giovedì 26 giugno 2014

ESSERE RIVOLUZIONE

 Chi può permettersi di non pensare al denaro ormai raramente incontra la mia simpatia.

 Ignaro, come ignara ero io, dell' immenso privilegio che è questa mancata preoccupazione, questi osserva con noia e fastidio chi perde il sonno appresso alle cifre, cercando a tutti i costi di far quadrare i conti non certo per amore pitagorico verso i numeri, ma solo per tentare di sopravvivere e scalzare l'angoscia di superare la soglia oltre la quale comincia la più nera povertà. 

Può anche darsi che quest'ultima affascini il nostro fortunato benestante come fosse una condizione dello spirito sublime per ricevere la grazia di Dio o attuare un processo misticheggiante di kènosis che lo spogli di ogni superflua incrostazione, mentale e non. Ma è facile pensare con voluttà al vuoto quando si ha lo stomaco pieno e una bolletta non è mai stata un problema.

 Di questo il borghese di cui parlo appare spesso essere cosciente ed è per questo che ciclicamente attraversa  fasi di incondizionata passione sociopolitica, studiando i modi che crede più efficaci per garantire la giustizia sociale tra i suoi simili e diffondere uno stile di vita sobrio che assecondi una decrescita felice, dopo che a godere dei benefici del capitalismo sono stati probabilmente i genitori suoi e di quei suoi cari amici che oggi mangiano bio, concentrando nello stomaco il campo della vera rivoluzione.

Ridimensionare le pene di chi affoga nella più tetra disperazione, però, può accadere solo se si conosce almeno un po' la paura degli stenti; solo se si è stati almeno una volta sull' orlo del fallimento e si è temuto di non avere di che cibarsi per giorni interi, lottando per ottenere qualche spicciolo con cui "autoconservarsi".

Se si guarda l'umanità spogli di ideologia- operazione praticamente impossibile, cui pure ci si deve sforzare di mirare- , si troverà infatti come questa non sia una moltitudine tanto attiva e protagonista indiscussa della vita della società come pensa Negri, ma, purtroppo, per lo più una marea di donne e uomini strozzati dalla paura di non farcela, schiacciati dall'angoscia delle spese al punto da perdere lo slancio e l'inventiva per ottenere con il sudore della propria fronte qualche bene primario. 

Mantenere la calma e cercare la via d' uscita al dramma della miseria è impresa straordinaria, concessa di solito a chi se non ottiene un lavoro, trova comunque un sostegno nella famiglia. Per il resto, laddove questa non possa aiutare, ci si dovrebbe rivolgere allo Stato, che altrove riesce a mostrare il suo volto benevolo, andando incontro a licenziati, disoccupati e minoranze-maggioranze a rischio emarginazione. Per l' opinione pubblica si diventa così dei meschini questuanti che vivacchiano sulle spalle di chi fatica; dei parassiti disgustosi che non hanno alcun consenso in società e non sempre si raggelano specchiandosi nell' immagine di condanna che la comunità offre di loro. Non lavorare è consentito solo dopo che si è prestato servizio in modo onesto, accrescendo con il proprio contributo il pil del proprio Paese, dicono.  
 Anche quando il lavoro risulta del tutto inutile, è visto con occhio migliore dell' ozio, nemico acerrimo dell' ordine sociale. 

Ma chi, pur non volendolo, si trova a oziare,  è giusto che, pur di impiegarsi in qualche modo così da fuggire le accuse che pioverebbero sul suo capo, rinunci al sogno che aveva e attraverso cui, magari, pensava di poter contribuire seriamente alla crescita economica e culturale della nazione? 

Bisognerebbe cercare di rianimare il tessuto sociale, scorticato dall' accidia indotta dalla dilagante disoccupazione, e opporsi con fermezza alla richiesta di "sprecarsi pur di sopravvivere", mostrandosi, al contrario, fedeli alle proprie radici, alle scelte dolorose del passato, così da dare senso al percorso di formazione che c'è stato (ammesso, naturalmente, che ci sia stato!). 

Per essere rivoluzione, oggi non ci si deve automutilare, ma tornare a insistere perché le passioni dominanti riemergano e ci si riscopra un tassello unico nel mosaico umano, che urge rispettare nella sua diversità e incomparabilità al suo vicino, cui lo lega tuttavia sempre l'aspirazione a un disegno comune. 

Non si può essere sempre interscambiabili, come ci ha abituati a pensare quest'epoca di precariato devastante. 

Occorre diventare bravi, bravissimi nel proprio mestiere e non svendersi, se non per brevi periodi che non compromettano comunque l'obiettivo centrale di praticare ciò che amiamo di più. 

Chi finisce per trascorrere la vita senza fare ciò che desidera, alla fine avrà ceduto alle pressioni del capitale, addomesticando con violenza una passione costretta prima o poi a liberarsi dalle catene della repressione, rivelando in seguito la vera natura dell'aria frustrata con cui si trascineranno cupamente le giornate.In sintesi, essere rivoluzione implica almeno tre importanti, seppur financo banali, condizioni:
1) Formare con pazienza e costanza sé stessi, che è il primo compito che spetta a ogni essere umano autentico;
2) Calare nella realtà il frutto di quella formazione, senza stancarsi di contrastare la tendenza al livellamento conformistico,  è il compito secondario, solo cronologicamente;
3) Infine, avere sempre cari la fatica e il sacrificio, perché nulla ci viene regalato in questa vita e solo chi combatte con energia lascia tracce importanti nella vita comunitaria. 

Quest'ultima, infatti, prosegue unicamente grazie a chi si spende per il suo miglioramento, superando la grettezza individualistica che fa terminare nell' oggi tutti i suoi dissennati sforzi di fuggire la morte con la vanità.
E tu, sei pronto a rivoluzionarti per rivoluzionare, senza tradire mai te stesso?

Nessun commento:

Posta un commento