori di questo. Ciascuno conserva nel cuore anche solo un’immagine di quella creatura bianca ed è molto probabile che si ritrovi a lottare per non perderla, per non darla vinta all’oblio che, sovraccarichi di studi polisensoriali come siamo di questi tempi, rischia di addormentare la nostra coscienza, impallidire le nostre emozioni, disumanizzarci dunque, perché perdere memoria è perdere ciò che più di umano esiste al mondo. Perché l’uomo sa ricordare. E se a volte sembra che la struttura dei ricordi sia talmente solida da non far passare spiragli di luce sul futuro, in verità non poter ricordare è atroce, molto più del sentirsi schiacciati dalla sofferenza che il ricordo suscita in noi e che non è che un modo, forte, difficile da gestire, ma comunque un modo attraverso cui chi se ne andò si ripresenta, torna a vivere. Cedere all’illusorio tepore che garantisce la dimenticanza è il più efficace mezzo, invece, per far sparire ogni traccia e uccidere ancora i nostri antenati."

venerdì 28 agosto 2009

Dieci argomenti contro la verità

da D.Laerzio, Vite dei filosofi, in I presocratici, Laterza, Bari, 1969

Il primo tropo si riferisce alla differenza degli esseri viventi riguardo al piacere e al dolore, al danno e all'utilità. Da esso si deduce che essi non ricevono le medesime impressioni dai medesimi oggetti e che, perciò, tale conflitto genera necessariamente la epoché, la sospensione del giudizio.
Degli esseri viventi alcuni si generano senza mescolanza come quelli che vivono nel fuoco e l'araba fenice e i vermi; altri attraverso l'unione dei corpi, come gli uomini. Poiché alcuni sono costituiti in un modo, altri in modo diverso, anche le loro sensazioni sono differenti. Così, per esempio, i falchi hanno gli occhi acutissimi, i cani hanno l'olfatto finissimo.
E' logico, dunque, che alla differenza della facoltà visiva corrisponda la differenza delle espressioni. E se il tallo per la capra è commestibile, per l'uomo è amaro; e se la quaglia si nutre della cicuta, questa è mortale per l'uomo; e se il maiale mangia gli escrementi, il cavallo non li mangia.
Il secondo tropo si riferisce alle nature e alle idiosincrasie degli uomini. Per esempio Demofonte, maggiordomo di Alessandro, si riscaldava all'ombra, mentre al sole aveva freddo. Androne di Argo, come riferisce Aristotele, attraverso gli aridi deserti della Libia viaggiava senza bere.
Inoltre, chi preferisce coltivare la medicina, chi i campi, chi si dedica al commercio; e la medesima professione ad alcuni apporta danno, ad altri vantaggio; ne deriva conseguentemente la necessità di sospendere il giudizio.
Il terzo tropo è determinato dalla differenza dei pori che trasmettono le sensazioni. Così la mela dà l'impressione di essere pallida alla vista, dolce al gusto, fragrante all'odorato. E la stessa figura si vede ora in un modo ora in un altro, secondo le differenze degli specchi. Ne consegue che a ciò che appare non corrisponde una tale forma più che un'altra diversa.
Il quarto tropo riguarda le disposizioni individuali e, in generale, il mutamento di condizioni quali salute, malattia, sonno, veglia, gioia, dolore, giovinezza, vecchiaia, coraggio, paura, bisogno, abbondanza , odio, amore, calore, raffreddamento, oltre che la facilità o difficoltà del respiro. La diversità delle impressioni è condizionata dalla diversa condizione delle disposizioni individuali.
Neppure la condizione dei pazzi è contraria alla natura; perché la follia dovrebbe riguardare loro più di noi? Anche noi guardiamo il Sole, come se stesse fermo. Lo stoico Teone di Titorea, dormendo, passeggiava nel sonno e lo schiavo di Pericle compariva come sonnambulo sul tetto alto della casa.
Il quinto tropo è relativo all'educazione, alle leggi, alle credenze nella tradizione mitica, ai patti tra i popoli e alle concezioni dogmatiche. Esso abbraccia i punti di vista su ciò che è bello e brutto, vero o falso, buono e cattivo, sugli dèi e sulla formazione e corruzione del mondo fenomenico. La stessa cosa per alcuni è giusta, per altri ingiusta, o anche per alcuni è buona, per altri è cattiva. I Persiani non ritengono strana l'unione corporale con una loro figlia; i Greci, al contrario, la ritengono peccaminosa. I Massageti, come riferisce anche Eudosso nel primo libro del Giro della Terra, ammettono la comunanza delle donne, i Greci non l'ammettono. I Cilici godevano della pirateria, i Greci no.
Ogni popolo crede nei suoi dèi e c'è chi crede alla provvidenza e c'è chi non crede. Gli Egizi imbalsamano i loro morti prima di seppellirli, i Romani li cremano, i Peoni li gettano nelle paludi. La conseguenza è la sospensione del giudizio sulla verità.
Il sesto tropo è relativo alle mescolanze e alle unioni, secondo cui nulla appare puro, consistente esclusivamente in se stesso, ma congiunto all'aria, alla luce, all'umido, al solido, al caldo, al freddo, al movimento, alle esalazioni o soggetto ad altri influssi particolari. La porpora mostra un colore diverso alla luce del Sole, della Luna e di una lampada da notte. E anche il nostro colorito a mezzogiorno appare diverso che al tramonto del Sole.
E una pietra che è sollevata in aria da due persone è spostata facilmente in acqua o perché essendo pesante, è alleggerita dall'acqua, o perché, essendo leggera, è appesantita dall'aria. Ma ignoriamo le sue particolari proprietà...
Il settimo si riferisce alle distanze e alle diverse posizioni e ai luoghi e a ciò che a essi si riferisce. Secondo questo tropo, ciò che si crede sia grande appare piccolo, il quadrato appare tondo, il liscio appare sporgente, il diritto appare obliquo, il pallido appare di un altro colore. Il Sole, a causa della distanza, appare piccolo; i monti, guardati in lontananza, appaiono avvolti nell'aria e lisci, visti da vicino, sembrano ruvidi e pieni di crepacci.
Inoltre il Sole, quando si leva, ha un aspetto diverso da quando è nel mezzo del cielo. E il medesimo corpo appare diverso secondo che ci si trovi in un bosco o in un campo aperto. Anche l'immagine varia con il variare della posizione dell'oggetto, e il collo della colomba appare diverso, secondo che è volto in una posizione piuttosto che in un'altra. Poiché dunque la conoscenza di queste cose dipende dalle relazioni di spazio e di posizione, la loro propria natura ci sfugge del tutto.
L'ottavo tropo si riferisce alle quantità e qualità delle cose, alla molteplicità delle loro condizioni determinate dal caldo o dal freddo, dalla velocità o dalla lentezza, dall'assenza o dalla varietà dei colori. Così come il vino, bevuto moderatamente, rafforza l'organismo, bevuto in quantità eccessiva, lo indebolisce; così pure il cibo e simili.
Il nono tropo riguarda la continuità o la stranezza o rarità dei fenomeni. Così i terremoti non destano meraviglia in quelli presso i quali avvengono continuamente, e neppure il Sole, perché si vede ogni giorno.
Il decimo tropo si basa sul rapporto comparativo che intercorre, per esempio, tra il leggero e il pesante, tra il forte e il debole, tra il maggiore e il minore, tra l'alto e il basso.
Ciò che si trova a destra, non è a destra per natura, ma è inteso come tale in base alla posizione che ha rispetto ad un altro oggetto; mutata la posizione, non si trova più a destra. Analogamente padre e fratello sono termini relativi, così il giorno è condizionato dal Sole, come ogni cosa è condizionata dal nostro pensiero. Questi termini o concetti relativi, considerati in sè e per sè, sono non conoscibili.

Lettera di suicidio virtuale da fb, di fatto mai avvenuto

Ed anche se non ve ne fotte niente, lo motivo pure.

Come un'ingenua credo ancora che il compito da portare avanti sia fare brillare sempre il cristallo che c'è in ognuno di noi. Cristallo umano, esposto a numerose rotture, ma che se si cura con assiduità, può resistere anche ai più devastanti attentati. Tutto ciò che dico è ciò che di me la memoria altrui non porterà ovunque quanto le mie azioni.
Chi pensa tanto, parla poco e agisce ancor di meno. Ma quelle poche azioni, non enfatizzate da inutile retorica, sono così corrette che ci si dovrebbe inchinare, probabilmente, davanti alla loro perfezione.
Che quelle poche azioni, allora, ci sia davvero una tradizione pronta ad accoglierle e diffonderle come esempi di ciò che, andando contro l'istinto, giocando contro il proprio interesse, ogni uomo e donna possono essere in grado di fare, se lo vogliono, è probabilmente il condensato del ritmo di una storia che si incammini verso l'umanità.
Ma noi non vogliamo più pensare, non vogliamo più curarci altro che del nostro cuoricino, del nostro portafoglio, del nostro benessere psico-fisico. Ed io che scrivevo e sognavo, pensavo pensavo e ripensavo addirittura a come poter "salvare" il mondo -anzichè me stessa- con la fantasia e la critica, stavo impunemente replicando ciò che addito come il più grande orrore del nostro tempo. Talvolta ero scomoda, sola ed insoddisfatta, ma era solo lì che il mio cristallo brillava.
Ed ora torno a lucidarlo, senza ambizioni smodate, senza prescrivere, senza atturrare, ma solo per sentirmi viva.
Non basta volere per essere vivi, ma se non lo si vuole non lo si sarà mai. E qui su fb non si agisce, non si vive, non abbastanza, almeno, per chi dovrebbe occuparsi di altro.
Andare controcorrente forse fa paura. Gli "intellettuali" si sono fermati sempre per colpa della solitudine.
Il rischio delle conseguenze è noto a tutti. Conserviamoci la pace. "Ma chi te lo fa fare?" "Fai un pò di sport!" "Fai del sesso! Cercati l'uomo semplice, ricco e con un bel pisello!", "Ridi e gioisci delle piccole cose!"..Già fatto. Deprimente per me, non posso farci niente.
I parenti, gli amici, pronti a giudicare nei loro salotti come demente, pazzo o tanto innamorato di sè da aver scelto di fare l'eroe incurante della vanità del suo atto proprio chi cerca di condurre difficili battaglie contro la consuetudine per amore di giustizia..sono loro che hanno sempre frenato i processi di rinascita. Ad uccidere è il ritrovarsi soli, sempre. Completamente soli, come fu per Calabresi, come fu per Dalla Chiesa, come fu per Falcone, per Borsellino, per quella lista infinita, incompiuta di persone che azzerano la distanza tra parola e azione, che non intendono soccombere all'immobilità, alla logica del "lamentarsi ma restare paralizzati" che sembra programmare i circuiti mentali della maggior parte dell'umanità, me compresa- specie negli ultimi mesi-.
Attivi e passivi. Le cose si cambiano, possono cambiare, ma non cambiano da sole. Se nessuno si spinge oltre l'ingiusta consuetudine, si lascia che la degenerazione si compia inesorabilmente, è ovvio che sia così.

Non cambierò il mondo, non mi credo di essere nessuno, ma voglio rispettarmi e se un giorno, solo se innamorata ed amata, mi sposassi e riuscissi a compiere il più bel miracolo naturale che c'è dato, giuro di aver cura che i miei figli conoscano cosa si nasconde dietro i valori oggi banalizzati e stremati dalle vicende che rimbalzano di bocca in bocca.
I miei figli, se mai dovessi averne, spero crescano con l'accortezza di smascherare gli impostori, distinguendo i veri professori che esprimono con pacatezza la concezione che sostiene il loro reale agire ed il loro sincero sperare, da quelli che si dipingono come amanti della giustizia, della libertà, della solidarietà solo per darsi un tono, giocando con la necessaria invisibilità dell'etica, approfittando indegnamente dello spazio di espressione libera che la democrazia offre a chiunque, dimenticando che la possibilità di far parlare chi offende, tradendoli, i diritti democratici, esiste solo grazie a chi quei valori li ha combattuti strenuamente, anche a costo della morte. E ricorderò loro quante volte io per prima sia stata retorica, falsa, incapace di tradurre in realtà ciò che avevo il dovere di capire fin dall'infanzia fosse più giusto, perchè nutrita, per mia fortuna, fin dai primi anni di vita di bellezza, ricerca, sensibilità sconfinata da due ex sessantottini ironici, tanto diversi da molti intollerabili radical chic e disincantati a matula che ho visto intorno a me.
E racconterò della mia lunga adolescenza, durante la quale, perdendomi troppo spesso seguendo i miei coetanei e sentendomi estranea seguendo le mie radici - naturali o che mi affannavo a costruire attraverso innesti di dubbia qualità-di instabilità ed incoerenza ne ingurgitavo davvero troppe.
Che sogni avevi? Mi chiederanno. E recuperare tutte le bozze di vari scritti, chiamare i vari amici con cui intavolai fortunate discussioni nelle giornate sì, ricordare le mie idee incendiarie, non sarà facile. Ripenserò all'amore, alle tante storie da soap vissute, leggerò magari qualche poesiuola noiosa delle mie e mi parrà di aver detto tutto. Che orrore.
Le idee infiammano e fanno muovere ed il progresso si è misurato sulle spazientite anime di chi ha scelto di lottare per i propri ideali, perchè lo spazio per scambiarsi sottovoce davanti ad una birra qualche opinione non l'aveva neppure! I salti bruschi della ragione, la mancanza di delicatezza nei dialoghi, la nascita di tutti i nostri discorsi dagli scontri armati di uomini che non potevano più tollerare la soppressione della libertà, l'uniforme del pensiero che si respirava non solo come un'atmosfera leggera, ma si viveva drammaticamente- e si vive tuttora- sotto i totalitarismi..dove andrà a finire il ricordo e l'onore della Resistenza?
Si è impopolari e noiosi a parlarne. Taci Silvia.
Ecco perchè mi estinguo da qui. In facoltà, in mezzo alle persone forse ancora posso tentare di essere me, ma qui mortifico me stessa oltre ogni misura ed ho il dovere di difendermi.

Se chi ha lottato per la nostra libertà avesse saputo che sarebbe stato questo l'uso che ne avremmo fatto, credo che avrebbe guerreggiato perchè si instaurassero dittature perpetue con comandanti sempre più feroci. Si ha libertà per essere più svegli, vivi, osservatori, energici. Non per ingannare, ma per usare una retorica che faccia a pugni con quella che mortifica ogni tensione verso la bellezza, la grazia, la giustizia, la verità, perchè ritiene di disporre già a sufficienza di ogni strumento per dire "è così". E, talvolta, arriva a guadagnare un " potere" immenso, diventando capace di imbrogliare un intero Paese, che assiste imbambolato o che, (in)coscientemente nauseato, non si cura più di lui.
"Per quanto noi ci crediamo assolti, siamo lo stesso coinvolti...."
Io torno con i Partigiani e tutti coloro che hanno creduto in qualcosa, non strisciando come dead man walking, incapaci di cicatrizzare le ferite delle delusioni necessariamente conosciute. Non ho più la forza di fare la Pasionaria, sono da un pò decisamente avversa a manicheismi rigidi stile "o ti curi del politico o ti curi del privato", ma voglio solo ricordare che esaltare l'importanza della lotta non è operazione da pazzi criminali. Non scorre nel sangue di chi si indigna un indomabile spirito bellicoso, non è un frustrato che vuole riversare le sue astinenze sessuali o altre varie delusioni accanendosi intollerabilmente. Sono gli occhi scocciati intorno a renderlo insofferente, perchè non può credere che non si percepisca intorno lo stesso scandalo. E viene isolato. Ucciso. Perchè fuori dalla caverna non ci vuole stare più nessuno.

Questa caverna virtuale oggi mi disgusta e non voglio raccontare ad ipotetici figli che era così che trascorrevo il mio tempo. Vado a cercare il sole, senza più timore di restare sola.
Viaggiare..riguadagnare lo spazio vero, sentire il dolore degli altri per dimenticarmi il mio e tentare di perdonare e capire sempre più a fondo quello che ho fatto a tantissime persone.
Che questo sia un "regime" sottile che strapazza le emozioni e livella ogni "critica" intelligente, funzionando come un detergente velenoso del pericoloso chiedersi perchè, dal momento che, anche quando ci tenta, banalizza necessariamente il tutto perdendosi tra milioni di pixel e test del cazzo, beh..giudicatelo voi. Solamente il giusto uso può ridimensionarne gli effetti negativi, certamente, ma io voglio essere radicale.
Per ritornare a vita, io, dunque, mi suicido da fb. Come protesta inutile, che vale solo per me, che resto in cerca perenne di rimuovere gli ostacoli al rincoglionimento deliberato.
La morta tornerà a parlare a settembre, probabilmente, quando forse sarò in un altro luogo ed il virtuale sarà necessario.
Ora sfrondo la testa, il cuore ed il corpo da tante illusioni e mi immergo nel reale, con tutti i colori e la crudeltà che ad esso appartengono.
Ho comunicato spesso in modo gradevole con questo tempo tecnologico, mi sono anche divertita, ma rispetto ciò che fui e in cui credetti, e desidero lasciare altre tracce in questo mondo.
Abbiate cura del vostro cuore e del vostro intelletto.
I miei sono entrambi deboli e ho bisogno di farmaci molto potenti che qui non posso trovare.

Altro ricordo di fb.."com'è cominciata.."

http://www.youtube.com/watch?v=3OlQ762Qh-A
26 gennaio 1994, discorso a reti unificate di Silvio Berlusconi sulla sua discesa in campo.


L’Italia è il Paese che amo, qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato da mio padre e dalla vita il mio mestiere di imprenditore. Qui ho anche appreso la passione per la libertà. Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare. Per poter compiere questa nuova scelta di vita ho rassegnato oggi stesso le mie dimissioni da ogni carica sociale nel gruppo che ho fondato. Rinuncio dunque al mio ruolo di editore e di imprenditore per mettere la mia esperienza e tutto il mio impegno a disposizione di una battaglia in cui credo con assoluta convinzione e con la più grande fermezza.
So quel che non voglio. Insieme con i molti italiani che mi hanno dato la loro fiducia so anche quello che voglio. E ho anche la ragionevole speranza di riuscire a realizzarlo in sincera e leale alleanza con tutte le forze liberali e democratiche che sentono il dovere civile di offrire al Paese un’alternativa credibile al governo delle sinistre e dei comunisti.
La vecchia classe politica italiana è stata travolta dai fatti e superata dai tempi. L’autoaffondamento dei vecchi governanti, schiacciati dal peso del debito pubblico e dal sistema di finanziamento illegale dei partiti lascia il paese impreparato e incerto nel momento difficile del rinnovamento del passaggio ad una nuova repubblica. Mai come in questo momento l’Italia , che giustamente diffida di profeti e salvatori, ha bisogno di persone con la testa sulle spalle e di esperienza consolidata, creative ed innovative, capaci di darle una mano di far funzionare lo Stato. Il movimento referendario ha condotto alla scelta popolare di un nuovo sistema di elezione del Parlamento. Ma affinché il nuovo sistema funzioni è indispensabile che al cartello delle sinistre si opponga un polo delle libertà che sia capace di attrarre in sé il meglio di un Paese pulito, ragionevole, moderno. Di questo polo delle libertà dovranno far parte tutte le forze che si richiamano ai principi fondamentali delle democrazie occidentali, a partire da quel mondo cattolico, che ha generosamente contribuito all’ultimo cinquantennio della nostra storia unitaria. L’importante è saper proporre gli stessi obiettivi che hanno fin qui consentito lo sviluppo in tutte le democrazie occidentali, quegli obiettivi e quei valori che invece non hanno mai trovato piena cittadinanza in nessuno dei paesi governati dai vecchi apparati comunisti per quanto riverniciati e riciclati. Né si vede come a questa regola elementare potrebbe far eccezione soltanto l’Italia. Gli orfani e i nostalgici del comunismo, infatti, non sono soltanto impreparati al governo del Paese. Portano con sé un retaggio ideologico che stride e fa a pugni con l’esigenza di un’amministrazione liberale e liberista in economia.… le nostre sinistre pretendono di essere cambiate, dicono di essere diventate liberaldemocratiche, ma non è vero. I loro uomini, i loro più profondi convincimenti, i loro comportamenti sono rimasti gli stessi. Non credono nel mercato, non credono nell’iniziativa privata, non credono nel profitto, non credono nell’individuo. Non credono che il mondo possa migliorare attraverso l’apporto libero di tante persone tutte diverse l’una dall’altra.
Non sono cambiati. Ascoltateli parlare, guardate i loro telegiornali pagati dallo Stato, leggete la loro stampa. Non credono più in niente. Vorrebbero trasformare il paese in una piazza urlante che grida, che inveisce, che condanna. Per questo siamo costretti a contrapporci a loro. Perché noi crediamo nell’individuo, nella famiglia, nell’impresa, nella competizione, nello sviluppo, nell’efficienza, nel mercato libero e nella solidarietà figlia della giustizia e della libertà. Se ho deciso di scendere in campo con un nuovo movimento e se ora chiedo di scendere in campo anche a voi, a tutti voi, ora, subito, prima che sia troppo tardi è perché sogno a occhi bene aperti una società libera di donne e di uomini dove non ci sia la paura, dove al posto dell’ invidia sociale e dell’odio di classe stiano la generosità, la dedizione, la solidarietà, l’amore per il lavoro, la tolleranza e il rispetto per la vita. Il movimento politico che vi propongo si chiama non a caso forza italia.
Ciò che vogliamo farne è una libera organizzazione di elettrici ed elettori di tipo totalmente nuovo. Non l’ennesimo partito o l’ennesima fazione che nasce per dividere, ma una forza che nasce con un obiettivo opposto: quello di unire, per dare all’Italia una maggioranza e un governo all’altezza delle esigenze più profondamente sentite dalla gente comune.
Ciò che vogliamo offrire agli italiani è una forza politica fatta di uomini totalmente nuovi. Ciò che vogliamo offrire alla Nazione è un programma di governo fatto solo di impegni concreti e comprensibili.
Noi vogliamo rinnovare la società italiana. Noi vogliamo dare sostegno e fiducia a chi crea occupazione e benessere. Noi vogliamo accettare e vincere le grandi sfide produttive e tecnologiche dell’Europa e del mondo moderno. Noi vogliamo offrire spazio a chiunque ha voglia di fare e di costruire il proprio futuro, al Nord come al Sud.
Vogliamo un Governo e una maggioranza parlamentare che sappiano dare dignità al nucleo originario di ogni società: la famiglia; che sappiano rispettare ogni fede e che suscitino ragionevoli speranze (non esagerate!)per dare per chi è più debole, per chi cerca lavoro, per chi ha bisogno di cure, per chi dopo una vita operosa ha diritto di vivere in serenità. Un governo e una maggioranza che portino più attenzione e rispetto all’ambiente, che sappiano opporsi con la massima determinazione alla criminalità, alla corruzione, alla droga. Che sappiano garantire ai cittadini più sicurezza, più ordine e più efficienza.
La storia d’Italia, la nostra storia è a una svolta.
Da imprenditore, da cittadino e ora da cittadino che scende in campo, senza nessuna timidezza-avrebbe dovuto dire senza pudore-, ma con la determinazione e la serenità che la vita mi ha insegnato vi dico che è possibile farla finita con una politica di chiacchiere incomprensibili, di stupide baruffe e di politicanti senza mestiere. Vi dico che è possibile realizzare insieme un grande sogno, quello di un’Italia più giusta, più generosa verso chi ha bisogno, più prospera e serena, più moderna ed efficiente, che sia protagonista in Europa e nel mondo.
Vi dico che possiamo, vi dico che dobbiamo costruire insieme per noi e per i nostri figli un nuovo miracolo italiano.

....

Certo che è impressionante. La storia è così poco eticamente corretta da servire i kairoi- i rari momenti opportuni- a chi li utilizza in un modo indecoroso.
Non aveva niente in mente. Ciò che qui annuncia a reti unificate è un impasto di formulette insulse, inneggianti valori largamente condivisi e che sono il modo più efficace per comunicare con masse intontite dallo shock di aver visto ammanettati i governanti, le cui mani, da allora, non hanno smesso di dover essere controllate nella loro pulizia, nemmeno si trattasse di bambini che mamme affannate esortano a passare dal bagno prima di sedersi a tavola.
Berlusconi non è più intelligente, non è più furbo di nessuno. Molto ambiguo resta il riferimento alla esperienza. Pensa che dirigere le imprese sia equivalente, tutto sommato, al governare un paese.
Non si pretende che tutti conoscano la repubblica platonica ed il peso fondamentale che la politica assume nella visione greca che,in qualche modo, è filtrata nella tradizione occidentale.
Lui vuole essere uomo nuovo, in ogni caso. Recidere per sempre una corroborata tradizione, ed il nuovo attrae in modo molto più perentorio di ciò che persiste da sempre e su cui, al seducente confronto con chi inneggia ai miracoli, inizia a calare un’ombra di vecchiaia, un sapore stantio, un senso di morte, quasi, al punto che progressivamente ci si ritrova a vivere con nemmeno un minimo di scrupolo il congedo da esso .
Questo è ciò che è accaduto.
Le belle cose promesse dal governo Berlusconi reiteratamente in questi 15 anni avrebbero dovuto essere il portato di un paese incentrato sul valore assoluto della ricchezza. Solo questa, nella visione berlusconiana, rende l’uomo e la donna felici. E visibili, degni di essere rappresentati e potersi, perciò, lamentare per le fastidiose ingerenze dei “diversi”, responsabili di tutti gli scompigli, piccoli e grandi, che le cronache di Silvio si affannano in tutti i modi per mostrare come prove certe dell’imprescindibile confine esistente tra da una parte l’”italiano” e l’”italiana”, sessualmente iperattivo l’uno e velina, pupetta, l’altra, puliti e dal cuore d’oro, ed il clandestino, brutto, sporco e cattivo dall’altra.
Dove, dove la cultura, la diffusione di conoscenza, l’appoggio alla ricerca, al ridare speranza ai sofferenti, che se fame sempre avranno, potranno cercare di consolarsi con miriadi di stimoli diversi che molti italiani, se supportati e non indotti a considerarsi emarginati ed inutili, sarebbero capaci di dar loro? Che paese sognava e sogna, Berlusconi? Che percezione ne aveva?
È entrato nella nostra vita solo perché doveva salvarsi il culo. Doveva cercare un escamotage per risparmiarsi la galera, e riempire la bocca di un po’ di demagogia deve essergli parsa la scelta strategicamente più efficace, per riuscire non solo a mettersi al riparo dalla perdita della libertà, da lui inneggiata, ma anche per rendere ancora più consistente l’aura mitica che la sua megalomania insana gli cuciva intorno già dai tempi di milano due.
Equivale a perdere tempo destrutturare questa figura. La voglio utilizzare brutalmente solo come esempio efficace delle regole del marketing applicate a discorsi che condividono con quelli dei filosofi il terreno dell’invisibilità, dell’idealità, permettendo così la proliferazione di mirabolanti promesse dietro cui si nasconde solamente un disperato bisogno di fuga dal fare i conti con la giustizia. Un uomo che nella legge non ha riposto la benchè minima fede sacrale, con quale pretesa va a parlare ad un Paese disorientato, annunciando di volerne prendere in mano le redini? Non è che si presenti come esempio integerrimo di correttezza, di legalità, di professionalità. Lui avanza i criteri dell’esperienza imprenditoriale come appigli su cui poter costruire un’adeguata opera di risanamento dell’economia italiana, giunta al collasso, dal momento che i “comunisti” restano attaccati ad idee giurassiche, sconfitte dai tempi, riassumibili nell’assenza di fiducia nel progresso affidato al gioco del libero mercato, senza citare la sostanziale fiducia, riposta da sempre dalla sinistra, nella potenziale crescita del paese, solo a patto di una profonda opera di conversione culturale e umanista, venendo prima la collettività, prima i bisognosi, rispetto a chi ha già la fortuna di avere, di potere, di apparire. Gli uomini di sinistra hanno fallito, è vero, raccogliendo con la crisi del governo Prodi una delusione fortissima, sicchè non è rimasto che contenere le lacrime e la paura, reinventandosi faticosamente.
Ma d’altronde non potevano far nulla non solo perché maggioranza instabilissima, non per Mastella, non per la porcata di legge elettorale… la continuità non era sostenuta in ogni caso dagli italiani, incantati da Grillo e di scarsa memoria riguardo l’origine di quei sacrifici. E questo è naturale, perché questi vergognosi sibili berlusconiani hanno toccato i cuori di molte persone, della maggioranza di questo paese arido, superficiale, attratto dal vago brillare di pochi momenti di gloria, sedotto dall’abbondanza, come un paese uscito dalla guerra, affamatissimo e volenteroso solo nel soddisfare le voglie basse. Come non mirare a sé stessi, come immaginare che i propri sforzi fossero tesi ad un miglioramento nazionale?

Durante il governo Prodi, tanti hanno sofferto, non riuscendo ad arrivare a fine mese e non potendo tollerare il resistere della sperequazione nella classe dominante, differenza che Grillo si preoccupava di sorvegliare, alimentando lo sdegno e il disprezzo per questa classe politica. Non la magnifico. Ma avevo creduto potesse opporsi a Berlusconi, finchè avevo anch’io poi ceduto, la soglia di attenzione era diminuita, e raccoglievo malesseri vari di chi lavorava mentre io studiavo, e aveva dunque una percezione più netta della penalizzazione subita.Vi ricordate l’infelice frase di Padoa Schioppa sulla bellezza del pagare le tasse? Brutto o bello che sia, è odioso quando le tasse sono ingiuste. E tali non erano affatto, secondo me, quelle del governo Prodi, deciso a risollevare il Paese da una situazione disastrosa, esigendo il contributo di tutti. Si appellava, forse, a qualcosa di sempre più vago oggi, un senso di “italianità” che non era fondato sulla ricchezza, ma sull’appartenenza ad un territorio che, per quanto frammentario sia, per quante profonde differenze conosca, è comunque stato unito dalla lotta contro il fascismo per diventare una repubblica democratica. C’è qualcuno che se lo ricorda ancora?
Nessuno volle pensare queste cose allora. Ed è stato un crescendo dell’amore degli italiani per questo ometto, che avrebbe saputo intuire bene quanto avevano sofferto la spremitura fiscale, dando loro ciò che più avrebbero voluto. Poveretto.. c’è stata- e c'è- la crisi, ma ancora i suoi innumerevoli fedeli, pur avendo visto necessariamente poche mirabolanti promesse avverarsi, continuano a dar retta alle parole del presidente, perchè rassicuranti, anche se forse non più capaci come un tempo di far sognare una vita lussuosa, con camice di seta, giacche leopardate, vacanze in lontani atolli, cocaina e macchinone…
Non voglio affatto parlare del suo privato, di Veronica, Noemi e via dicendo. Se Berlusconi è incontrollabile nel suo populismo è perché ha lasciato che si iniettasse nella stragrande maggioranza della popolazione un relativismo totale sul piano dei “valori”ed un’adesione esclusiva a ciò che è tangibile, produce ricchezza, garantisce successo e, per questo, immortalità. Non si può arginare questo vomito perché non è che l’esasperazione di una visione del capitalismo disinteressata del tutto a far circolare il denaro per ampliare indefinitamente le possibilità di miglioramento dei non ricchissimi. . Si può solo sedare l’amarezza e andare avanti sforzandosi di seminare consapevolezza tra chi è giovane e ancora non ha il cuore ed il cervello contaminati da queste merdose concezioni, mortificanti la natura dell’uomo? Forse. Ma si può soprattutto incominciare a pensare in grande, a come si potrebbe concepire un sistema economico-politico oggi che sappia restare etico, elastico, capace di confrontarsi con l’estraneo per riconoscerlo proprio e di lottare perché l’estraneità presente nel proprio sia creduta una ferita, che brucia certamente, ma che solo cercando strade alternative all’alienazione può rimarginarsi.

Da 15 anni viviamo sopportando le insolenze di questo burattinaio pietoso, e se oggi mi chiedevo ancora affannosamente cosa possiamo fare, ora cerco di tirare in ballo un po’ di filo-filosofia per tentare di astrarmi dalla mia pena e restringere il problema ad uno, che da sempre mi angoscia: la verità della parola.
Gli uomini che vogliono dire la verità, li chiamerò perciò, ingenuamente, “filosofi”, non possono smascherare il sofista- colui che imbroglia e parla solo per persuadere, disinteressato del tutto alla verità-, seguendo il principio di non contraddizione aristotelico (tale per cui la coerenza dell’espressione esige altrettanta coerenza nei comportamenti...).
Non possono cioè dirgli “eh, bello mio, ma qui tu hai dichiarato questo e poi ti sei comportato così!”. Non possono farlo perché ormai ha vinto la parola, il segno scritto o sentito pronunciare in un video su fb o in televisione..una parola onnipotente, che vuole ogni cosa e si insinua in ogni momento della giornata ovunque, senza pretendere che ad essa consegua un’azione. Si può promettere tutto, rinnegare l’origine e smentire le conclusioni..non è richiesta nessunissima attendibilità al nostro dire. La parola è. E ciò che va oltre essa non ha alcun peso effettivo.
Anche chi si proclama filosofo e si impegna una vita nella ricerca di precarie conoscenze con spirito un pò faustiano - perchè, pur avendo magari tentato spesso di soffocarlo, ogni uomo che cerca credo ne rimanga ghignante vittima-, anche chi si spende nell’insegnamento della limitatezza ed irrequieto, spesso stanco di cercare, ma incapace di mettere un freno alla speranza di incontrare verità, ebbene anche costui partecipa insieme al sofista al grande gioco linguistico che si compie nel mondo.
È un gioco le cui regole non possiamo pensare siano stabilite da noi. E così chi vince? Chi ha potere. Ma per chi “vince”?
La beffa di non vantare un premio come succede a chi si gonfia di parole vuote incantando poveri ingenui è una beffa apparente. Direi sia una beata beffa di chi non ha alcun timore di mantenersi sull’orlo costante della crisi, perché non ha la pretesa di vincere la gara.
Le sole preoccupazioni dei “filosofi” si rivolgono alla sorte di coloro che rinunciano alla critica, restando ammaliati da chi potrebbe strumentalizzarli per guadagnare più potere. Questo è il senso di impotenza più difficile da tollerare. Anche nello sforzarsi di seminare consapevolezza, infatti, non è possibile manipolare le coscienze e necessario diventa accettare la scommessa che si insinui un kairòs fecondo per coloro che ancora non vogliono comprendere la differenza tra chi cerca verità e giustizia e chi si pronuncia intorno ad esse con la sicumera di possederle in tasca e poterne disporre a piacimento (sebbene capiti che ricorra alle stesse identiche ammissioni di prudenza e precarietà che l’altro vive con tormento.).

La parola ha oscurato la verità. È sempre accaduto e accade oggi, ma la percezione che se ne ha è centuplicata perché le informazioni attraverso cui smascherare questi giochetti sono infinite e chi sa ancora resistere nell’arduo tentativo di “distinguere” il vero dal falso si trova immerso in quintali di segni che lo scoraggiano, spesso lo nauseano, talvolta lo ammalano.

Perché? Perché si sgomenta un filosofo (ancor più, forse, se di "sinistra"..lo rende più "sinistro"..) di ciò che si compie intorno a lui e non rinuncia a farsi il sangue marcio, pensando unicamente a sé? Perché si trova in una società che in quell’oscurarsi della verità è cresciuta felice e si sente angosciato-a dal timore che prima o poi dovrà piegarsi anche lui-lei?

Non se cerca la verità della parola, certo/a che non sia mai in questa che la verità si esaurisca, perché ci sono visioni intere dell’uomo, del mondo, del tempo e dello spazio che si articolano parlando, leggendo e scrivendo, ma non si esauriranno mai nel fiato, nè nella traccia lasciata o assorbita, né nel pensiero.

Perché diventano parole agenti, che trasformano chi ci CREDE in modo radicale, lasciando che la sua testa sia sempre libera di dire no alle tantissime, stereoscopiche cazzate in cui vive immerso/a.

Perché, forse- è elementare ma non fino a che non ci si sbatta più volte la testa- solo laddove c’è verità della parola c’è anche giustizia.
Cerchiamo la verità della parola, amici virtuali e reali miei, anche se equivale a massacrarsi e non piacere alla maggior parte delle persone che abbiamo intorno e che, comunque, vanno rispettate ed apprezzate per altre qualità. Bene e male si immischiano in ciascuno di noi..la tensione all'unità è permanente... ma qui, in questo momento storico di imbambolamento collettivo, riuscire a non franare sembra più difficile che mai e non possiamo permettere al nostro essere, volenti o nolenti, elementi "sociali" di farci vivere continue morti a stento.

C'è sempre un varco..cerchiamo ciascuno il proprio, cambiandolo ogni volta che si consuma, senza mai annientarci definitivamente sotto il peso di malattie mentali- occidentali, troppo occidentali...- da accettare, comprendere e rimuovere, innamorandosi oltre ogni misura della bellezza, della pienezza, della giustizia che ancora e sempre ci sarà concesso scrutare e condividere.
Resistere!

Pensierini sulla "verità" (una delle mie note su fb)

La verità forse non esiste, ma se esistesse non è detto che la si saprebbe trattenere presso di sé. Non è facile sopportarla, si può impazzire. Bisognerebbe invece imparare a reggere la verità. C’è qualcosa di strettamente specifico nella natura dell’uomo e della donna che li allontana dal riconoscere con piena certezza la verità riguardo al giudizio sulla propria persona, la verità delle esternazioni degli altri e la verità su fatti che non conosce, ma il racconto dei quali pare troppo distante dalle proprie previe impressioni perché possa ammettersi verosimile, figuriamoci se “vero”.
Dire il falso è sempre possibile, nessuno garantisce che sia vero ciò che si è detto.
È solo un problema di fiducia?
No. Non lo è. Non ci fidiamo perché non possiamo fidarci. Io mi fido nel momento in cui non perdo troppi vantaggi nella mia vita. Altrimenti, anche consapevolmente, preferisco convivere con la falsità, arrendermi ad essa ed imparare a gestirla come se non esistesse, continuando, per altro, a sostenere le mie ragioni, perché mi servono, perché sono mie e se me le tolgono io non esisto più.
A volte ci si rende conto dopo necessariamente che quel che avevamo dato per falso era verissimo, ma non l’avevamo voluto considerare tale perché non potevamo tollerare di dover ridisegnare costellazioni di pensiero che ci avevano richiesto le fatiche di una vita. Dunque di menzogne occorre campare, se non si desidera trascorrere una vita da matti. L’uomo e la donna comune hanno quasi un’incapacità ontologica a vivere nella verità. È così, la verità non la si regge non perché non ci si sappia fidare di essa, ma perchè non potrà mai tramontare il bisogno estremo di falsità che, solo, consente ad uomini e donne di sopravvivere?
Probabilmente si. E Nietzsche è stato il filosofo che forse più di ogni altro ha reso possibile la scoperta di questa “VERITÀ”.
La verità è che l’uomo e la donna non amano la verità.
L’uomo e la donna non amano la verità di sapere che non amano la verità, quindi.
E non riconosceranno mai che la falsità è alla base del loro vivere, cercheranno di renderla più presentabile, perché il pregiudizio avverso alla falsità è millenario e non crollerà mai.
Chi potrà asserire di dire bugie con tranquillità, senza aspettarsi di venir guardato con disprezzo feroce da chi, pure, ha una vita non priva di ombre ma non trattiene l’orrore davanti ad espressioni così inconsuete e “pericolose”?
Se ammetti candidamente di non dire la verità, nessuno ti crederà più.
La fiducia è fondamentale. Sia quando ascolto gli altri che quando parlo devo aver fede della verità di ciò che viene messo in ballo, perché non posso sempre testimoniar con prove la certezza di ciò che vien detto, come se mi trovassi in tribunale, in una causa senza termine, per un processo in cui non capisco mai se sono parte lesa o imputata principale, attaccata ferocemente dall’accusa, visto che sono l’uno e l’altro sempre.
Ma l’aver fede, che costa fatica immensa tutelare, viene forse stritolato davanti alla resa di chi si accorge che conviene, dopo tutto, fare finta di nulla, presentare un’altra verità, che offenda di meno, che mieta meno vittime, perché il suo effetto abbacinante è catastrofico, non ci si può permettere stragi devastanti.
E allora si dicono bugie ma non si ha la forza di ammettere che siano tali, inventandosi di voler vivere nella verità e volerla cercare durante la propria esistenza. È solo un’invenzione, dal momento che si lascia che quella rimanga uno spaventapasseri, non una vitale pulsione che regola gli sforzi comuni di cercar di dire le cose come stanno.
Si deve negoziare camuffando, sorridere celando, rassicurare mentendo. Fino a dimenticarsi che quelle erano bugie, fino a non aver più in mente il dolore della scoperta e il movimento repentino di accantonare tutti gli appigli che avrebbero condotto facilmente un commissario a smascherare il colpevole.
Si sceglie di salvare altro, per amore di quiete. Perché va salvaguardata la pace, l’armonia, la dignità dell’uomo (oooh), il quale potrebbe trovarsi improvvisamente esposto al pubblico ludibrio.
Chi si permette di alzare un attimo la voce, subito viene accusato di essere un censore compassato, che ha sbagliato epoca, è retorico, anacronistico, giurassico, duro, conservatore, incapace di accettare la flessibilità ed il caos positivo di questi tempi post-moderni. Tempi che pretendono un dialogo costante tra le parti, un tentativo di giungere ad un compromesso che faccia giustizia delle troppe vittime che un dogmatismo furioso ha lasciato appartenessero a tutte le epoche passate, senza aver nemmeno il coraggio di recitare un mea culpa.
PARENTESI FILO-FILOSOFICA:Oggi non abbiamo più dogmi da sbandierare e non relativizziamo nulla, perché sappiamo che il dogmatismo e il relativismo sono mali oscuri, parenti stretti tra di loro, privi della sostanziale resipiscenza che aveva indicato a tutti Heidegger, suggerendo l’arretrare dell’uomo (e della donna, il Dasein, insomma) in una radura dove attendere l’essere, il suo avvento illuminante che lo protegge e che si chiama alètheia.
Nascondere. Non nascondimento. Quando finalmente ciò in cui viviamo sempre, questa condizione di finzione e falsità verrà riconosciuta per quello che è, e la svelatezza si realizzerà, come un evento, senza compiersi nel cervello di un singolo ma nella coscienza di tutti, quando questo magnifico evento accadrà non può dirlo nessuno. E nemmeno Heidegger lo preconizzò, né lo credette possibile. La nausea lo vinse, il disgusto per non aver potuto invertire le leggi della temporalità, lui che le aveva comprese meglio di tutti, lo annientò, lasciandogli come unica, splendida consolazione la poesia, lo stentato balbettare, che, allontanandosi dalla barbara pretesa di imbrigliare qualcosa, pure non può salvare chi continua ad annaspare nel nascondimento senza intenzione né di lavorare per scoprire il celato né di attendere che si faccia essere.
Dopo Heidegger cosa succede? Lasciando stare la sua filosofia piegata alla fine quasi ad un misticismo- è ben più complesso, sto dicendo poca verità, ma devo stringere..-, come possiamo comunque tentar di pronunciarci correttamente, oggi, sulla verità? PARENTESI CHIUSA.
Se la verità arriva sempre dopo, nelle fasi di passaggio giunge quando l’epoca che sta per cominciare sta già cedendo il testimone al periodo che succede quella, di cui non possiamo immaginare contorni, né possiamo osare dipingere come funereo.
Si proclama tanto la messa in discussione delle proprie stentate certezze, si invocano a gran voce rivoluzioni paradigmatiche come uniche strade per progredire sulla strada dell’umile conoscenza, ma quanto poco in effetti ciò si realizzi lo si vede anche negli ambiti accademici, dove di queste cose si discute giornalmente, ma non è raro che ci si trascini lapalissiani errori per anni, per non aver voluto dare ascolto a chi li additava come tali.
Tra la verità e chi la cerca si staglia un mare di superbia.
Forse generalmente non c’è nemmeno bisogno di vivere questo scarto come un dramma. Magari non occorre, si aggiungerebbe gratuitamente soltanto un altro motivo di sdegno per la propria specie che sembra digerire per lo più con facilità la propria indifferenza all’appurare certe faccende, restando orgogliosamente attaccata alla propria idea, sia pur clamorosamente smentita da fatti indubitabili.
L’uomo e la donna che si dicono dediti alla filosofia ( e dico dentro e fuori dalle accademie...chiunque voglia pensare, insomma..) cercano la verità, però, (o forse pensano che qualcuno, foss'anche la stessa coscienza,aspetti che venga svelata dalle loro ricerche) in un modo molto più radicale.
Solo l’uomo e la donna che non si accontentano di nulla, che vogliono domandare tutta la vita, cercare senza sosta, perennemente inquieti, potranno avvicinarsi un po’ di più all’insostenibile assenza della “verità”,senza restare travolti dalla scoperta e senza rassegnarsi al proliferare di inefficaci e ingannevoli formule di retorica consolante.
Per questo orrori come quelli che accadono intorno, vicinissimo e lontanissimo da noi, vengono difficilmente digeriti e si vorrebbe poter trasformare la consapevolezza della verità in giustizia.
Ma il vero ed il giusto coincidono da sempre molto poco.
Aver chiarito interamente qualcosa, anche ammesso che si possa davvero fare, dovrebbe poi essere giudicato. E i conflitti assiologici diventano infiniti.
Ma di fronte alla "verità"- Berlusconi- verità ben diversa da quella tormentosa "esistenziale" di cui parlavo prima e che ciascuno ha illuminato a proprio modo, che non sarà mai intera ma sempre in divenire, ok, ma è tanto evidente da lasciare una traccia quanto meno di sdegno in ogni uomo- ecco, come può di fronte a questa specifica verità ancora resistere un possibile tentativo di difesa del nostro Premier?
La condanna non è unanime.
L'Italia, dunque, ama prendersi per il culo. Non è una novità. E se non cerca verità, inutile aspettarsi che possa aspirare ad una qualche minima forma di giustizia.
Non c'è più nemmeno rabbia in me. Non c'è nemmeno pietà. Solo una gelida ammissione di vivere in una squallida realtà che però è mia, nostra e abbiamo il dovere di continuare ad osservare, capire, raccontare, perchè questa minoranza di inquieti che siamo non venga fatta affondare per sempre da gente sicura, stanca di chiedersi il perchè.

...

Il mondo, in sè, non è ragionevole: è tutto ciò che si può dire. Ma ciò che è assurdo è il confronto di questo irrazionale con il desiderio violento di chiarezza, il cui richiamo risuona nel più profondo dell'uomo (A. Camus)

L'uomo deve comunque esprimersi. E deve farlo bene. Dev'esserci un consenso perché i suoi pensieri non vadano perduti. Ma oggi che quel consenso manca, si procede ad oltranza, anche senza trovarlo. Perché ciò che senz'espressione muore è la più importante caratteristica dell'uomo. Muore l'uomo.
Ed esprimersi virtualmente? Uno dei tanti modi, ma spesso diventa un covo del brutto. Il bello lo immagino ancora, infatti, fuori dal web, perché il sintetico umano che cerco è profumato, come un quadro, come la carta, come la voce stessa- dipende dall'alito...:)-.
E qui odore non ce n'è.
Sarà per questo motivo che, esteta a lungo dell'espressività, mi sono convertita all'idea di farmi un blog con molta riluttanza e solamente quando ero molto lontana, per un'estenuazione difficile da spiegare qui, dalla concezione di bellezza.
Ma è quella che mi vorrei impegnare a cercare, rendendola sempre meno una tensione retorica capace di rendermi solo frustrata e nevrotica.
Una bellezza fluida, che combatta il "desiderio violento di chiarezza", eppure cerchi tenacemente di sfiorare la luce.

lunedì 3 agosto 2009

Misura

Verso la fine della vita avviene come verso la fine di un ballo mascherato, quando tutti si tolgono la maschera. Allora si vede chi erano veramente coloro coi quali si è venuti in contatto durante la vita (Arthur Schopenhauer)

Misura non è assenza di fatica. Misura è salute, lentamente conquistata, di uno sguardo che, piano piano, accrescendo infiniti esempi, desiste dall’ansia di vittoria per farsi riconoscere come più vero, ma riesce ad accettar di trovarsi ovunque sia per dar il massimo di luce senza turbare accecando. Come una stella che voglia brillare senza disturbare le galassie intorno, senza timore che la sua luminosità venga aggredita da asteroidi ingordi e invidiosi. Come. Come se. Come se la poesia fosse il solo luogo in cui ancora abbiamo la possibilità di coniare per il dolore le parole mai inventate e capire che debolezza, vecchiaia e noia sono strette al cuore di ogni stellina sparsa nel cielo dell’umanità e solo questa analogia può costringerci ad amare gli impulsi vitali e le goliardiche apparizioni lucenti che capitano di rado, lasciandoci sospirare in attesa di una loro nuova comparsa, ma trattenuti comunque dalla consapevolezza di galleggiare insieme, come elementi senza fondo in un luogo senza confini, né per la ragione, né per l’immaginazione.
Pedagogia è una transizione di misure
L’insegnante mostra al discente come si misura
Perché solo giudizi possiamo pronunciare su ciò che è senza misura eppure cerchiamo di limare fino a pervenire ad un centro perfetto, continuamente spostato, che il solo resta intorno a cui domandarci chi siamo…perché solo lì apprendiamo ciò che c’è di più umano. Ed essere umanisti è qualcosa che pare criminale solo dopo aver studiato a fondo Heidegger.
Riprendiamoci la ricerca dell’umano. Riprendiamoci il nostro posto nel cielo, come una tra le tante stelle, ma non per questo inutile, superflua nel suo risplendere e di cui fare a meno non risulti angosciante per nessuno dei satelliti.
Io dico che c’è bisogno di cercare l’uomo, non il super uomo, e semmai ultra virtù, in un mondo in cui comunicare le proprie “misure” è “smisuratamente” difficile.
Questo è un po’ il motivo, scritto adesso di getto, che nasconde il mio bisogno di centrare intorno alla “misura” gadameriana il lavoro triennale.

11 marzo 2009

Pensierino: Uomo/donna - mare

lunedì 11 maggio 2009
Pensierino: Uomo/donna - mare
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lunedì 11 maggio 2009 alle ore 16.59 | Modifica nota | Elimina
Inutile dire che l’essere umano non viva soltanto un’esperienza vivificante con l’elemento acqua e questa non sia importante perché lo costituisce per più della sua metà.
L’essere umano è metaforicamente acqua. Vive di sorsate, può diventare oceano o perdersi in rigagnoli che lo fanno proseguire a stento verso quell’immensità, al di là di ogni orizzonte, in cui se si impegnasse a rinforzare i suoi sorsi, se non si perdesse nelle stentate elucubrazioni intorno alla miseria della sua esistenza, gli sarebbe concesso di versare tutto il suo essere.
Ma quasi sempre convive con liquidi differenti, estenuato dalla ricerca della trasparenza che scorreva nelle vene a fiotti quando era bambino. Non è facile vivere nella doppiezza. Ma è necessario. Cosa ha fatto di Socrate un grande, immortale per ogni occidentale disposto ancora a ricevere in qualche modo saggezza, se non l’essere riuscito a vivere di unicità, non spezzando la vita raccontata da quella vissuta, agendo in piena conformità al pensiero, non macchiandosi mai di menzogna, ma presentandosi sempre come era, destinato, cioè, a cercare ovunque la "verità"? Per questo lo amiamo e odiamo tanto. Ma anche se l'anima bella non dovesse esistere, in ogni caso era più semplice forse ai suoi tempi che Socrate si sia permesso di essere Socrate.
Nella nostra epoca, più che nelle altre, come potrebbe esistere un Socrate? Si può davvero vivere lontano dai compromessi e sbandierare una moralità integerrima senza essere tacciati di essere dogmatici? E , in una cultura aperta e tollerante come vorrebbe un giorno essere la nostra, potrebbe in fondo dimorare un’anima che non si vergogna di sé stessa, che non trova limiti alla propria espressione pur riuscendo ad accettare ed essere accettata integralmente da anime diametralmente opposte? O è un’illusione perbenista di cui siamo costretti a nutrirci ma che, inevitabilmente, si rivela impraticabile?
Pensieri corti, discorsi farfugliati, giustizia distrutta, bellezza tramontata, corrosa dalla frustrazione raggiunta anche dai suoi più fedeli servitori... questo è il nostro tempo, ci piaccia o meno.
Ma il pessimismo stanca. Banalizzare è stato il nostro scudo. E, come ricorda Beatrice, è questo il modo migliore per impedire a chi ancora sa scandalizzarsi di esprimere il suo dissenso per tutte le cose che non vanno, nelle quotidiane lotte per meno ingiustizie, meno inganni, meno solitudine.
Oggi è difficile sperare nel mondo come opera d’arte. Ogni meraviglia è inghiottita dalla crudezza dell’informazione, che spoglia l’uomo di qualsivoglia fantasia artistica, dandogli in pasto la realtà come un piatto sfatto, che non consola e non esalta, ma è l’unico che può mangiare.
Eppure resistiamo. Ci ubriachiamo, inquiniamo quell'acqua, e andiamo avanti.
E i bambini che eravamo, storditi dalle continue sbronze, quasi sicuramente stanno dormendo. E se si svegliano si chiedono perchè, anzichè nell'oceano della vita, vengano trascinati a navigare in fiumi virtuali di incerta purezza...
Insomma..se contaminarsi è necessario,sperare che i liquidi ingeriti in futuro siano eccellenti è ciò che mi piacerebbe stimolasse tutti a non perdersi, se non per poche, distruttive sbronze, dopo le quali spesso si continua a galleggiare senza nessuna mèta. Che si nuoti, invece, con convinzione, sostenuti dal tifo del bambino che, nel più sobrio come nel più ubriaco degli uomini, è bello, di certo illusorio ma consolante, pensare voglia ancora solo una cosa: vedere sguazzare tutti in un mare che rinvigorisce i deboli e restituisce speranza ai disillusi..
Resistere!

Il corpo delle donne

Ho deciso. Io mi faccio la mia faccia.
Combatto la plastica, non voglio più vergognarmi della mia vulnerabilità e continuerò a provare sempre più insistentemente un confronto con maschietti capaci di mettere in discussione quella che- consapevolmente o meno, ed esacerbando o meno qualcosa che da secoli si è più volte ripetuto in ogni luogo del pianeta-, per loro sta diventando una seconda natura (alludo allo sguardo e all’istinto da macellaio).
Chi ha la colpa? Non è questa la mia domanda oggi. È una domanda per le donne: sappiamo trovare un punto archimedeo a prescindere dal consenso ricevuto? Se ammettiamo la fragilità, non crolliamo inesorabilmente? Chi siamo? Cosa stiamo diventando?
Questo si chiede fondamentalmente Lorella Zanardo ed è ciò che più mi preoccupa del mio sesso… e che ha portato più volte anche me, ed anche in tempi estremamente recenti, ad un passo dalla follia più totale.
Ma non esistono generalizzazioni che tengano, perché ogni donna risponderà in un modo unico a queste domande vivendo. Ciascuna ha una storia a sé. E se il sesso “forte” (ahhhahahh..altra ennesima ingiusta generalizzazione) imparasse a rispettare, con pazienza notevole ed attenzione, quale essa sia, forse potrebbero attenderci giorni meno peggiori, chissà.
Ci si “riconosce”, comunque, reciprocamente...la peculiarità di ognuno è invisibile solo per chi non vuole soffrire e preferisce inchiodare ad una comoda definizione il vissuto, il sentire, la differenza irriducibile di chi ha di fronte. E se questo vale per ogni tipo di rapporto tra due esseri umani, tutto ciò si complica nel confronto maschile-femminile.
Ciascuno ha il diritto ed il dovere, la responsabilità dunque, di non sprecarsi, colpevolizzando l'altro della mancata giusta percezione di quel che si è (meglio dire, ho imparato per sempre, si “diviene”).
L'identità è un cantiere aperto. Chi potrebbe dichiarare il lavoro finito non sarebbe più nemmeno un corpo, né un volto che emoziona..ma solo un mucchietto di ossa!
La società può essere oscena, i miti, le chiacchiere nauseare oltre misura. Ma non c'è alibi alcuno.
Sono insomma d’accordissimo con Lorella Zanardo. E so quanto sia estremamente difficile non solo impegnarsi a non vergognarsi della propria faccia- del proprio corpo in generale- accettando ogni vulnerabilità, ma trovare intorno il calore che concede di incominciare, continuare e non demordere da questa missione che dura una vita:)
Auguri, alle donne e agli uomini con la schiena dritta, i volti flessibili ed intelligenza e sensibilità da raffinare di continuo..

Riflessioni sull'azione

Mi sto rassegnando alla mediocrità????
Ascolto abbastanza? No.
Il pensatore…pensare non equivale a fare bene. Chi pensa sulla scia della tradizione si sentirà capace di fare riflessioni illuminanti che siano capaci di dirozzare le anime altrui. Chi manovra il pensiero avverte il potere grandioso di cui può partecipare astraendosi dalla concretezza volgare in cui si affaccendano gli altri. È questo sguardo di onnipotenza, questa inconfessabile sensazione di grandezza e superiorità che il filosofo deve distruggere.
Se io penso cambio il mondo? Affino idee. Le rendo chiare. Le porto ad espressione con fatica…ma cosa cambio? Cambio me. Mi sento soddisfatta ed autorizzata per questo ad annunciare la mia scoperta, credendola magnifica.
Focalizzarsi sulla potenzialità del pensiero di trasformare le cose non è una resa, non è una risata sprezzante in faccia alla metafisica. Allora avevano il diritto di pensare, perché non “sapevano” con questa rapidità che rende un uomo di strada più informato di un filosofo impegnato a tradurre Leibniz, ciò che succede nel mondo. La sfida è riuscire forse ad avere l’occhio del mondo? Potersi intendere su tutto? Poter dire la propria su ogni argomento, politico, sociologico, letterario che vada dal Congo alla Corea? Questo vuol dire essere un filosofo dell’era globale?
No di certo. Torna la necessità di affannarsi alla ricerca dell’umano, con un quintale di consapevolezza in più rispetto ai Greci, e una ricerca dell’umano nel rapporto con l’infinito, rappresentato dalla infinità del mondo. È il rapporto tra me e te, la soggettività, l’intersoggettività…lo stiamo vedendo, quanto è nobile finalmente che i teoreti si pronuncino a favore dell’etica, non distinguendosi più dagli studiosi di “filosofia morale”.
La teoretica è morta? Cosa è la teoretica? Spiegare Kant, Hegel ed Aristotele anche alle pietre. Non perdere la tradizione occidentale e agire con la razionalità per poter portare avanti una convivenza lontana da violenza in un mondo che è sul punto di esplodere per diverse ragioni. Si. Ma non è ancora tutto. La filosofia deve impegnarsi a salvare i deboli.
L’affascinante terreno della “comprensione” indagato da Gadamer risulta asfittico se la comprensione che ha in mente è comunque una comprensione tra persone che già hanno compiuto la scelta per la razionalità.
Il sangue, la menzogna sempre possibile, la sete di ricchezza…tutto ciò che è umano, perché è comunque l’uomo che le incarna queste certezze, sdegnano la maggior parte dei filosofi, che pensano di essere già dietro la sbarra, la rigida demarcazione che li separa da tutti coloro che, ignobilmente, si appellano ai sensi, dimenticando la ragione e la pietà.
Ma finché non tenterà di conoscere a fondo le loro “ragioni”, non imparerà a prendersi meno sul serio proprio per essere molto più serio, misurandosi con il totalmente altro, il filosofo come potrà sul serio contemplare l’universale?
Sentirsi solo una piccola parte. Ma una piccola parte grandiosa, che può davvero incidere sul reale. Questo dovrebbe essere il monito che guida chi pensa il pensiero oggi.
Funziona? Come funziona un pensiero? Quando sorge? Dove sorge, come lo vedo, se, non solo lo pronuncio, ma non mi rassegno finché non ne vedrò una sua plausibile concretizzazione?
I pensieri…i pensieri..matassa aggrovigliata insapore se non agente.
Questa è una delle poche certezze che ho e non voglio distruggere.
Ci hanno insegnato che la fuga è importante, fa parte dell’uomo. Ci ho creduto in questi mesi. Mi sono aggrappata a questa dolce camomilla, che mi ha lasciato dormire in tranquillità mesi post-lauream, dimenticando l’urgenza da cui era sorta la fenomenologia del rifiuto.
Incantare, sedurre, potere, potere…come immagini sia l’uomo? Ognuno lo colora con i pastelli che la tavolozza dei colori genetici e dell’esperienza gli hanno fornito. Il tuo uomo, professore, forse non somiglia al mio. Intendiamoci sul senso dell’uomo. Hai nevrosi anche tu? Si, impossibile non averne. Lo immagini un uomo forte e capace di dire no con la ragione? Perché fumi, allora?
C’è una bel capitolo sull’indifferenza in "Elogio della fuga" di Laborit, che dice:
“Ogni uomo che sia degno di essere uomo desidera vivere la vita in Modo Estremo. Contentarsi di quanto ci è dato è proprio degli schiavi. Chiedere di più è proprio dei bambini. Conquistare di più è proprio dei pazzi, poiché ogni conquista è.
Vivere la vita in Modo Estremo significa viverla fino al limite, ma ci sono tre modi di farlo e ogni anima superiore deve sceglierne uno. Si può vivere la vita all’Estremo attraverso il suo possesso estremo, attraverso il viaggio di Ulisse, attraverso tutte le sensazioni vissute, attraverso tutte le forme di energia esteriorizzata. Però in ogni epoca della Storia sono pochi coloro che possono chiudere gli occhi con una stanchezza che sia la somma di tutte le stanchezze; coloro che hanno posseduto tutto in tutti i modi.
Sono rari dunque coloro che possono esigere e ottenere dalla vita che essa si abbandoni loro corpo e anima; che sanno non essere gelosi della vita perché sanno avere per lei un completo amore. Eppure questo deve essere, senz’altro, il desiderio di ogni anima elevata e forte. Però quando quell’anima constata che ogni realizzazione le è impossibile, che le manca la forza di conquistare tutte le parti del Tutto, le restano due strade da seguire. La prima è l’abdicazione totale, l’astensione formale e completa, relegando alla sfera della sensibilità ciò che non si può possedere pienamente nella sfera dell’attività e dell’energia. È mille volte preferibile non agire che agire inutilmente, frammentariamente, insufficientemente, come succede alla superflua e vana maggioranza degli uomini. L’altra è la strada del perfetto equilibrio, la ricerca del Limite nella Proporzione Assoluta; strada attraverso la quale l’ansia di Estremo transita dalla volontà e dall’emozione fino all’Intelligenza. E in questo caso l’ambizione non è di vivere tutta la vita, e di sentire tutta la vita, ma di ordinare tutta la vita, di realizzarla in Armonia e Coordinazione intelligente.
L’ansia di capire, che per molte anime nobili sostituisce l’ansia di agire, appartiene alla sfera della sensibilità. Sostituire l’Intelligenza all’energia, rompere l’anello fra la volontà e l’emozione, spogliando d’interesse tutti i gesti della vita materiale: questo vale più della vita, che è così difficile da possedere completamente e così triste da possedere parzialmente.
Dicevano gli argonauti che navigare è necessario ma che vivere non è necessario. Noi, argonauti della sensibilità estenuata, diciamo che sentire è necessario ma che non è necessario vivere.”

Bello anche Pessoa:
"Il mondo è di chi non sente. La condizione essenziale per essere un uomo pratico è la mancanza di sensibilità. La qualità principale nella pratica della via è quella qualità che conduce all’azione, cioè la volontà. Or dunque ci sono due cose che disturbano l’azione: la sensibilità e il pensiero analitico, il quel ultimo non è altro, in fin dei conti, che il pensiero dotato di sensibilità. Ogni azione è, per sua natura, la proiezione della personalità sul mondo esterno. E siccome il mondo esterno è in grande parte composto da esseri umani, finisce che la proiezione della personalità consiste essenzialmente nel mettersi di traverso sulla strada altrui, nell’ostacolare, nel ferire e nello schiacciare gli altri, a seconda del nostro modo di agire.
Per agire, dunque, è necessario che non immaginiamo con facilità la personalità degli altri, i loro dolori e le loro allegrie. Chi ha della simpatia non agisce. L’uomo di azione considera il mondo esterno come se fosse composto esclusivamente di materia inerte; inerte in se stessa, come un sasso che calpesta o che allontana dalla strada, o inerte come un essere umano che, non avendo potuto offrirgli resistenza, tanto fa che sia uomo o sasso – perché come il sasso è stato preso a calci o calpestato.
L’esempio più perfetto dell’uomo pratico è costituito dallo stratega, perché costui unisce l’estrema concentrazione dell’azione alla sua estrema importanza. Tutta la vita è guerra, e la battaglia è dunque la sintesi della vita. Ora lo stratega è un uomo che gioca con la vita come il giocatore di scacchi con i pezzi. Che ne sarebbe dello stratega se pensasse che ogni mossa della partita getta la notte in mille focolari e disperazione in tremila cuori? Che ne sarebbe del mondo se fossimo umani? Se l’uomo avesse veri sentimenti non ci sarebbe civiltà. L’arte serve come fuga per la sensibilità che l’azione ha dovuto dimenticare. L’arte è la Cenerentola che è rimasta a casa perché doveva essere così.
Ogni uomo di azione è essenzialmente animoso e ottimista, perché chi non ha sentimenti è felice. Un uomo di azione è riconoscibile dal fatto che non è mai di cattivo umore. Chi riesce a lavorare anche quando è di cattivo umore, è un sussidiario dell’azione; nella vita, nella grande generalità della vita, può essere un contabile, come io lo sono nella particolarità della vita. Ma non può governare le cose o gli uomini. Il governo presuppone l’insensibilità. Governa colui che è allegro, perché per essere triste bisogna sentire.
Il principale, il signor Vasque, oggi ha concluso un affare rovinando un individuo malato e la sua famiglia. Mentre portava a termine l’operazione si è completamente dimenticato di quell’individuo, se non in quanto controparte commerciale. Concluso l’affare, gli è venuta la sensibilità. Solo dopo, naturalmente, perché se gli fosse venuta prima l’affare non si sarebbe mai concluso. “mi dispiace per quel tipo”, mi ha detto, “si troverà in miseria”. Poi, accendendo il sigaro, ha aggiunto: “in ogni modo, se avrà bisogno di qualcosa da me” (intendeva un’elemosina) “io non dimenticherò che gli devo un buon affare e qualche migliaio di escudos.”
Il signor Vasques non è un bandito: è un uomo di azione. Colui che ha perso la sfida in questo gioco può di fatto contare sulla sua elemosina per il futuro, poiché il signor Vasques è un uomo generoso.
Come il signor Vasques sono tutti gli uomini d’azione: capitani d’industria e uomini di commercio, politici, militari, idealisti religiosi e sociali, grandi poeti e grandi artisti, belle donne, bambini viziati. Chi è insensibile, comanda. Vince colui che pensa solo a ciò che gli serve per vincere. Il resto, che è l’indistinta umanità amorfa, sensibile, immaginativa e fragile, non è altro che il panno di fondo sul quale risaltano i protagonisti della scena finché il dramma delle marionette non finisce: il piatto fondale a quadri dove stanno i pezzi degli scacchi finché non li ripone il Grande Giocatore, che illudendosi di avere un avversario si balocca e gioca sempre con se stesso.”

Ma, dunque, agire per chi è possibile? E a chi è finalizzato? Sempre solo a sé stessi? Chi è il mio prossimo? Se anche riuscissi ad individuarlo, visto che per compiere azioni verso di lui non devo "sentire" e quindi "sentirlo", ogni azione nei suoi confronti sarà poco pietosa?
Come si esce dalla paralisi?
Semplice. Smettendo di chiedersi perché, o, meglio, lasciando ad una regione dell'interiorità la continua opera d'indagine, ma mentre si agisce, con il cuore e la mente attivi e senza pensare che sia un sacrificio che tolga qualcosa.
E se non arricchisce? Si sorride e si va avanti.