venerdì 28 agosto 2009

Altro ricordo di fb.."com'è cominciata.."

http://www.youtube.com/watch?v=3OlQ762Qh-A
26 gennaio 1994, discorso a reti unificate di Silvio Berlusconi sulla sua discesa in campo.


L’Italia è il Paese che amo, qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato da mio padre e dalla vita il mio mestiere di imprenditore. Qui ho anche appreso la passione per la libertà. Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare. Per poter compiere questa nuova scelta di vita ho rassegnato oggi stesso le mie dimissioni da ogni carica sociale nel gruppo che ho fondato. Rinuncio dunque al mio ruolo di editore e di imprenditore per mettere la mia esperienza e tutto il mio impegno a disposizione di una battaglia in cui credo con assoluta convinzione e con la più grande fermezza.
So quel che non voglio. Insieme con i molti italiani che mi hanno dato la loro fiducia so anche quello che voglio. E ho anche la ragionevole speranza di riuscire a realizzarlo in sincera e leale alleanza con tutte le forze liberali e democratiche che sentono il dovere civile di offrire al Paese un’alternativa credibile al governo delle sinistre e dei comunisti.
La vecchia classe politica italiana è stata travolta dai fatti e superata dai tempi. L’autoaffondamento dei vecchi governanti, schiacciati dal peso del debito pubblico e dal sistema di finanziamento illegale dei partiti lascia il paese impreparato e incerto nel momento difficile del rinnovamento del passaggio ad una nuova repubblica. Mai come in questo momento l’Italia , che giustamente diffida di profeti e salvatori, ha bisogno di persone con la testa sulle spalle e di esperienza consolidata, creative ed innovative, capaci di darle una mano di far funzionare lo Stato. Il movimento referendario ha condotto alla scelta popolare di un nuovo sistema di elezione del Parlamento. Ma affinché il nuovo sistema funzioni è indispensabile che al cartello delle sinistre si opponga un polo delle libertà che sia capace di attrarre in sé il meglio di un Paese pulito, ragionevole, moderno. Di questo polo delle libertà dovranno far parte tutte le forze che si richiamano ai principi fondamentali delle democrazie occidentali, a partire da quel mondo cattolico, che ha generosamente contribuito all’ultimo cinquantennio della nostra storia unitaria. L’importante è saper proporre gli stessi obiettivi che hanno fin qui consentito lo sviluppo in tutte le democrazie occidentali, quegli obiettivi e quei valori che invece non hanno mai trovato piena cittadinanza in nessuno dei paesi governati dai vecchi apparati comunisti per quanto riverniciati e riciclati. Né si vede come a questa regola elementare potrebbe far eccezione soltanto l’Italia. Gli orfani e i nostalgici del comunismo, infatti, non sono soltanto impreparati al governo del Paese. Portano con sé un retaggio ideologico che stride e fa a pugni con l’esigenza di un’amministrazione liberale e liberista in economia.… le nostre sinistre pretendono di essere cambiate, dicono di essere diventate liberaldemocratiche, ma non è vero. I loro uomini, i loro più profondi convincimenti, i loro comportamenti sono rimasti gli stessi. Non credono nel mercato, non credono nell’iniziativa privata, non credono nel profitto, non credono nell’individuo. Non credono che il mondo possa migliorare attraverso l’apporto libero di tante persone tutte diverse l’una dall’altra.
Non sono cambiati. Ascoltateli parlare, guardate i loro telegiornali pagati dallo Stato, leggete la loro stampa. Non credono più in niente. Vorrebbero trasformare il paese in una piazza urlante che grida, che inveisce, che condanna. Per questo siamo costretti a contrapporci a loro. Perché noi crediamo nell’individuo, nella famiglia, nell’impresa, nella competizione, nello sviluppo, nell’efficienza, nel mercato libero e nella solidarietà figlia della giustizia e della libertà. Se ho deciso di scendere in campo con un nuovo movimento e se ora chiedo di scendere in campo anche a voi, a tutti voi, ora, subito, prima che sia troppo tardi è perché sogno a occhi bene aperti una società libera di donne e di uomini dove non ci sia la paura, dove al posto dell’ invidia sociale e dell’odio di classe stiano la generosità, la dedizione, la solidarietà, l’amore per il lavoro, la tolleranza e il rispetto per la vita. Il movimento politico che vi propongo si chiama non a caso forza italia.
Ciò che vogliamo farne è una libera organizzazione di elettrici ed elettori di tipo totalmente nuovo. Non l’ennesimo partito o l’ennesima fazione che nasce per dividere, ma una forza che nasce con un obiettivo opposto: quello di unire, per dare all’Italia una maggioranza e un governo all’altezza delle esigenze più profondamente sentite dalla gente comune.
Ciò che vogliamo offrire agli italiani è una forza politica fatta di uomini totalmente nuovi. Ciò che vogliamo offrire alla Nazione è un programma di governo fatto solo di impegni concreti e comprensibili.
Noi vogliamo rinnovare la società italiana. Noi vogliamo dare sostegno e fiducia a chi crea occupazione e benessere. Noi vogliamo accettare e vincere le grandi sfide produttive e tecnologiche dell’Europa e del mondo moderno. Noi vogliamo offrire spazio a chiunque ha voglia di fare e di costruire il proprio futuro, al Nord come al Sud.
Vogliamo un Governo e una maggioranza parlamentare che sappiano dare dignità al nucleo originario di ogni società: la famiglia; che sappiano rispettare ogni fede e che suscitino ragionevoli speranze (non esagerate!)per dare per chi è più debole, per chi cerca lavoro, per chi ha bisogno di cure, per chi dopo una vita operosa ha diritto di vivere in serenità. Un governo e una maggioranza che portino più attenzione e rispetto all’ambiente, che sappiano opporsi con la massima determinazione alla criminalità, alla corruzione, alla droga. Che sappiano garantire ai cittadini più sicurezza, più ordine e più efficienza.
La storia d’Italia, la nostra storia è a una svolta.
Da imprenditore, da cittadino e ora da cittadino che scende in campo, senza nessuna timidezza-avrebbe dovuto dire senza pudore-, ma con la determinazione e la serenità che la vita mi ha insegnato vi dico che è possibile farla finita con una politica di chiacchiere incomprensibili, di stupide baruffe e di politicanti senza mestiere. Vi dico che è possibile realizzare insieme un grande sogno, quello di un’Italia più giusta, più generosa verso chi ha bisogno, più prospera e serena, più moderna ed efficiente, che sia protagonista in Europa e nel mondo.
Vi dico che possiamo, vi dico che dobbiamo costruire insieme per noi e per i nostri figli un nuovo miracolo italiano.

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Certo che è impressionante. La storia è così poco eticamente corretta da servire i kairoi- i rari momenti opportuni- a chi li utilizza in un modo indecoroso.
Non aveva niente in mente. Ciò che qui annuncia a reti unificate è un impasto di formulette insulse, inneggianti valori largamente condivisi e che sono il modo più efficace per comunicare con masse intontite dallo shock di aver visto ammanettati i governanti, le cui mani, da allora, non hanno smesso di dover essere controllate nella loro pulizia, nemmeno si trattasse di bambini che mamme affannate esortano a passare dal bagno prima di sedersi a tavola.
Berlusconi non è più intelligente, non è più furbo di nessuno. Molto ambiguo resta il riferimento alla esperienza. Pensa che dirigere le imprese sia equivalente, tutto sommato, al governare un paese.
Non si pretende che tutti conoscano la repubblica platonica ed il peso fondamentale che la politica assume nella visione greca che,in qualche modo, è filtrata nella tradizione occidentale.
Lui vuole essere uomo nuovo, in ogni caso. Recidere per sempre una corroborata tradizione, ed il nuovo attrae in modo molto più perentorio di ciò che persiste da sempre e su cui, al seducente confronto con chi inneggia ai miracoli, inizia a calare un’ombra di vecchiaia, un sapore stantio, un senso di morte, quasi, al punto che progressivamente ci si ritrova a vivere con nemmeno un minimo di scrupolo il congedo da esso .
Questo è ciò che è accaduto.
Le belle cose promesse dal governo Berlusconi reiteratamente in questi 15 anni avrebbero dovuto essere il portato di un paese incentrato sul valore assoluto della ricchezza. Solo questa, nella visione berlusconiana, rende l’uomo e la donna felici. E visibili, degni di essere rappresentati e potersi, perciò, lamentare per le fastidiose ingerenze dei “diversi”, responsabili di tutti gli scompigli, piccoli e grandi, che le cronache di Silvio si affannano in tutti i modi per mostrare come prove certe dell’imprescindibile confine esistente tra da una parte l’”italiano” e l’”italiana”, sessualmente iperattivo l’uno e velina, pupetta, l’altra, puliti e dal cuore d’oro, ed il clandestino, brutto, sporco e cattivo dall’altra.
Dove, dove la cultura, la diffusione di conoscenza, l’appoggio alla ricerca, al ridare speranza ai sofferenti, che se fame sempre avranno, potranno cercare di consolarsi con miriadi di stimoli diversi che molti italiani, se supportati e non indotti a considerarsi emarginati ed inutili, sarebbero capaci di dar loro? Che paese sognava e sogna, Berlusconi? Che percezione ne aveva?
È entrato nella nostra vita solo perché doveva salvarsi il culo. Doveva cercare un escamotage per risparmiarsi la galera, e riempire la bocca di un po’ di demagogia deve essergli parsa la scelta strategicamente più efficace, per riuscire non solo a mettersi al riparo dalla perdita della libertà, da lui inneggiata, ma anche per rendere ancora più consistente l’aura mitica che la sua megalomania insana gli cuciva intorno già dai tempi di milano due.
Equivale a perdere tempo destrutturare questa figura. La voglio utilizzare brutalmente solo come esempio efficace delle regole del marketing applicate a discorsi che condividono con quelli dei filosofi il terreno dell’invisibilità, dell’idealità, permettendo così la proliferazione di mirabolanti promesse dietro cui si nasconde solamente un disperato bisogno di fuga dal fare i conti con la giustizia. Un uomo che nella legge non ha riposto la benchè minima fede sacrale, con quale pretesa va a parlare ad un Paese disorientato, annunciando di volerne prendere in mano le redini? Non è che si presenti come esempio integerrimo di correttezza, di legalità, di professionalità. Lui avanza i criteri dell’esperienza imprenditoriale come appigli su cui poter costruire un’adeguata opera di risanamento dell’economia italiana, giunta al collasso, dal momento che i “comunisti” restano attaccati ad idee giurassiche, sconfitte dai tempi, riassumibili nell’assenza di fiducia nel progresso affidato al gioco del libero mercato, senza citare la sostanziale fiducia, riposta da sempre dalla sinistra, nella potenziale crescita del paese, solo a patto di una profonda opera di conversione culturale e umanista, venendo prima la collettività, prima i bisognosi, rispetto a chi ha già la fortuna di avere, di potere, di apparire. Gli uomini di sinistra hanno fallito, è vero, raccogliendo con la crisi del governo Prodi una delusione fortissima, sicchè non è rimasto che contenere le lacrime e la paura, reinventandosi faticosamente.
Ma d’altronde non potevano far nulla non solo perché maggioranza instabilissima, non per Mastella, non per la porcata di legge elettorale… la continuità non era sostenuta in ogni caso dagli italiani, incantati da Grillo e di scarsa memoria riguardo l’origine di quei sacrifici. E questo è naturale, perché questi vergognosi sibili berlusconiani hanno toccato i cuori di molte persone, della maggioranza di questo paese arido, superficiale, attratto dal vago brillare di pochi momenti di gloria, sedotto dall’abbondanza, come un paese uscito dalla guerra, affamatissimo e volenteroso solo nel soddisfare le voglie basse. Come non mirare a sé stessi, come immaginare che i propri sforzi fossero tesi ad un miglioramento nazionale?

Durante il governo Prodi, tanti hanno sofferto, non riuscendo ad arrivare a fine mese e non potendo tollerare il resistere della sperequazione nella classe dominante, differenza che Grillo si preoccupava di sorvegliare, alimentando lo sdegno e il disprezzo per questa classe politica. Non la magnifico. Ma avevo creduto potesse opporsi a Berlusconi, finchè avevo anch’io poi ceduto, la soglia di attenzione era diminuita, e raccoglievo malesseri vari di chi lavorava mentre io studiavo, e aveva dunque una percezione più netta della penalizzazione subita.Vi ricordate l’infelice frase di Padoa Schioppa sulla bellezza del pagare le tasse? Brutto o bello che sia, è odioso quando le tasse sono ingiuste. E tali non erano affatto, secondo me, quelle del governo Prodi, deciso a risollevare il Paese da una situazione disastrosa, esigendo il contributo di tutti. Si appellava, forse, a qualcosa di sempre più vago oggi, un senso di “italianità” che non era fondato sulla ricchezza, ma sull’appartenenza ad un territorio che, per quanto frammentario sia, per quante profonde differenze conosca, è comunque stato unito dalla lotta contro il fascismo per diventare una repubblica democratica. C’è qualcuno che se lo ricorda ancora?
Nessuno volle pensare queste cose allora. Ed è stato un crescendo dell’amore degli italiani per questo ometto, che avrebbe saputo intuire bene quanto avevano sofferto la spremitura fiscale, dando loro ciò che più avrebbero voluto. Poveretto.. c’è stata- e c'è- la crisi, ma ancora i suoi innumerevoli fedeli, pur avendo visto necessariamente poche mirabolanti promesse avverarsi, continuano a dar retta alle parole del presidente, perchè rassicuranti, anche se forse non più capaci come un tempo di far sognare una vita lussuosa, con camice di seta, giacche leopardate, vacanze in lontani atolli, cocaina e macchinone…
Non voglio affatto parlare del suo privato, di Veronica, Noemi e via dicendo. Se Berlusconi è incontrollabile nel suo populismo è perché ha lasciato che si iniettasse nella stragrande maggioranza della popolazione un relativismo totale sul piano dei “valori”ed un’adesione esclusiva a ciò che è tangibile, produce ricchezza, garantisce successo e, per questo, immortalità. Non si può arginare questo vomito perché non è che l’esasperazione di una visione del capitalismo disinteressata del tutto a far circolare il denaro per ampliare indefinitamente le possibilità di miglioramento dei non ricchissimi. . Si può solo sedare l’amarezza e andare avanti sforzandosi di seminare consapevolezza tra chi è giovane e ancora non ha il cuore ed il cervello contaminati da queste merdose concezioni, mortificanti la natura dell’uomo? Forse. Ma si può soprattutto incominciare a pensare in grande, a come si potrebbe concepire un sistema economico-politico oggi che sappia restare etico, elastico, capace di confrontarsi con l’estraneo per riconoscerlo proprio e di lottare perché l’estraneità presente nel proprio sia creduta una ferita, che brucia certamente, ma che solo cercando strade alternative all’alienazione può rimarginarsi.

Da 15 anni viviamo sopportando le insolenze di questo burattinaio pietoso, e se oggi mi chiedevo ancora affannosamente cosa possiamo fare, ora cerco di tirare in ballo un po’ di filo-filosofia per tentare di astrarmi dalla mia pena e restringere il problema ad uno, che da sempre mi angoscia: la verità della parola.
Gli uomini che vogliono dire la verità, li chiamerò perciò, ingenuamente, “filosofi”, non possono smascherare il sofista- colui che imbroglia e parla solo per persuadere, disinteressato del tutto alla verità-, seguendo il principio di non contraddizione aristotelico (tale per cui la coerenza dell’espressione esige altrettanta coerenza nei comportamenti...).
Non possono cioè dirgli “eh, bello mio, ma qui tu hai dichiarato questo e poi ti sei comportato così!”. Non possono farlo perché ormai ha vinto la parola, il segno scritto o sentito pronunciare in un video su fb o in televisione..una parola onnipotente, che vuole ogni cosa e si insinua in ogni momento della giornata ovunque, senza pretendere che ad essa consegua un’azione. Si può promettere tutto, rinnegare l’origine e smentire le conclusioni..non è richiesta nessunissima attendibilità al nostro dire. La parola è. E ciò che va oltre essa non ha alcun peso effettivo.
Anche chi si proclama filosofo e si impegna una vita nella ricerca di precarie conoscenze con spirito un pò faustiano - perchè, pur avendo magari tentato spesso di soffocarlo, ogni uomo che cerca credo ne rimanga ghignante vittima-, anche chi si spende nell’insegnamento della limitatezza ed irrequieto, spesso stanco di cercare, ma incapace di mettere un freno alla speranza di incontrare verità, ebbene anche costui partecipa insieme al sofista al grande gioco linguistico che si compie nel mondo.
È un gioco le cui regole non possiamo pensare siano stabilite da noi. E così chi vince? Chi ha potere. Ma per chi “vince”?
La beffa di non vantare un premio come succede a chi si gonfia di parole vuote incantando poveri ingenui è una beffa apparente. Direi sia una beata beffa di chi non ha alcun timore di mantenersi sull’orlo costante della crisi, perché non ha la pretesa di vincere la gara.
Le sole preoccupazioni dei “filosofi” si rivolgono alla sorte di coloro che rinunciano alla critica, restando ammaliati da chi potrebbe strumentalizzarli per guadagnare più potere. Questo è il senso di impotenza più difficile da tollerare. Anche nello sforzarsi di seminare consapevolezza, infatti, non è possibile manipolare le coscienze e necessario diventa accettare la scommessa che si insinui un kairòs fecondo per coloro che ancora non vogliono comprendere la differenza tra chi cerca verità e giustizia e chi si pronuncia intorno ad esse con la sicumera di possederle in tasca e poterne disporre a piacimento (sebbene capiti che ricorra alle stesse identiche ammissioni di prudenza e precarietà che l’altro vive con tormento.).

La parola ha oscurato la verità. È sempre accaduto e accade oggi, ma la percezione che se ne ha è centuplicata perché le informazioni attraverso cui smascherare questi giochetti sono infinite e chi sa ancora resistere nell’arduo tentativo di “distinguere” il vero dal falso si trova immerso in quintali di segni che lo scoraggiano, spesso lo nauseano, talvolta lo ammalano.

Perché? Perché si sgomenta un filosofo (ancor più, forse, se di "sinistra"..lo rende più "sinistro"..) di ciò che si compie intorno a lui e non rinuncia a farsi il sangue marcio, pensando unicamente a sé? Perché si trova in una società che in quell’oscurarsi della verità è cresciuta felice e si sente angosciato-a dal timore che prima o poi dovrà piegarsi anche lui-lei?

Non se cerca la verità della parola, certo/a che non sia mai in questa che la verità si esaurisca, perché ci sono visioni intere dell’uomo, del mondo, del tempo e dello spazio che si articolano parlando, leggendo e scrivendo, ma non si esauriranno mai nel fiato, nè nella traccia lasciata o assorbita, né nel pensiero.

Perché diventano parole agenti, che trasformano chi ci CREDE in modo radicale, lasciando che la sua testa sia sempre libera di dire no alle tantissime, stereoscopiche cazzate in cui vive immerso/a.

Perché, forse- è elementare ma non fino a che non ci si sbatta più volte la testa- solo laddove c’è verità della parola c’è anche giustizia.
Cerchiamo la verità della parola, amici virtuali e reali miei, anche se equivale a massacrarsi e non piacere alla maggior parte delle persone che abbiamo intorno e che, comunque, vanno rispettate ed apprezzate per altre qualità. Bene e male si immischiano in ciascuno di noi..la tensione all'unità è permanente... ma qui, in questo momento storico di imbambolamento collettivo, riuscire a non franare sembra più difficile che mai e non possiamo permettere al nostro essere, volenti o nolenti, elementi "sociali" di farci vivere continue morti a stento.

C'è sempre un varco..cerchiamo ciascuno il proprio, cambiandolo ogni volta che si consuma, senza mai annientarci definitivamente sotto il peso di malattie mentali- occidentali, troppo occidentali...- da accettare, comprendere e rimuovere, innamorandosi oltre ogni misura della bellezza, della pienezza, della giustizia che ancora e sempre ci sarà concesso scrutare e condividere.
Resistere!

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