domenica 30 agosto 2009

Altri perchè del progetto

L'avevo scritto qualche tempo fa ma l'ho ritrovato solo adesso.

La nostra sola giustificazione, se ne abbiamo una, è di parlare in nome di tutti coloro che non possono farlo. (Camus)

Solo chi ha il coraggio di essere assolutamente negativo ha la forza di creare ciò che è nuovo. (L. Feuerbach)


Le ragioni di questo progetto.


Una buona parte dell’estate mi sono interrogata a lungo sul rapporto tra luogo e “coscienza”. Che dire.. "L’uomo, per il semplice fatto di essere uomo, di aver coscienza di sé, è , in confronto all’asino o al granchio, un animale malato. La coscienza è malattia." Miguel de Unamuno, Del sentimento tragico della vita.

O ancora "La coscienza è soltanto una parola che sogliono usare i vigliacchi, ed è stata inventata apposta per tenere in soggezione i forti." Shakespeare, Riccardo III, Atto V, Scena III (Re Riccardo)...
E non citiamo Nietzsche.

Sia quel che sia, solo nella natura riesco a sentirmi bene, come accade probabilmente a tutti.
Cosa c’è oltre me? Cosa c’è oltre il ritmo delle mie giornate, i doveri del "capo", le preoccupazioni derivanti dalla situazione politica odierna, le nevrastenie generate dal rapporto con il mio corpo e con il mio cuore, la dolcezza e la tristezza che scaturiscono dalle interazioni con i miei amabili amici, la difficoltà continua del sapersi mettere a disposizione del partner (quando lo si ha) indovinando in che momento di apertura effettivo egli o lei possa essere per tentare di andare al di là della mia visibilità?
La natura e il divino, “certamente”(di certo la prima, del resto non saprei..).
Ciò che noi chiamiamo natura è un poema chiuso in caratteri misteriosi e mirabili. (Schelling)

Ma ci sono altri uomini. Li conosciamo? No, ovviamente non si diventa amici di molte persone nella vita.
Eppure siamo una città. Vuol dire qualcosa?
Nient'altro che non sia il fatto che abitiamo in un tempo coevo la stessa terra, immagino. Alcuni di passaggio, altri a lungo. Non moriremo forse qui, non avremo figli da crescere nelle nostre scuole palermitane, non lo sappiamo.
Ma siamo tutti, momentaneamente o meno, palermitani.
Può essere tutto e nulla e ho scarsamente in passato creduto importante tutelare l’appartenenza ad un luogo, credendo nel cosmopolitismo al punto da non introiettare nemmeno un po’ dell’essere palermitani, se non in forma molto inconsapevole ( e che ora vorrei diventasse consapevole).

Ho fatto il Garibaldi. Una visione limitatissima di cosa voglia dire la realtà cittadina, una porzione nettamente privilegiata e sempre più disinteressata a sentirsi solidale con le minoranze se non per darsi un tono da radical chic. Questo è stato per me l’essere garibaldina alla fine degli anni ’90. Un’esperienza diametralmente opposta a quella fatta dai miei genitori, ma mia. Ed è stato poi soltanto colpa mia chiudermi in me stessa e non comprendere, al di là della letteratura e dei film, manifestazioni, qualche dibattito e via dicendo, cosa sia ciò che è al di là del borghese.

Fratture radicali le ho sognate in solitudine e tradotte in sceneggiature varie mai completate, ma a che cosa è servito se non ad aumentare il mio narcisismo?

Questo è il mio personale modo di vedere le cose. Ognuno di noi ha un passato diverso ed è meraviglioso che venga fuori, senza paura che l’altro derida o blindi in un assenso ciò che le parole, rotolando leggere, stentatamente possono raccontare.
Ciò che siamo stati, ciò che siamo e che saremo non verrà marcatamente fuori in questo modo, lo so.
Ci si conosce e riconosce in molteplici ambiti, ma se questo può servire anche a vedere più nitidamente certe cose delle nostre vite, potremmo ritenerci un pochino soddisfatti, no?
Non credo esistano vite davvero felici. Le radici della solitudine sono molteplici e non s’identificano interamente con quelle assenze materiali che riscontreremo in queste periferie. Sono di natura composita e non può esaurire una ricerca su di esse nemmeno una generazione.
Ma questo è il tempo più beffardo di tutti, concedetemi di dirlo. Perché ha preteso di dichiararsi felice, pago del benessere e del piacere, nascondendo orrori solo perché non ha avuto sufficiente forza, coraggio e determinazione per riconoscerli e prepararsi a combatterli.
La crisi economica ha fatto vacillare profondamente le ragioni del capitalismo e si è parlato tanto di sobrietà e necessità di ricalibrare le "categorie" esistenziali, sottolineando l'urgenza di reinventarsi una solidarietà, così facile da pronunciare, così difficile da realizzare.
Cosa è cambiato effettivamente?

Non so quanto sperare fino in fondo in qualcosa restituisca la serenità. La mia inquietudine, personalmente, è così radicata che temo condurrò giornate estremamente altalenanti per tutta la vita e questo non è affar vostro. Ma siccome è diventato troppo pesante perché sia solo mio, metto in ballo il mio affare sperando che possa alleggerirsi in questa nuova dimensione.
Perpetuamente alla ricerca, come gli altri, di ciò che ancora non so, non sento, non comprendo, non amo come vorrei, sento il bisogno di capire quanto Palermo abbia avuto degli influssi notevoli sul mio modo d’essere.
Politico, quindi, ma anche molto, infinitamente egoistico è questo progetto, me ne rendo conto. Forse anche il voler sapere meglio, ad esempio, cosa voglia dire quel luogo comune sulle “ragazze palermitane” -miscuglio, a quanto sembra, di frigidità e stupidità cronica-, che tanto spesso ho trovato sulla bocca di amici, periferici e non, sempre più di frequente negli ultimi anni, ecco, anche questo è un motivo personale che contraddice lo spirito a lasciar parlare le cose stesse, obliando il mio personale interesse.
Vi domando però a questo punto se ci sia un’identità femminile nuova e non l’abbiamo ancora ben chiaro... La ragazza palermitana! È un modello di riferimento o da rigettare? Scherzi a parte, che dire..Provochiamoci fino a morire dal ridere, se volete, ma non condanniamoci all’assenza di criticità.
Odiare i ragionamenti equivale ad odiare gli uomini, secondo Platone. Se ragiono tanto, in fondo, potrebbe dirsi che non vi odio (quanto meno non sistematicamente..).
Purtroppo non ho che rare volte ragionato benino, però sono pur sempre la bambina che mia madre mi ricorda spesso rompeva i coglioni ai bambini incontrati per strada, dicendo “ciao, io sono Silvia, e tu come ti chiami?”. Una grande scassacazzi, insomma, una profumiera ante – litteram, probabilmente, non esito a riconoscerlo, come accennai qualche tempo fa alla mia amica Daniela, dal momento che è stato spesso equivocata quest’apertura, e lo capisco.
Ma che volete..ognuno nasce con una natura e può modificarla quanto vuole, anche con quintali di forzato disprezzo per gli altri pensando di poter cercare meglio sé stessi rinunciando ad ognuno di loro... e chiudersi per mesi a casa e teorizzare l’assenza di rapporti amorosi come indispensabile… ma, per fortuna, qualcosa non cambia ed è per questo che sono qui, sempre single, ma felice di essere-nel-mondo (palermitano).

Com’è la realtà periferica palermitana? Com’era qualche anno fa? Come potrebbe diventare?
Qual è la sua specificità, se ne esiste una, rispetto alle zone periferiche delle altre città?

Come può una città, tutto porto, che nella sua storia è stata un proliferare di scambi, aperture e commistioni essere inospitale con gli immigrati, picchiati vicino alla stazione? Se prima guardava interamente al porto ed ora sembra non poterlo fare, non dobbiamo chiederci qualcosa?

La città è i suoi cittadini, ma c'è un tratto comune, quell' insularità dell'animo, che ci riguarda tutti, o non c'è?
Cosa è questa sicilianità, ammesso che ci sia?

Qual è il rapporto tra la mafia e i luoghi, qual è davvero questa relazione, percepita miliardi di volte attraverso letture, documentari, ma mai sul serio in prima persona, abitando in una zona - apparentemente almeno- "tranquilla"?
Tutto comincia negli anni Cinquanta?
Ci sono troppi interrogativi cui mi piacerebbe ci sforzassimo di rispondere, ma insieme, sfaccettando in molti modi le possibili risposte, mai definitive, che sorgeranno durante il nostro lavoro.

Io andrò con buona probabilità in Germania a settembre dell’anno prossimo. È necessario per portare avanti l’altra ricerca per cui vengo pagata e che sarà ciò che mi impegnerà primariamente nelle mie giornate.
Ma la serietà che intendo riporre nel lavoro accademico deve combaciare e crescere parallela a quella che intendo soffiare su questa ricerca, che mi vedrà sua coordinatrice, formulatrice di ipotesi e di concetti. Basta dire più si, che significano fatica, amore e devozione. Chi dice no non vuole nulla, rifiuta di porsi in contatto con il mondo credendosi il solo a soffrire, a porsi domande inquietanti, a vivere di stentate immagini e parole che non rispecchiano mai ciò che accade nel mondo, rinchiudendosi in una constatazione perpetua della vanità del tutto.
Il nichilismo, il destino secondo i più importanti filosofi della prima metà del Novecento di questa tradizione occidentale, è a mio avviso ciò contro cui bisogna lottare con una forza vibrante ma mai “dannunziana”, temeraria, che pensi di poter trascurare pericoli, difficoltà ed ambiguità, proponendo toni esaltati che hanno fatto più volte nella storia impazzire coloro che , assetati e disillusi, si sono lanciati su carri che credevano portassero verso la vittoria, ma erano solo di vincitori ignobili, decisi a far trionfare l’unità (dogmatica).
L’unità convive con la molteplicità. Non c’è unità che si possa pensare, dire, sospirare, toccare, sentire con il cuore, la mente ed il corpo che non passi dalla molteplicità. Difendere la molteplicità non è una gentile occupazione di chi retoricamente si dichiara aperto alle ragioni degli altri e professa umiltà senza pienamente riconoscersi limitato. Difendere la molteplicità è il solo modo per restare sbigottiti dalla bellezza. Dal bello della natura che compare in differenti forme, dal bello degli uomini, che racchiude storie che non si possono narrare e che possiamo solo intuire attraverso segni fonici, scritti, sguardi, sorrisi, balli, dipinti e tanto altro e dal bello che portiamo dentro e che non è mai identico a quello che avevamo da bambini. Ma si articola di continuo, muta il suo sapore e la sua traiettoria, a volte ci sembra sia svanito per sempre, solo perché abbiamo concesso troppo potere all’accondiscendenza, al mancato reagire a tutte le difficoltà e atroci problematiche che può capitare di incontrare in modo radicale nell’esistenza, o sfiorare appena, restando comunque coinvolti in constatazioni angosciate e tetre, capaci di spezzare l’innocenza dell’infanzia.
Forse sì, c’è il fanciullino in ognuno di noi, ma evitiamo di parlare come Pascoli.

Questo progetto non deve finire quando me ne vado. È un progetto permanente, perché permanenti restano i conflitti, le contraddizioni, i confini, i limiti che continuamente possiamo scegliere di sfidare o ignorare, ma esistono. Se non accettiamo i limiti non accettiamo nemmeno noi stessi, è banalissimo ricordarlo, ma è così. Siamo spesso sedotti dalla perfezione perchè la fibrillazione del desiderio è costante, incentrata sul "tu vali" e puoi sempre più arricchire te, te, te, te solo, uomo occidentale mediamente ricco, che, per esempio, allarghi e assottigli pancia e fianchi non per improvvisi raccolti buoni o tragiche carestie, ma perché talvolta vittima di una volontà molto debole e di un mercato troppo forte. O ancora svuoti lo sguardo di ogni ideale perché intorno ti sembra non possa mai nascere l’autorizzazione a rendere credibile il tuo intento, diventando arido e sempre più sospettoso della capacità d’amare altrui. O confini in una densa, nobilissima ricerca di trovare equilibrio nella sfera affettiva tutto quello che è il tuo "potere fare", garantendo una generosità preziosa esclusivamente ai tuoi cari. Oppure trovando dopo anni una giusta via di mezzo tra la devozione per il tuo privato e lo slancio a curare problemi che non ti condizionano immediatamente in prima persona, ma ti coinvolgono e senti richiedono la tua partecipazione. Sono molteplici le forme in cui possiamo vivere oggi. Non c’è una strada migliore delle altre, ognuno sceglie la sua, dirottando più volte il suo percorso, iniziando altri tragitti e magari abbandonandoli di nuovo, una volta scoperto il loro essere dei vicoli ciechi o la loro enorme lunghezza. Non giudico la mancanza di coraggio né l’ingenuità di chi si fa abbindolare, perché c’è sempre una forza in ciascuno che esorta al riscatto e di questa forza sono convinta sia consapevole ogni essere umano.
Torno ancora a William..."Considero il mondo per quello che é: un palcoscenico dove ciascuno deve recitare la sua parte".
Le molteplici strade che iniziamo a percorrere recitando o restando spettatori, siano soltanto segmenti o grandissimi viali, ho capito nel tempo che diventano davvero palcoscenici in cui ciascuno ha sempre la possibilità di assaporare l’assoluto. E quest’esperienza meravigliosa non richiede denaro, capacità fuori dal comune, bellezza esagerata o chissà cos’altro. Sono momenti che definiamo spesso poetici, varchi nella pesantezza della vita in cui la si coglie in tutta la sua potenza e si è grati e paghi di esserci, malgrado tutte le insoddisfazioni e la lista infinita di rimorsi e rimpianti che ci si sforza di cancellare ma cammina sempre, come se fosse incollata al petto, con noi.
Riuscire a scoprire altri compagni che hanno quella stessa luce negli occhi è ciò che più intensamente desidero da questo progetto. E so di essermi rivolta a persone che questo sogno non lo deluderanno, ma spero ancor più profondamente che potrò incontrare questa stessa energia vitale negli uomini e nelle donne che conosceremo insieme, in quei luoghi pretesto d’indagine solo per poterci concedere il giusto slancio a fiondarci nella nostra città con uno spirito differente, che rompa la monotonia, ma che, come ogni nuova strada, rischia di ripresentare le stesse caratteristiche di quelle precedenti o manifestare inattese, sconosciute insidie.

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