venerdì 24 settembre 2010

I PALMIPEDONI



Tutta la vita dell'uomo viene determinata dalle domande che si pone e, di conseguenza, dalle tracce che lascia nel suo passaggio, qualunque durata esso abbia.



Nessuna esistenza è identica all'altra. Si somigliano tra di loro alcune esistenze, in certi aspetti universali e, talvolta, in certi piccoli particolari e solo "analogicamente", pertanto, si può cercare di avvicinarsi all'altro, in un movimento reciproco, scandito dalle parole, dai sogni, dalle azioni e dagli sguardi, chiamato "conoscenza". E lo si fa naturalmente, perchè è un piacere farla. Ma con chi?

Ci si accosta davvero all'uomo, al bambino, all'adulto ed al vecchio che si hanno davanti, come ciò che siamo stati, siamo e saremo, per cogliere qualcosa della loro essenza e regalare qualcosa di nostro, avendo a cuore ogni incontro con l'altro, considerato un dono?



Se si guarda un bambino, il soggetto debole dal punto di vista sociale perché privo di garanzie giuridiche richiedibili in modo autonomo, ci si ritiene troppo spesso tanto distanti e segnati dall'esperienza, da credere che non possa che sottomettersi all'autorità dello sguardo adulto. Se si guarda ad un coetaneo a quindici anni, lo si scopre gradualmente mentre cresce e ci si sente uniti da questo esperire delle novità assolute, iniziando solitamente anche a disquisire sui drammi della comunicazione umana, la difficoltà ad esprimere sè stessi, in un mondo adulto di giudizi perentori, condanne lapidarie, pochissimi silenzi e sconfitte radure poetiche.

Se si riosserva una manciata di anni dopo quell'amico, si conosce la disarmante estraneità che nasce in modo definitivo, orientando le strade secondo dei criteri che verranno di continuo ridiscussi. Ci si inizia a staccare dal mondo degli affetti familiare per crearne uno nuovo, una propria famiglia, si sia eterosessuali o meno. Si sente, malgrado si sia scoperta la sua ferocia, l'istinto di compagnia, qualcuno con cui condividere la propria intimità, magari anche solo un carissimo compagno di avventure intellettuali. Un altro punto di vista, un'altra storia. Ma è sempre qualcosa di comune che permette di potersi incontrare e trasformare vicendevolmente.
 Nel frattempo gli adulti che ci guardano come bambini li detestiamo, non curandoci di prendere le distanze e rispettare il patto recitato talvolta come una ribellione molto sagace, che più o meno suona così "io sarò diversa, non avrò mai con i miei figli atteggiamenti che nascono da idiote visioni stereotipate..". A noi non capiterà di sbagliare quando saremo al loro posto. 
Eppure verosimilmente non andrà così, falliremo anche noi, perché è fisiologico, accadrà perché deve accadere, inutile inneggiare atti di protesta contro una segreta legge dell'esistere che è la replicazione.



Se nel turbine di esperienze sentimentali, si riesce a trovare qualcuno con cui ci si sente meglio e si è pronti a salpare verso un nuovo lido chiamato famiglia, la distanza con quelli che erano i compagni più vicini nei mutamenti trascorsi potrebbe ingigantirsi, ma se la coppia è affiatata saprà resistere al pericolo dell'isolamento.
 Se intelligente, non sarà disturbata dal moltiplicarsi degli sguardi che osservano il nucleo che duetta e sopporterà di essere investito dal fascio di luce del giudizio di amici e nemici, più o meno ostile a seconda della disponibilità e la grazia mostrata nel lasciarsi illuminare.



Così la vita scorre tra continue ricerche di contatti e disperanti fratture. Ognuno va verso la sua fine, perdendo tante cose. 
Una lista di priorità significa una lista di fallimenti. Ed accettare che inevitabilmente saranno tali s'impara giorno per giorno, qualcuno non vuole impararlo mai, ma va fatto, proprio per non farsi condurre nella pazzia più totale, che esplode quando i limiti della mortalità si calpestano in nome di una certezza- qualunque tipo essa sia, anche la più nobile- che si ritiene assoluta.



Restare avvolti nella precarietà gustando poco per volta ciò che accade, lasciando che, seppur non colmati, molti sogni condiscano il proprio errare per il mondo, è tremendamente difficile. Ed è un modo di vivere ostinatamente contrario a quello che pare respirato dalla maggior parte del mondo capitalista occidentale, incentrato sul bisogno di produrre ed organizzare la propria esistenza come una fabbrica da cui trarre in modo tayloristico il miglior risultato nel minor tempo possibile, al costo di alienare le singole componenti con motoni lavori che li rendono estranei alla consapevolezza della destinazione del proprio operato meccanico.



Si fa, si dice, si pensa, si guarda. I film del momento ..le canzoni dell'anno..i personaggi pubblici, gli agoni della politica visti in tv, le mode sulle mete turistiche e sulle scarpe..tutto già predeterminato, sottrarsene diventa impossibile. I megastore e la fine delle piccole case editrici, artigianali...pesci piccolini divorati da un gigantesco pescecane chiamato capitalismo, all'inizio americano, ormai globale, nel mare del mercato che è continuamente in tempesta, almeno dalle nostre "fortunate" parti. Quante critiche ci sono state sulla prigionia dell'individuo nel sistema capitalistico e sulla new economy? Troppe. Sono servite a qualcosa? No. Ma cosa ci si aspetta, d'altronde? Quale cambiamento? Un ritorno del sacro? L'ammissione che non sia il solo mondo possibile, né soprattutto "il migliore", come continuano a volerci far credere? 
Quale rivoluzione può essere possibile di fronte a questa situazione indigeribile, che riduce la vita dell'uomo al noto trittico dei csi produci-consuma-crepa?
 E chi è questo "noi" intaccato da questo dilagare di vacuità? 
Perché fa tanta paura l'omologazione? Perché ci si deve ribellare ad essa?
 Si perde davvero la propria anima pensando "come" gli altri? 
L'unica garanzia per tenersela stretta è pensare "contro"gli altri?



Ecco delle possibili alternative che, cronologicamente, potrebbero essere le tappe di un rivoluzionario attuale, afflitto dal dilemma: o me o il mondo.



1) Isolamento esistenziale, socio- culturale :
SCELGO ME, DIALOGANDO CON IL MONDO , SENZA LASCIARE CHE CONOSCA LA MIA VISIONE CHE è IN FORMAZIONE E NON VUOLE ESSERE FRETTOLOSAMENTE SCOLPITA DA GIGANTESCHE STRONZATE.



2) Creazione o apprezzamento, nel caso sorga spontaneamente, di una o più minoranze comunitarie, con cui confrontarsi e progettare diverse strade di resistenza, sulla base di qualcosa di affine (un piccolo gruppo, una famiglia ecc.. l'orchestra comincia a suonare) :
TIMIDAMENTE ESPONGO LA MIA VISIONE, CHE CONTINUA A CRESCERE, CERCANDO COMPAGNI SIMILI CON CUI CONDIVIDERLA E DA CUI TRARRE ULTERIORI NOTE DA INSERIRE NELLA MELODIA DELLA MIA ESISTENZA



3) Passioni antiche da recuperare con modelli "utili" per esortare la società stessa alla rivoluzione, alla resistenza ed al cambiamento, sfruttando gli stessi canali dell'omologazione socio-culturale (internet e cinema) :
 PROPONGO LA VISIONE PERCHè SENTO CHE SE NE AVVERTA LA MANCANZA ANCHE FUORI DAL GRUPPO. 
ABBRACCIO IL MONDO SPERANDO CHE NON MI SOFFOCHI.
 È QUI, IN QUESTA FASE, CHE SI COMMETTONO GLI ERRORI Più GRAVI.
 SI SBAGLIA INTERLOCUTORE E SI EQUIVOCANO LE PREMESSE.
NESSUNO TI STAVA ASPETTANDO, SEI TU, BRUTTO IMBECILLE, CHE SEI VOLUTO ENTRARE E DIRE LA TUA!
IL MONDO AVREBBE VOLENTIERI FATTO A MENO DI TE.
 "NON DISTURBAR CAN CHE MORDE" TI DICE NIENTE?



4) Emigrazione : 
IL MONDO MI HA SOFFOCATO, ORA LO GUARDO SENZA GIUDICARLO, ASPETTANDO CHE MI DIA ANCORA LA FORZA DI CREDERE CHE UN CONTATTO SIA POSSIBILE.



5) Suicidio: 
RINUNCIO AD OGNI FORMA DI CONTATTO. MI INTERROGO PROFONDAMENTE SULLA MIA LIBERTà E, SCOPRENDOLA INESISTENTE SE NON NELL'ATTO DI DIRE UN PROFONDO NO ALLA VITA, SPEZZO IL SUO CORSO, NON CREDENDO CHE SIA RIMESSO AD ALTRI CHE A ME DECIDERE DELLA SUA SORTE.



Ogni giudizio nasce particolare.
È la gigantesca trama di giudizi dati dai singoli a fare da filigrana del grande "giudizio universale" che sarà la Voce del secolo in cui si vive, che chi ci sopravviverà dovrà ascoltare, per farsi un'idea di ciò che accadeva prima sulla terra. 
Ma il giudizio complessivo, quell'orchestra suonata dalla grande umanità, non può in alcun modo conoscersi interamente.
 Diventa però più facile esprimerlo se si fa monocorde, ben codificabile perché identico in molte teste.
È la piattezza, dunque, che viene lanciata oggi contro un giudizio universale,divino, che invece sa essere "universale", pronunciato con esattezza inoppugnabile intorno a tutti, ma mantenendo l'unicità di ogni singola voce.
 Il giudizio Universale ermeneutico, insomma, emesso da bocca divina, con la quale forse qualcuno entra già in contatto vivendo in una "sfera ermeneutica".
 Si creda o meno all'esistenza di tale giudizio, lo si prenda pure soltanto come un ideale, questo scarto tra il giudizio- e dunque la giustizia degli uomini- ed il Giudizio Universale, ossia la Giustizia divina, non potrà mai essere colmato. 
Ma chiunque giudicasse dovrebbe tendere a dare giudizi impeccabili, come Dio. 
Proprio perchè il giudizio è una cosa molto seria, da cui derivano le punizioni e i giusti onori, la miseria dell'esilio o la beata amicizia.


La gigantesca operazione di livellamento che mira ad un giudizio standardizzato nel nostro tempo è stata portata avanti nell'ultimo secolo e mezzo grazie alla tecnologia. L'entropia delle opinioni è stata indirizzata e soffocata in un apparente ordine che ferisce qualunque persona viva oggi, ne sia consapevole o meno.


Non c'è spazio, apparentemente,per le ricerche singole, personali, appassionate. Pensare "come" o "contro" ciò che sostiene la massa diventa comunque un modo per venire intrappolati dalla massa stessa.

 Se ti esprimi, finisci anche tu nel calderone. Perché per esprimerti devi ricorrere al linguaggio anche tu, non hai scampo.
 Non importa ciò che pensi.
 Appena lo pensi, ricorri alle parole, alle immagini, a certi silenzi che affiderai, volente o nolente, all'altrui comunicazione.
 Falsare quel senso, appropriarsene indebitamente, manipolarlo o ignorarlo quando invece occorrerebbe prestare ad esso molta attenzione, non è una minaccia ordita dai nostri tempi distratti, profani e troppo liquidi. Da sempre è accaduto e per sempre accadrà. 
È l'emblema della tragedia che rimane la comunicazione tra gli uomini, che si avvale di riconoscimento o mancato riconoscimento e si fa, negli anni, sempre più spietata e sempre meno pietosa, procedendo in maniera inesorabile alla stregua del comportamento scientifico, non "divino".
 Si cercano universali, formule, cocci di somiglianze che bastano per potere andare avanti, senza nessun rispetto assoluto per l'irriducibilità delle forme espressive dell'altro e, soprattutto, senza accettare la sua volontà di sottrarsi all'indemoniata piovra che afferra con i suoi tentacoli ogni suo dire e pensare, rovinandogli la vita in un caos di tracce mal interpretate che entra nelle teste di chi lo legittima o lo delegittima in modo continuamente inadeguato ed inappropriato. Persino i delinquenti hanno nella loro perversione colpito qualcosa di vero: l'ossessione per l'intercettazione è patologica. Bisogna prendere delle misure per poter allontanare questa malattia.


Ma se gli interessati al consenso imbavagliano l'informazione solo per non rispondere dei propri illeciti intrighi e delle criminali azioni, così da creare un'immagine seducente del loro operato, ovviamente il rifiuto del riconoscimento in chi non ha e non vuole avere a che fare con il "potere" se non come un semplice cittadino nasce da altro genere di riflessioni. E la differenza è tangibile nei suoi effetti.



Il primo continua a parlare, il secondo tace. Il primo ritiene di essere il giudizio universale, il secondo lo aspetta nostalgicamente ed osserva silenzioso i giudizi particolari di ciascuno, provando profonda pietà.



Non c'è, infatti, nessuno specchio che basti a riflettere le proprie idee, i propri gesti, i propri umori...ognuno ne ha milioni. E non ne ha, di fatto, nessuno. 
Per impedire, allora, che banali e mortificanti operazioni di reificazione si operino sull'uomo, questi non ha altra scelta che la rinuncia-illusoria- al farsi riconoscere, applicando in proprio la stessa condotta,ossia la non emissione di alcun giudizio. 

Questo vuol dire farsi simili a piante o a muti pesci, forse, ma è ciò che preserva dal farsi aggredire insistentemente dai giudizi altrui. 

Rendersi invisibili e muti, depotenziare i sensi, non volere sapere troppo, non voler sentire troppo.
 Ecco qui, benservito, l'attuale uomo post-moderno, il colto astenico che, come il palmipedone di Alice di Walt Disney, cancella le tracce e non vuole essere calpestato.



Ma cosa accade laddove cotanta sensibilità non è stata sviluppata?
 Come viene recepito il palmipedone del ventunesimo secolo? 
 Vediamo un po'.



Chi voglia difendere la sua unicità, il diritto a pensare come vuole pensare, viene definito, prima di essere etichettato come psicopatico, come un originale, graffiante critico, un pericoloso guastafeste, in sintesi, generatore di guai. 
Le opinioni formate pazientemente in dialogo con la sua tradizione e nel confronto con quelle di altri luoghi e tempi della storia (fase 1), si condensano in una visione variegata che tenterà di fare entrare in circolo con piccoli gruppi comunitari, dove si può respirare libertà di espressione e dove sacro e profano entrano in un'originale, benefica dialettica che allarga le menti di chi partecipa alle straordinarie conversazioni che fondano queste piccole comunità (fase due). 
Gradualmente potranno nascere impennate retoriche di coinvolgimento pubblico, per effettuare il passaggio dalla comunità alla società (fase tre). 
A questo, che già ho segnalato essere un colossale errore, ma che purtroppo mi riguarda, seguiranno movimenti di opposizione interni al suo pensare che lo condurranno ad una nuova fase di distacco, fisico o mentale(trasferimento in nuove terre, esplorazione vorace di luoghi nella letteratura,nel teatro, nel film e depressione, fase quattro).



A questo punto, lo slittamento nel suicidio, in questa assurda pretesa di elencare delle esperienze di vita assoggettandole ad una volontà deficiente di mostrare i paradossi del nostro tempo, potrebbe essere una via di fuga o una salvezza per colui che non trova più nessuno stimolo né nella comunità né nella società per sentirsi vivo, felice e ricco di sogni com'era da ragazzo, al punto da non ricordare più quanto la compagnia, per quanto necessaria, vitale, il succo dell'esistenza essa sia, non esaurisca affatto- e lo sa bene- la forma e la sostanza dello stile con cui ci si possa tuffare e navigare nell'esistenza.



Potremmo elencare anche il misticismo o la clausura in qualche eremo lontano dalle chiacchiere umane, a contatto con la natura, sempre immaginando il protagonista di questa vita un uomo con disponibilità economica tale da concedersi questi lussi.



Perché tutto questo discorso si fonda su una colossale cazzata. 
La rimozione del procacciamento dei beni come attività fondamentale che regge lo scambio tra uomini.



Il regime capitalista l'ha esacerbato, rendendo il consumo qualcosa di ontologico, che riguarda l'arte, la cultura e persino i sentimenti. Ma è umano, ancestrale, necessario andare avanti mangiando e cercando di cosa mangiare, come campare per arrivare a soddisfare i propri istinti fisiologici e concedersi qualche "premio" per la fatica impiegata.



Nelle altre società questi premi erano solo per pochi privilegiati, per i ricchi padroni di terre, per i nobili o coloro che si distinguevano in battaglia. 
Gli altri erano tutti morti di fame, costretti a lavorare su commissione e diventare magari celebri nei secoli a venire per le loro opere, dalle quali non avevano tratto in vita alcuna fortuna reale.



È il mito del successo ciò che più ha reso questo mondo differente ed inconciliabile con i precedenti!
 La mancata distinzione tra fama conquistata per merito ed il successo materiale, tutta quella ricchezza che deriva unicamente dall'inserirsi in qualche circuito che gonfi il portafoglio meccanicamente, senza richiedere all'individuo alcuno sforzo mentale, alcuna capacità sostanziale, nessuna inventiva e creatività così eccelse...e che viene poi esibita attraverso determinati oggetti, livellando in nome della volgarità gran parte della società occidentale...questo è ciò che accomuna gran parte della borghesia e non solo, del mondo odierno. 
Un esteso gruppo di persone di tutte le età e religioni, che vive osservando attenta il proprio reddito e poco il bilancio del suo cuore.



Ci sono i ricchissimi, certo, che possono effettivamente avere avuto fortuna nel mondo commerciale e spiccano come stelle, intorno alle cui vicende sentimentali discettare dal parrucchiere, perché conosciuti da tutti ed immortalati da centinaia di paparazzi. La brutta sorte dei vip, la conosciamo bene. il personaggio che oscura la persona e blablabla.



Ma c 'è anche una categoria estesa di persone che vive quello della ricchezza come un mito e fa sogni come quelli dei miliardari, concependo le vacanze, il turismo e diversi lussi, quali i massaggi e le palestre, come qualcosa di "dato", che fa parte del proprio vivere e rappresenta una risorsa indispensabile per affrontare la ripetitività delle giornate trascorse a lavorare e mandare avanti la baracca.



Tutte queste cose il palmipedone le conosce bene. Le ha irrise, derise e poi vissute in prima persona. Non vuole mostrarsi più ingrato per le strabilianti opportunità offerte dalla sua epoca e godrà quanto basta di ciò che può garantirgli un equilibrio psico-fisico tale da piacersi, piacere a chi ama e sostenere le sue ricerche personali, silenziose, rispettose del "dovere".



Ma è il COME vivere che rende la sua esistenza unica, la sola strada differente al suicidio in quell'improbabile elenco di cui sopra, che descrive necessariamente un conflitto... provate a vivere voi nel duemilaedieci, signori miei!



Il nostro rivoluzionario intende proseguire il suo cammino senza lasciare traccia, nè luccicante, né mediamente luminosa.

 Anticipare l'oblio senza morire, è precisamente questo che fa il palmipedone. Ha colto bene come il "lavoro" sia indispensabile e, qualunque genere di lavoro gli capiti tra le mani, così difficile da ottenere, lo svolge senza lamentarsi, ma senza nemmeno volere eccellere in cerca di apprezzamenti. 
Gli importa soltanto che venga pagato per mangiare, dar da mangiare ai suoi figli e comprare per sè qualche libro,concedersi qualche film e qualche viaggio, da fare da solo o con la sua famiglia. 
Ha un equilibrio che pare noioso a chiunque, ma che è frutto di anni interi di rielaborazioni di esperienze importanti e fondamentali. Non cambierà ancora, ormai è questa la forma che ha scelto. E dovete ammettere che è una fortuna.
 Il processo delle quattro fasi che precedono il suicidio, infatti, lui l'ha gustato per bene, poteva andargli peggio. 
Alla fine ha anche profondamente disperato, come voleva Kierkegaard, accettando così totalmente l'etico, ma senza mai rinunciare del tutto all'estetico.
 Solo che è riuscito a fabbricarsi una maschera speciale,che lo rende un essere umano qualunque per tutti, un genio sofisticato soltanto per sé stessa/o, in dialogo perpetuo con il divino che si preoccupa di vedere ed ascoltare nascere e morire intorno a sé, nella sua vita che resta per gli altri, ma indipendente da ciascuno di loro. 
Rifiuta che tutta la nobiltà e sacralità che abitano in lei/ lui vengano sottoposte ai giudizi di chi la/lo circonda. Non si lascia intercettare. Offre come merce unicamente lavoro manuale e commerciale, ma né l'arte né i pensieri socio-politici né le poesie d'amore nè quelle in cerca di Dio -così come i suoi diari appassionati e le sue brillanti riflessioni sul linguaggio, le idee, la filosofia e la retorica- entreranno mai nel circuito capitalista. E probabilmente nemmeno in quello accademico della fase due.



Questa è la sua decisione. 
Non lasciare alcuna traccia ad un mondo che ha abitato intensamente ma sa benissimo non avrà affatto mai alcuna possibilità di comprenderlo. Ha osservato, guardato acutamente ed approfonditamente tante cose. Molte sono state fondamentali nei legami creati, tanti conservano una stima inenarrabile di questo individuo che vedono ormai muto, eternamente corrucciato, ospite freddo nelle cene poco chiassose a casa ed asettico nei commenti lasciati all'uscita dal cinema e durante i tanti concerti e le mostre, che era così piacevole condividere con lui. Fino a qualche tempo addietro, prima che diventasse quello che ha scelto di essere.
 Un essere umano che appare senza nessun brio e vivacità che, pure, lo resero unico un tempo, diventando gli scivoli del suo ingresso nelle comunità e nella società.



Quel "peccato che si sia ridotto così" sale alla bocca dei suoi amici più cari che, preoccupati, chiedono al coniuge come stia. Ma lei/lui stesso ha più volte sottolineato quanto la depressione sia svanita e la sua serenità definitiva si rinnoverà nel segno di questa condotta molto civile, educata, del tutto incolore soltanto per gli altri. I colori affolleranno sempre la sua anima. E lei/lui, senza tentare di raccontarli nelle loro sfumature, prenderà parte allo stare insieme, ma non sarà né una buona né una cattiva compagnia, sarà semplicemente presente, con il suo nulla, la sua angoscia e tutta la sua gioia stiracchiate nel ventre, incapsulate a dovere, pronte ad esplodere nelle solitarie discussioni di cui nessuno potrà avere memoria.



Non dovete aspettarvi niente dai palmipedoni. 
Sarebbero proprio coloro in grado di salvare il mondo con la lucidità, l'ironia e la grande capacità di collegare eventi che i più non riescono o non vogliono vedere correlati, ed in grado di disunire ciò che a molti appare costitutivamente tutto d'un pezzo e da venerare acriticamente. 
Purtroppo per l'umanità, non lasceranno alcuna traccia della loro magnifica intelligenza. E non agiranno mai per un "bene comune", di cui hanno riconosciuto l'impraticabilità. Non si lasceranno in alcuna maniera schedare, imbrigliare, infliggere atroci ferite da un'etichetta, ma sgusceranno fino all'ultimo respiro da ogni vostra labile opinione intorno al loro essere e pensare, al fianco del quale, pure, si sono posizionati.

 Non potrete chiamarli neppure asociali, perché ci saranno. Sarà la consapevolezza delle loro origini così energiche ed elettrizzanti che tormenterà magari qualche loro contemporaneo, ma poi, perduta anche quella, i palmipedoni avranno vinto nel disegno orchestrato dalle loro più insane cellule cerebrali, non lasciando davvero più nessun ricordo colorato del loro esistere, ma solo una pallida lastra di marmo con una data ed un nome, di cui nessuno sentirà più parlare.



Avevano un solo bene da difendere. E fino alla fine hanno lottato perché non venisse in alcun modo perduto.

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