lunedì 31 agosto 2009

Progetto periferie...Perchè?

Perché questo progetto? Quale scopo si propone, quale obiettivo?
Potrei dire che il primo è quello di denunciare ciò che accade in alcuni quartieri periferici, invisibili ai più. Ma più che altro vorrei che riuscissimo a mostrare, da filosofa direi "lasciar essere", ciò che è sotto questo cielo palermitano, grazie al contributo di coloro che si adopereranno a render degno di voce chi e cosa forse rischia di essere totalmente dimenticato.

Sto cercando di lottare contro molte mie illusioni di nuovo e scoprirò probabilmente quest'anno con più convinzione come la sola mancata illusione devo essere io. Esserci pienamente, costi quel che costi.
Riuscire a capire fino in fondo gli influssi della città credo sia molto importante. Tempo, spazio, persone incontrate... Quante particelle lavorano, attentando al bello o sprigionandolo, per ciascuno di noi.

In questo lavoro abbiamo l'occasione di sentirci familiari e trasferire lontano il senso d'impotenza, perché circoscrivere un luogo su cui operare le nostre indagini e confrontare le nostre idee, senza che sia previsto un dialogo con un potere sordo ed indifferente a restituirci il consenso che conta perché acquisti visibilità ciò che si è "prodotto", credo sia il fattore fondamentale, capace di fare la differenza, di questo progetto.
Insieme, come una piccola cittadina, possiamo sforzarci di "guadagnare", in termini di conoscenza, la grande città (forse un grande "paese") che ci ospita tutti.
Ci farà certamente male. Ma la fatica è una risorsa. Chi risparmia non ottiene niente di nuovo, è banale dirlo. Dal sudore, dalla pazienza, dalla tenacia nascono tutte le cose belle, i pensieri più impetuosi, le storie d'amicizia e d'amore più forti, no?
Mi hanno detto i miei, tornati da un viaggio a Genova, che in via del Campo c'è scritto: "dal letame non nasce niente". Anche lì, dov'è nato e ha composto uno dei più grandi poeti del secolo scorso (lo era per Fernanda Pivano, l'ho sempre pensato anch'io) come Fabrizio, che ha centrato proprio sui dimenticati la maggior parte della sua musica, ebbene, anche lì forse non ci crede più nessuno.
La risalita, la ripresa, la capacità di sfidare queste oscure leggi ingannevoli che lasciano credere che solo il portafoglio abbia "valore", non vuole coltivarla davvero più nessuno come possibilità?
Sì. Esistono piccole forme di resistenza che di continuo vengono prospettate e vissute da moltissimi uomini e donne del nostro tempo, che cancellano la passività e realizzano le loro aspirazioni in campi diversi, mettendosi totalmente in gioco.
Questo progetto sulle periferie palermitane non è che una tra le tante possibili strade di resistenza, che vuole credere nel cambiamento, prendendo sul serio fino in fondo tutto ciò che lo ha reso impossibile finora , comprendendo in differenti maniere, secondo molteplici punti di vista, quante modalità denigratrici dell'uomo e del suo principio speranza, direi, hanno agito sulla realtà palermitana negli ultimi decenni.
Scegliere le periferie, infatti, ovviamente più recenti, è anche un modo per delimitare il tempo storico che c'interesserà scrutare, senza necessariamente dover andare ad indagare l'origine, perduta nella storia, del "fenomeno mafia", ad esempio.
Ma quali sono davvero le ragioni nascoste in quest'iniziativa? Cosa mi ha spinto ad agosto a bofonchiare vaghe idee sulla possibilità di coltivare insieme un "sogno"?
Negli ultimi mesi, molti di coloro che mi conoscono bene da tanti anni, pur abituati alle mie crisi cicliche, credo che mi abbiano riconosciuto a stento.
Si cambia sempre, ma io stavo andando indietro. Ho distrutto me stessa ancora una volta e mi appresto a ricostruirmi di nuovo. Dopo intense fasi di messa in discussione dei miei inganni, mi ero quasi arresa a convivere con essi, trascuravo i miei doveri e scrivevo e pensavo troppo in solitudine, angosciata da miliardi di motivi.
Questo bisogno di riscatto personale è sicuramente alla base del progetto, che sempre nasce, non so se siete d'accordo, da un pò di confusione, ansia, necessità di lasciarsi il negativo alle spalle, ipotizzando possibili alternative che incoraggino a guerreggiare con determinazione con la sofferenza.
Ma sarebbe molto meschino aver pensato di rompervi le scatole per "salvarmi", quasi dovessi crearmi un passatempo che per attuarsi non tenga conto degli affanni delle altre vite.
Ci sono altre ragioni, dunque.

Come sia nata quest'idea è, in realtà, molto più semplice raccontarlo.
Stavo leggendo un libriccino intitolato"Paesaggio e coscienza", uno di quelli che si usano come sostegno per le tesine del liceo, sgraffignato a mia madre, insegnante d'italiano e storia.
Mi ha sempre molto affascinato cercare di chiarire le influenze dello spazio sull'uomo e di questo su quello.
Ma perché proprio le periferie? Non potevo propormi di setacciare viale Lazio e indovinare quanto avesse potuto rendermi ciò che sono, anziché venire ad inquietare voi sulle periferie palermitane?
Indagherò sul mio quartiere, anche perché come queste periferie si inserisce in ciò che l'architettura palermitana lascia in consegna alla storia del Novecento.
Domenico mi spiegava l'altra sera come davvero Palermo non abbia un centro. Siamo tutti periferici o forse tutti centrali, chi lo sa.
Ma è certamente nelle zone al limite che l'edilizia mostra quanto le ragioni industriali abbiano vinto su altre, più profonde, che volevano assicurare abitabilità senza ignorare il legame viscerale dell'uomo con la terra. O forse non è così, ed il "naturale" è rispettato, ma io lo ignoro? E perchè, nel centro storico la situazione è in ogni caso differente?
Ho moltissime domande, che ovviamente non riguardano esclusivamente i luoghi, ma gli abitanti delle zone scelte (ma che forse saranno cambiate...urge inserire l'Arenella), con i quali vorrei tentare un dialogo per cogliere differenze e similitudini, forse arrivando dopo tutto a pensare che la "periferia" è solamente uno stato d'animo, quella marginalizzazione di chi resta lontano dal centro per noia, disincanto o chissà quale altro motivo, fino a non vedere più la causa delle decisioni e trovandosi a subirle anche se ingiuste, forse proprio perché incurante del ruolo di sorvegliante che spetta a chiunque.

Una ragione, anzi un paio, sono di natura "filosofica".
Annoierei di certo dilungandomi a spiegare a cosa mi riferisco, ma mi limito a citare la "fenomenologia del rifiuto", la speranza che un "bene comune" possa ancora esistere, il ruolo non solamente estetico della bellezza (avevo focalizzato specie su questo inizialmente l'idea..forse alcuni di voi ricorderanno che avevo battezzato il progetto "meraviglia e rifiuto"...) e l'indagine inesaurita ed inesauribile sul come si afferma l'identità di un singolo, come quella di un gruppo, senza arrivare ad annientare il bisogno di sentirsi parte di una comunità.

E certamente c'è del "politico", come ho già scritto su facebook e trovate sul blog di Giovanni. Faccio un piccolo copia e incolla anche qui, su.
"Questo sarà un lavoro intrinsecamente ed estrinsecamente politico, sappiatelo.Ognuno di noi ha idee differenti e non ci sarà nessuna tessera a condizionarci. Ma politico , per come limitatamente può essere forse pensato oggi questo aggettivo, è forse soprattutto ciò che non si rivolge più alla propria esistenza per cercare possibili risposte, perché sente il bisogno di anteporre il sentirsi parte di una comunità alle deboli percezioni dell’individuo. E pretende un confronto con quella non solo per capire meglio la propria identità- che può forse dirsi semplicemente un effetto di quell’apertura- ma per comprendere un po’ meglio il proprio tempo, osservandolo, denunciandolo, andando al di là della denuncia stessa, perché ci si sente comunque suoi protagonisti.Ciò che s’impara è, insomma, la responsabilità che fa crescere, nel provare a supporre strategie che possano modificare consuetudini erronee e portarle avanti verso una loro effettiva realizzazione.....
Facebook e l’impegno politico è un dualismo che non regge. Come qualunque social network, s’illude di far politica facendola online. Utile si, fondamentale per molte fasce di quelli che un tempo erano esclusi dall'informazione, il virtuale credo non possa tuttavia assolutamente prendersi la briga di annientare il reale. Perché è qui che finiscono molte energie di coloro che "stanno bene" e non è giusto.Sto cercando di non demonizzarlo più, di non farne il capro espiatorio di tutti i malesseri della società, ma nel nostro caso ribadisco come facebook o il blog di Giovanni Romano verranno usati solo come ausilio, uno strumento per preparare o accompagnare effettivi incontri e soprattutto quei “rivolgimenti” che saranno incisivi se ciascuno sarà sufficientemente motivato a trasformare il senso di impotenza in azione. E questa azione sarà concepita in differenti maniere, ma ci sarà.
Non diamo più udienza al mostro che impera da anni nelle nostre percezioni e che dice: “pensa, immagina, spera quanto vuoi, tanto tutto ciò che tenti sarà inutile”. È sempre possibile cambiare. Niente resta identico e se si fanno degli errori è comunque un modo per uscire dall’omologante visione sul serio apolitica di chi rinuncia a capire dove vive e perché vive in un certo modo e non in un altro, appellandosi a fatalità, destino, fortuna e tante altre amabili stronzate, che coloro che hanno avuto il privilegio di studiare non devono permettersi di incorporare con rassegnazione come tasselli indiscutibili a partire da cui si ridisegna il puzzle impazzito della società italiana.
C'è un'immobilità preoccupante che mortifica i talenti, costringendoli ad andarsene? Sfidiamola. E cerchiamo alternative finora non pensate, sfruttando la gioventù e la sua fame incontenibile. Il vuoto di potere che abbandona il Sud lo possiamo riempire con i nostri poteri, infinitamente più intelligenti e sofisticati di quello, capace di ragionare esclusivamente in termini di produttività, ricatti, vilipendio del poco visibile e dell'invisibile.E tutto questo va fatto anche andando per strada e lasciando che chi non ha avuto voce cominci a parlare, raccontarsi, scoprire le sue delusioni e additare le sue speranze. "La parola fa l'uomo libero. Chi non si sa esprimere è uno schiavo." dice Feuerbach.
Ma c'è chi non si può esprimere, proprio mentre trovano i più grandi spazi d'espressione coloro che non hanno nulla da dire o dicono intollerabili, offensive sciocchezze che, però, ci abituano a non provare più vergogna, tanto ingombranti e frequenti esse sono.
Anche se questo progetto non decollerà, penso che saper pensare e agire"contro" vada difeso come fondamento della nostra democrazia, troppo poco consapevole di sè stessa e per questo capace di farsi sballottare qua e là da ogni omuncolo che sappia sedurla con qualche promessa mirabolante, naturalmente falsa.
Seppelliamo ingenuità e non lasciamo che facciano di noi ciò che vogliono, anche molto più di quanto siamo capaci di capire fino in fondo. Svegliamoci tutti!".


A parte questi fastidiosi toni da arringapopoli, spero che più o meno il senso sia chiaro.
Concludo rapidamente con un altro "perché" che si lega poi alla stessa struttura del progetto. Il mio compito sarà quello di coordinatrice. E per me è entusiasmante la possibilità di scorgere come altri campi si muovono in direzione dello stesso tema, lontano da astrazioni filosofiche.

Beh..Sono disposta a rispondere ad ogni vostro "perché?", oltre a quelli non so quanto sufficientemente esplicitati qui.
Mi auguro che ci si veda tutti presto e si cominci quanto prima, delineando insieme gli obiettivi principali che dobbiamo porci ma che, strada facendo, non è inverosimile stravolgeremo:)

1 commento:

  1. Mi commento e autocito da sola, prendendo un altro pezzettino di robaccia scritta nella nota "a voi". Dopodiché taccio, sperando di vedervi domenica.

    "Scusate se mi rivolgo ad un “noi” ipotetico. Scusatemi per questa generalizzazione ingiusta. Ma quando finalmente ho imparato che chi parla a nome dell’umanità non parla altro che di sé stesso, mi sono umiliata e reintrodotta negli abissi della mia interiorità, lasciando in tredici diversi studi sul rapporto tra privato e pubblico che da sempre mi ha reso inquieta e molto infelice. È per questo che forse ritorno con lo stesso stile di anni fa, ma con una consapevolezza che allora non avevo così chiara, per quanto elementare, e che enuncerò per concludere questi ultimi, lunghi pensieri lasciati sul web, giacché intendo vedervi e non annoiare più con la mia grafomania (e dire che è in via d’estinzione..):
    Da sola non posso fare davvero un tubo. Insieme, anche solo un tubicino inutile, possiamo farlo. "

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